sabato 31 marzo 2012

Una barca chiamata poesia


C'era una volta una barca.
Era una barca semplice, quattro assi di legno ed una vela di tela grezza, di quelle che i marinai dovevano ricucire alla fine di ogni viaggio. La barca serviva per trasportare merci, persone ed informazioni attraverso il mare e visse il suo periodo di notorietà - più o meno lungo - prima di essere fatalmente soppiantata da altri mezzi di comunicazione più comodi, più efficienti, più capienti e più rapidi.
Ma la barca non scomparve del tutto: ridimensionata ma non vinta, riuscì a rimanere a galla ritagliandosi un ruolo diverso. Non potendo competere con gli aerei e neppure con le navi moderne, la piccola barca si specializzò nel trasporto di merci particolari, che non fossero rapidamente deperibili (la barca era infinitamente più lenta dei suoi rivali) e che soprattutto non trovavano posto sugli altri mezzi. Col tempo la barca divenne traghettatrice di idee.
Passarono gli anni e qualcuno pensò che la barca fosse un po' troppo spartana, che i tempi cambiano e che anche lei avrebbe dovuto adattarsi. Così si procedette a modificarne la struttura cercando di mantenerne inalterata l'identità.
Ogni capitano si sforzava di aggiungere o togliere qualcosa, per rendere originale la sua imbarcazione lavorando sulle vele, modificandone il colore, i materiali, la forma ed il loro numero, ma anche sulla forma della prua e della poppa, sui tipi di legname e sulle dotazioni di bordo, finendo fatalmente per dimenticare lo scopo per il quale era stata concepita. I capitani passavano sempre più tempo a ritoccare i loro gioielli, ad ammirarli, a dirsi come erano belli ed importanti e fatti bene, a farsi i complimenti uno con l'altro ed a guardare con sospetto crescente i nuovi, quelli che venivano da fuori e cercavano di avvicinarsi ad un mondo che loro consideravano privato, per soli iniziati, un mondo del quale i capitani erano ad un tempo custodi ed interpreti, una specie di club esclusivo che non accettava altri iscritti.
In breve successe che le barche, sempre meno e quasi tutte uguali, continuarono a solcare il mare, tutte belle ed eleganti, molte (purtroppo) con le stive semi-vuote.

[Leonard Jacob: "Favole"]

domenica 25 marzo 2012

Nel punto della possibilità

Sai cosa vorrei io veramente?
Non che tu fossi me, nemmeno per sogno. Piuttosto, che rimanessi in quel punto, nel punto della possibilità. Non a lungo, solo per un attimo, prima di "decidere" chi sarai davvero, chi sarai tra noi due.
Ovviamente vorrei che decidessi di essere te stesso, sennò che gusto ci sarebbe? (di "me" ne ho già abbastanza!).
Ma vorrei che indugiassi un momento prima di separarti da me, in quel crocevia immaginario fra me e te.
Quell'indugio capisci?, rappresenta un mondo intero.
E avrei un terzo desiderio (se ne possono esprimere tre): vorrei che entrambi, in un cantuccio dell'anima, provassimo sempre un po' di rammarico per aver scelto di essere solo noi stessi.

[David Grossman: "Che tu sia per me il coltello"]

sabato 24 marzo 2012

vite che sono solo vite

Mi fa impazzire il fatto che ti aggrappi di nuovo alla logica, che è senz'altro utile nella vita; ma noi non siamo nella vita, Myriam! E' il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno i rapporti tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non mi interessa sapere dove, perché dargli un nome? Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi. Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre storie, e ci crederemo con tutte le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo - dove quello in cui crediamo si realizzerà, anche se solo per iscritto - la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora: la nostra vita sarà solo una vita... sei d'accordo?

[David Grossman: "Che tu sia per me il coltello"]

domenica 18 marzo 2012

La vita vera

Ho spesso avuto motivo di pensare che il mondo è così: come quel tratto di strada tra il confine russo e Mashhad. Così è la vita vera. Una terra arida. Una mulattiera in mezzo alle rocce. Qua e là qualche sottile filo d'erba, che trema al vento. Cielo e orizzonte, cime di monti. Grandi distanze tra i pozzi. Un asino in cammino verso un villaggio lontano. Un filo di fumo presso una capanna. Pecore che cercano il pascolo. Un pastore. Tutte le altre cose che ho visto sono state eccezioni: le sorgenti alle quali ho bevuto all'ombra delle tamerici. Le città che ho visitato, illuminate dall'elettricità. I letti soffici con lenzuola e coperte. Le tavole ben apparecchiate.
Eccezioni.

[Goran Tunstrom: "La vita vera"]

domenica 11 marzo 2012

Castiglia

Fiori d'arancio soffiano sulla Castiglia
bambini che elemosinano spiccioli


incontrai io mio amore sotto un arancio
o era un'acacia
o lui non era il mio amore?


