lunedì 1 aprile 2024

Dambudzo Marechera – La casa della fame



Dambudzo Marechera – La casa della fame
(trad.Eva Allione)
Racconti edizioni 2019 – I ed. 1978

Incipit faulkneriano per un'opera che richiama Bolaño alla massima potenza. Marechera è un Bolaño più arrabbiato, più viscerale dei realvisceralisti, uno scrittore che salta dal quotidiano all'immaginario, dal presente al passato, come una pallina impazzita, incapace di rimanere fermo su un punto per l'esigenza di dire tutto, di trasmettere il malessere di un uomo e di un popolo, per il bisogno di affrancarsi dalla violenza e dalle miserie del ghetto e al tempo stesso di mettere in discussione i modelli che rincorre.
"Ho trovato un seme, un semino, il più piccolo del mondo. E si chiamava Odio. L'ho sotterrato nella mia mente e l'ho innaffiato con le lacrime. Nessun seme ha avuto mai giardiniere più diligente. Mentre si gonfiava e si schiudeva di vita verde ho sentito fremere la mia nazione, fremere dalle doglie; ed esplodere in rami e fiori."

"C'è un mucchio di rabbia che non ti porta da nessuna parte. C'è un cumulo di attenzione che pure quello non ti porta da nessuna parte. Sono tutti biglietti per nessuna parte, tutto quanto lo è.!
Un libro con i piedi inchiodati nel pantano della realtà, conficcati nel profondo della miseria, della sopraffazione dell'uomo sull'uomo, troppo dentro alle cose per sperare di uscirne, per sognare una vita diversa. Un aggirarsi schizofrenico tra le macerie di un presente al quale è impossibile sfuggire perché non esiste un altrove e se esiste non è quello che vuole il protagonista, a cui resta solo l'urlo liberatorio della prosa abbacinante di Marechera.
"D'un tratto sulla terra dormiente si abbatterono gigantesche gocce di pioggia. Il rumore era assordante, la loro vista atterriva, e la potenza dei torrenti mi fece quasi ingrigire anzitempo. Sembra impossibile una tale pazzia degli elementi. Sulla scuola si riversavano secchiate d'acqua. Pioveva come se la pioggia volesse scacciarci dalle nostre menti. Tambureggiava sui tetti di amianto. Tambureggiava contro i vetri delle finestre. Ci risuonava nella mente. Ci tambureggiava addosso finché non ne potevamo più. Era un diluvio cupo: schizzava, inzaccherava, ci picchiava la testa come lo schianto di un pugno. Ruggiva, scrosciava, inzuppava, tartagliava rantolando dagli spazi neri dell'universo infinito e insensato. Saliva. Si gonfiava. Schioccava i suoi scorci come una frusta. A secchiate saltavano spasmodici pesci d'argento. Lo sciabordio e il risucchio del fango ci fremevano e frullavano nella mente, ci raggelavano fino alle spalle dell'anima. Questo delirio piovano gettò la scuola in uno stato di eccitazione febbrile. L'eruzione era come una bolla che scoppia e inzacchera tutto quanto dei suoi acidi neri. Il cielo furioso spingeva contro la scuola massi di pioggia, finché non ci sembrò che fosse la nostra stessa sanità a subire un implacabile assedio. Quell'ira canora ci piantava tanti aghetti nella materia delle cervella. Rimbombava. Ostruiva. Si gonfiava. Ruggiva da arrochire i leoni. Si versava nella nostra mente, ci inzuppava le parole, e ci lasciava a bocca aperta. A bocca umida. L'aria ne era impestata. Era un odore dolce e malvagio che ci si attaccava ai vestiti come colla. Dentro ci nuotavano cose e quelle erano le garanzie che avevamo un tempo. Al cimitero le tombe più economiche venivano sventrate e le croci e i aletti di legno spazzati via. Un insegnante ubriaco che si azzardò a uscire non venne mai più visto. Era una pioggia, quella, che tambureggiava sul tamburo finché il tamburo non si squarciava, saturando la mente con fettucce di lampo. Era come un folle che parla incessantemente; e sussurra rapido all'orecchio del cielo. Era come un uomo che, dopo un lutto improvviso, si spezza e si scaglia contro il muro. Era il fiume poderoso che si tuffa da una cascata e ruggisce di quella rabbia cerebrale che si può spaccare solo sulle rocce sottostanti. Distrusse il quartiere degli operai, quella pioggia; abbatté le capanne col suo brutale tirapugni. Buttò giù i muri di fango e portò i fragili tetti a schiantarsi sugli inquilini sfortunati. Quella notte in tutto il quartiere uomini, donne e bambini lottarono per la propria casa, costruendo, ricostruendo, gemendo sotto i colpi finché di nuovo i muri di quella perfidia non venivano giù. E ancora i cieli sbavavano incessanti sulla terra. Quella pioggia: batteva i dentini acuminati; schiumava alla bocca contro tutto e tutti quanti. Le sue ragion ci lasciavano inebetiti. Parole che ci colpivano e ricolpivano a ogni secchiata di pioggia. Qualcosa di malato era stato liberato fra noi. Un'infiammazione che bruciava come un lampo di dolore, un'intuizione fulminea che mi scacciava la pazzia di dosso a suon di botte. Ci spaccava la pelle dei denti. Il mio semenzaio era distrutto; c'erano nella pioggia i semi turgidi di una vecchia faida; il suo odore grezzo era arrivato fin nei recessi dei polmoni terrestri. I suoi piedi di fango avevano calpestato e insozzato tutto ciò che aveva di caro. La memoria ne era fradicia. L'unico sole dei giorni passati era prigioniero delle sue voglie. E i colori della mente cominciarono a colare per la tela fino a sbavarsi l'un l'altro".