L'ho letto, poi l'ho sognato:
il risveglio può riprendersi quello che mi è avvenuto?
Campane di San Miguel
rintocchi in lontananza
i suoi capelli nell'ombra biondo-bianchi.


L'ho sognato,
vuol dire forse che non è accaduto?
Deve accadere nel mondo per essere vero?


Ho sognato tutto,la storia
divenne la mia storia:


lui era coricato di fianco a me,
la mia mano sfiorava la pelle della sua spalla


Mezzogiorno, poi prima sera:
in lontananza, il rumore di un treno


Ma non era il mondo:
nel mondo, una cosa avviene definitivamente, assolutamente,
la mente non può rovesciarla.


Castiglia: suore che camminano a coppie nel giardino scuro.
Fuori dalle mura dei Santi Angeli
bambini che elemosinano spiccioli


Quando mi svegliai stavo piangendo,
questo non ha realtà?


Incontrai il mio amore sotto un arancio:
ho dimenticato
solo i fatti, non la deduzione:
c'erano bambini da qualche parte, piangevano, elemosinavano spiccioli


Ho sognato tutto, mi sono data
completamente e per sempre


E il treno ci riportò
prima a Madrid
poi al paese basco.


[Louise Gluck: "Vita nova"]

sabato 10 marzo 2012

Tutti i retroscena


Avrei preferito che tu non avessi ritenuto indispensabile
dirgli: "E' un incendio. E per di più non possiamo farci niente
perché - vedi? -siamo su questo treno".

Perché debba accadere così
non so bene, ma tu
mi siedi accanto
e ti fai gli affari tuoi,
quando d'un tratto vedo
un incendio oltre il vetro.

Ti sfioro con il gomito e dico:
"E' un incendio. E per di più
non possiamo farci niente
perché - vedi? - siamo su questo treno".
Mi lanci un'occhiata strana, 
come se avessi detto troppo.

Ma per quanto ne sai, può darsi
io abbia una passione per gli incendi,
e viaggi in treno per evitare
di doverli domare.
Può darsi che i treni
rinfocolino l'amore per gli incendi.

Potrei perfino sospettare
che tu sia un pompiere
in borghese. Ma insomma,
potrei anche sbagliarmi. Forse
sei il tipo a cui piace
un bell'incendio. Chissà!

Forse tu sei altrove,
e rifletti sul fatto che senza
un luogo dove andare non dovresti
prendere il treno. E io,
vedendo il mio volto nel vetro,
magari sull'incendio ho mentito.

[Mark Strand: "L'uomo che cammina un passo avanti al buio"]

mercoledì 7 marzo 2012

domenica 4 marzo 2012

Dalle stelle alle stalle (e ritorno)



Pubblicato sul sito del giornale online "Città della Spezia" il racconto Dalle stelle alle stalle (e ritorno) di Héctor Genta, contenuto nell'ebook "La prima Antologia del calcio Astrale" (Cletusproduction ed.)
http://www.cittadellaspezia.it/La-Spezia/Cultura-e-Spettacolo/-Dalle-stelle-alle-stalle-e-ritorno-104194.aspx

sabato 3 marzo 2012

(a child hand's playing with cotton-reels, etc.)