domenica 17 marzo 2024

domenica 3 marzo 2024

Cormac McCarthy – Stella Maris



Cormac McCarthy – Stella Maris
(trad. Maurizia Balmelli)
Einaudi editore, 2023 – I ed. 2022


Il passo d'addio di McCarthy è un romanzo destrutturato e ridotto a dialoghi, lontano dalla prosa consueta delle opere più rappresentative dell'autore statunitense ma simile per gli aspetti formali a Sunset Limited e anche a La coscienza di Andrew di Doctorow. Si tratta di un testo concettuale, che sacrifica l'attenzione agli elementi della scrittura per concentrarsi sull'idea pura, sfidando il lettore su un terreno quanto mai impervio.
Come in un ring, incrociano i guantoni in una singolare tenzone dialettica Alicia Western, la ragazza prodigio de Il passeggero, e il dottor Cohen psichiatra della clinica nella quale la ragazza è ospitata. Alicia è un genio dal quoziente intellettivo altissimo e dalle potenzialità inestimabili ma che finisce per spingere così in profondità le sue riflessioni da approdare sull'orlo del baratro. La matematica, che aveva abbracciato con la convinzione che fosse una stella polare in grado di illuminarla sulle verità dell'universo, si rivela una fede fallace, incapace di fornirle le risposte di cui ha bisogno e così il linguaggio – tema centrale del romanzo – si rivela una forza devastante ("Molto devastante. Proporzionalmente alla sua importanza. Distruzione creativa. Sono certamente andati persi talenti e abilità di ogni tipo. Perlopiù comunicativi. Ma anche cose come l'arte della navigazione e probabilmente perfino la ricchezza dei sogni. Alla fin fine questo strano nuovo codice deve aver almeno in parte sostituito il mondo con quello che se ne può dire. La realtà con l'opinione. Il racconto con l'approfondimento,"). Cosa rimane allora? Forse la musica, "completamente autoreferenziale e coerente in ogni sua parte", "un mistero che va addirittura oltre ogni speranza di comprensione. La musica non è un linguaggio. Non allude a niente se non a se stessa".
La musica, allora, salverà il mondo? Probabilmente no, sicuramente non salverà Alicia, convinta "che il mondo non ha creato un solo essere vivente che non intenda distruggere", che "la nostra esistenza del mondo sia sostanzialmente un proteggersi dallo sgradevole dato di fatto che i mondo non sa che siamo qui" e che l'immaginario sia preferibile al reale.

domenica 25 febbraio 2024

Dialoghi in cielo – Can Xue

 


Dialoghi in cielo – Can Xue
(trad. Maria Rita Masci)
Utopia edizioni, 2023 – I ed. 1988

Eschilo, Sofocle, Virgina Woolf, Kafka, Lispector… diversi sono i nomi ai quali è stata accostata di volta in volta Can Xue e a questi potrei aggiungere almeno Felisberto Hernández e Bruno Schulz, anche se il riferimento più attendibile è sicuramente Lu Xun. Quando si fatica a definire un artista, spesso si prova a farlo per similitudini che però pagano il prezzo di riuscire a cogliere un aspetto ma mai il quadro completo e Can Xue è il prototipo della scrittrice indefinibile.
Una poetica che affonda le radici nella cultura orientale ma che rapidamente esce dall'ortodossia per pescare anche nel mondo occidentale, rielaborando le esperienze acquisite in un sincretismo, letterario e non solo, nel quale "l'esistenza e l'inesistenza, lo spirituale e il materiale, il pensiero speculativo e materiale, questa sponda e l'altra sponda, sono tutti unificati insieme mentre si respingono l'un l'altro" (da un'intervista ad Asymptote).
Nei suoi racconti la trama è, come si dice in questi casi, solo un pretesto, un filo sottile, uno spazio rarefatto nel quale il reale perde spessore e le certezze svaniscono. Immagini, figlie del ricordo e dei sogni, si formano e poi scompongono parlando all'emotività del lettore; quella di Can Xue è una scrittura "evocativa", che più che affermare tesi e sostenere concetti, suscita suggestioni attraverso l'uso di metafore, metamorfosi e figure retoriche.
Racconti nei quali la relazione Uomo-Natura è spesso al centro della riflessione, con l'autrice che intinge la penna nel groviglio di forze unificatrici e disgreganti che ne regolano i rapporti, provando a tenere la barra ben salda sulla creatività dell'uomo, portando il subconscio alla superficie e indagandone poi i comportamenti.

domenica 4 febbraio 2024

La montagna dell'anima – Gao Xingjian

 


La montagna dell'anima – Gao Xingjian
(trad. Mirella Fratamico)
BUR Rizzoli editore 2008 – I ed. 1989

Io, tu & lei.
Un flusso della lingua, come dice Gao stesso, un libro a metà strada tra il diario di viaggio e il romanzo fatto da racconti cuciti insieme come nella narrazione orale dei Canti della tradizione orientale che l'autore cerca di perpetuare. Un viaggio verso il sud della nazione, verso quella periferia che incarna l'anima vera, arcaica e libera della Cina, che il potere centrale ha cercato nel passato confuciano e nel presente maoista di sottomettere all'ordine governativo. Un viaggio in un mondo che sta scomparendo, cercando di recuperare attraverso le parole la Natura, le tradizioni e la vita che il cosiddetto progresso hanno cancellato.
Quello di Gao è però anche un viaggio alle ricerca dell'identità e così, in una sorta di sdoppiamento della personalità, seguiamo un Io che vive nella realtà e vaga lungo il fiume Azzurro alla ricerca della verità e un Tu, riflesso dell'Io, che vive al di fuori del presente, in uno spazio ideale nel quale si avventura alla ricerca della montagna dell'anima. In questa frantumazione dell'ego c'è spazio anche per Lei, la figura femminile creata dal Tu ma con la quale non riesce a entrare in contatto, per Lui che rappresenta la distanza tra Io e Tu e per Essi che ne rappresentano le molteplice apparenze, mentre il Noi rimane un pronome illusorio.
Non è facile seguire il protagonista lungo il suo girovagare da flâneur nel tempo e nello spazio, nei ricordi e nelle pieghe nell'anima, perché se è chiaro che fugge da una realtà che schiaccia l'uomo, meno evidente è comprendere ciò che cerca. Una vita diversa, certo, ma che non si può esprimere attraverso le parole e le regole che hanno finito per ingarbugliare e legare quella che ha condotto finora. Una vita che può essere vissuta solo lasciandosi andare, evitando le trappole della logica e i bizantinismi del ragionamento avendo come meta il momento in cui anima e corpo potranno sentirsi finalmente congiunti e parte del grande ciclo della natura.
"Non serve a nulla scandagliare l'anima, non occorre ricercare le cause, non bisogna dannarsi a cercare il senso. Tutto è Caos. L'uomo, è un essere complicato che si cerca guai da solo. L'«io» nel «tu» non è altro che il riflesso nello specchio, l'immagine capovolta del fiore nell'acqua. Se non entri nello specchio non riuscirai a tirar fuori nulla. Innamorato invano dell'immagine, non farai che compatirti. Tanto vale continuare ad amare perdutamente le immagini, naufragare nel mare del desiderio. I presunti bisogni dello spirito sono pura masturbazione. Fai una faccia afflitta. Anche l'intelligenza è un lusso, un bene di lusso. Desideri servirti di un unico strumento: il linguaggio che trascende le relazioni di causa ed effetto e la logica. Procedi a zigzag nel linguaggio trainando pensieri pesanti, vorresti estrarre un bandolo che ti aiuti a venirne a capo, ma più avanzi e più sei stremato, e il filo ti si attorciglia addosso. Come un baco avvolto nel filo di seta tessi intorno a te la rete che ti avviluppa nel buio sempre più fitto, la debole luce in fondo al tuo cuore si fa più fioca. La rete non è altro che il Caos. Dissolte le immagini, anche lo spazio si dissolve. Dissolto il suono, anche il linguaggio si dissolve. Come trovare una lingua musicale, indissolubile, superiore alla melodia, che vada oltre i limiti della morfologia e della sintassi, senza distinzione tra soggetto e oggetto, che superi i pronomi, che si sbarazzi della logica, che sia in costante evoluzione, che non faccia ricorso a immagini, metafore, associazioni d'idee o simboli?"