 Non ho fatto altro che sognare. Questo, e questo soltanto, è sempre stato il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra preoccupazione vera se non la mia vita interiore. I più grandi dolori della mia vita sfumano quando, aprendo la finestra che si affaccia sulla strada del mio sogno e guardando il suo andamento, posso dimenticare me stesso.
Non ho mai voluto essere altro che un sognatore. Non ho mai concesso attenzione a coloro che mi parlavano della vita. Sono appartenuto solo a ciò che non esiste dove io esisto e a ciò che non ho mai potuto essere. Ogni cosa che non è mia, anche la più vile, mi ha sempre parlato con poesia. Non ho mai chiesto altro alla vita se non che mi passasse accanto senza che io la sentissi. Dall'amore ho preteso soltanto che non cessasse di essere mai un sogno lontano. Perfino nei miei paesaggi interiori, tutti irreali, è sempre stata la lontananza ad attrarmi; e il profilo degli acquedotti, nella lontananza di quei paesaggi sognanti, aveva la dolcezza del sogno più delle altre parti del paesaggio: una dolcezza che me lo faceva amare. La mania di creare un mondo falso mi accompagna ancora, e mi abbandonerà soltanto alla mia morte. Oggi non metto più in fila nei miei cassetti rocchetti di filo e pedoni di scacchi (con un vescovo o un cavallo che sporgono) ma mi dispiace non farlo... E allineo nella mia immaginazione, come quando d'inverno ci riscaldiamo davanti al caminetto, figure che abitano nella mia vita interiore e sono costanti e vive. Dentro di me ho un mondo fatto di amici con vite proprie, reali, definite e imperfette.
Alcuni attraversano difficoltà, altri hanno una vita da girovaghi, pittoresca e umile. Ci sono dei commessi viaggiatori (immaginarmi come un commesso viaggiatore è sempre stata una delle mie grandi ambizioni: irrealizzabile purtroppo!). Alcuni abitano in villaggi e borghi presso le frontiere di un Portogallo che esiste dentro di me; a volte vengono in città e io li incontro per caso e li riconosco abbracciandoli con commozione. E quando sogno tutto questo, passeggiando in camera mia, parlando ad alta voce, gesticolando; quando sogno questo, e vedo il me stesso che li incontra, mi rallegro e mi sento realizzato, salto, mi brillano gli occhi, apro le braccia e provo un'incomparabile felicità reale.
Ah, non c'è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state! Quando penso al mio passatoi avvenuto nel tempo reale, quando piango sul cadavere della mia infanzia fuggita, la mia emozione non ha il fervore doloroso e tremante col quale lamento l'inesistenza degli umili personaggi dei miei sogni, perfino di certi personaggi secondari che ricordo di aver visto una volta soltanto, per caso, nella mia pseudo-vita, girando un angolo delle mie visioni, davanti a un portone, in una strada che ho percorso lungo il sogno.
La rabbia che la nostalgia non possa restituire vita diventa un lamento verso Dio, che ha creato impossibilità, allorché penso che gli amici di sogno con i quali ho passato tanti momenti di una vita immaginaria, con i quali ho avuto tante illuminanti conversazioni in caffè immaginari, non hanno appartenuto a nessuno spazio dove potessero davvero esistere, al di fuori della consapevolezza che ho di loro!
Oh, il passato morto che ho dentro di me e non è mai esistito fuori di me! E i fiori del giardino della piccola casa di campagna che non è mai esistita se non in me! Gli orti, i frutteti, il pineto della villa che è stata solo un mio sogno! Le mie villeggiature immaginarie, le mie passeggiate in una campagna che non è mai esistita! Gli alberi sul ciglio della strada, i sentieri, le pietre, i contadini che passano... tutto questo, che non è mai stato altro che un sogno, è rimasto nella mia memoria come un dolore; e io che ho passato ore a sognarlo, passo ore a ricordare di averlo sognato, e provo vera nostalgia, piango un passato, guardo una reale vita che è morta, solenne nella sua bara.
Ma ci sono anche paesaggi e vite che non sono state totalmente immaginarie. Certi quadri privi di pretese artistiche, certe oleografie da parete che ho visto e rivisto, dentro di me si trasformano in realtà. Era un'altra sensazione più pungente e triste. Mi bruciava il fatto di non poter essere lì, anche se quelle figure non erano reali. Ah, potere essere anch'io una figura dipinta vicino a quel bosco sotto il chiarore lunare, che si vedeva in una piccola stampa di una stanza dove non dormivo da bambino! Che pena non poter credere di essere lì, nascosto nel bosco vicino al fiume, sotto il chiarore eterno della luna (anche se dipinta male), a guardare un uomo che passa in barca sotto un salice! Allora mi dispiaceva non poter sognare interamente. I tratti della mia nostalgia erano diversi. I gesti della mia disperazione erano diversi. L'impossibilità che mi torturava possedeva un'angoscia di altro tipo. Ah, se tutto ciò potesse avere un senso in Dio, una realizzazione secondo il nostro desiderio, non so dove, attraverso un tempo verticale, consustanziale alla direzione della mia nostalgia e dei miei vaneggiamenti! Ah, se potesse esserci, almeno solo per me, un paradiso fatto di questo! Se io potessi incontrare gli amici che ho sognato, passeggiare per le strade che ho creato, svegliarmi col canto dei galli, il chioccolio delle galline, col brusio mattutino della casa, nella casa più perfettamente accomodata d Dio, collocato nel suo ordine perfetto per esistere, proprio in quella precisa forma fatta per me, irraggiungibile anche dai miei sogni [...].
Alzo la testa dal foglio su cui scrivo... E' ancora presto. Il mezzogiorno è passato da poco ed è domenica. Il male della vita, il morbo di essere cosciente entra dentro il mio corpo e mi turba. Possibile che non ci siano isole per coloro che non possono essere confortati, viali vetusti per coloro che sono isolati nel sogno e irraggiungibili ad altri?! Dover vivere e, anche se poco, dover agire; dover sfiorare il fatto che c'è altra gente, anch'essa reale, nella vita! Dover essere qui a scrivere questo perché farlo mi è necessario nell'anima. E, anche così, non poterlo semplicemente sognare, non poterlo esprimere senza parole, perfino senza consapevolezza, attraverso una costruzione di me stesso in musica e svanimento, in modo che le lacrime mi salgano agli occhi soltanto nel sentirmi esprimere, e io fiorisca, come un fiume incantato, lungo lenti declivi di me stesso, sempre più verso l'Inconsapevolezza e la Lontananza, senza alcun senso eccetto Dio.

[Fernando Pessoa: "Il Libro dell'Inquietudine"]