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sabato 11 febbraio 2023

Melancolia – Mircea Cărtărescu

 


Melancolia – Mircea Cărtărescu 
(trad. Bruno Mazzoni)
La nave di Teseo 2022 - I ed. 2019

Raccolta che comprende in apertura e chiusura due brevi narrazioni (Prologo e Epilogo) tra le quali sono inseriti tre racconti contraddistinti, grossolanamente, dai temi della solitudine e dell'abbandono.
Melancolia conferma le qualità letterarie che hanno posto Cărtărescu ai vertici della letteratura mondiale contemporanea ma dimostra anche come il genere che meglio si adatta alle caratteristiche dello scrittore rumeno sia il romanzo lungo (è vero che nella sua bibliografia ci sono opere di poesia, ma questo è un altro discorso), un territorio che gli permette di provocare lo scontro tra quotidianità e immaginazione e di osservarne le conseguenze, la creazione cioè di uno spazio nuovo nel quale far muovere i personaggi e sviluppare le riflessioni.
Questi racconti sono comunque godibilissimi di per sé e interessanti per gettare un occhio sulla tecnica narrativa dell'autore. Cărtărescu non abbandona il territorio consueto, ambientando le storie a Bucarest e mantenendo il focus sui temi già presenti nelle altre sue opere: infanzia, solitudine, ricordo, gemello, sogno, metamorfosi… I protagonisti sono bambini soli, abitanti di un mondo nel quale gli adulti sono assenti o vestono un ruolo ancillare, un mondo nel quale si avventurano armati di curiosità e fantasia, strumenti affascinanti quanto pericolosi perché artefici di quella commistione di vita e immaginazione dalla quale scaturisce il fuoco della creazione dell'autore, quella scintilla capace di applicare un incendio in grado di trascendere la realtà con la fuga in quella dimensione parallela, onirica, poetica e surreale che costituisce la cifra di tutta l'opera di Cărtărescu.



sabato 2 ottobre 2021

Solenoide – Mircea Cărtărescu


Letteratura d'evasione


Cărtărescu appartiene alla categoria degli scrittori che scrivono sempre lo stesso libro. In Solenoide ritornano infatti i temi che erano già in nuce nei racconti di Nostalgia per essere poi sviluppati nella trilogia di Abbacinante e che rappresentano una vera e propria ossessione per l'autore rumeno.
C'è Bucarest, «progettata come un grande museo a cielo aperto, museo della malinconia e del decadimento di ogni cosa», il mondo che si apre alla vista dalla finestra di via Ştefan cel Mare e la toponomastica dell'anima che abbiamo imparato a conoscere negli altri romanzi di Cărtărescu.
C'è la solitudine del protagonista, quella solitudine che unendosi alla compagnia dei libri genera un miscuglio classico e micidiale in grado di dar fuoco alle polveri di un viaggio introspettivo ai limiti (e probabilmente oltre) della follia.
C'è il tema del doppio, la figura di Victor fratello-gemello morto piccolo o forse mai nato. Ma anche il permanente senso di incompletezza del personaggio principale, alla ricerca della sua parte mancante nel tentativo di ricomporre quell'unità del sé che rappresenta un aspetto particolarmente importante di tanta letteratura europea del secondo Novecento.
Ci sono le riflessioni sulla letteratura e soprattutto l'idea di letteratura di Cărtărescu. «Così doveva essere la letteratura per significare qualcosa: una levitazione al di sopra delle pagine, un testo pneumatico, senza alcun punto di contatto col mondo materiale.» La letteratura come strumento per indagare i misteri della vita («l'unica ragione di essere che la scrittura abbia mai avuto: quella di comprendere te stesso fino in fondo, fin nell'unica stanza del labirinto della mente in cui non hai diritto di penetrare.»)
C'è la sovrapposizione dei piani, con realtà, sogno, allucinazioni, ricordi e fantasie che rappresentano terreni di pari dignità per sviluppare la ricerca matta e disperatissima dello scrittore, il suo tentativo di aprire una crepa nel perimetro che delimita il nostro spazio e provare ad affacciarsi sull'ignoto della terza e quarta dimensione, su mondi sconosciuti che devono esistere da qualche parte, in una realtà parallela alla nostra, mondi ugualmente veri come quello in cui viviamo.
E poi c'è la scrittura, massimalista, con metafore originali, ricche descrizioni d'ambiente e i classici scatti in avanti già visti in Abbacinante, le impennate lisergiche e visionarie nelle quali partendo dalle esperienze sensoriali la penna di Cărtărescu accelera improvvisamente e si impenna espandendosi nella sfera delle emozioni e della fantasia pura, imboccando con decisione la strada che sale verso vette immaginifiche, una scrittura che lascia il lettore per un attimo sul posto, indeciso se seguire o meno il narratore nella sua follia, incuriosito e spaventato dall'altezza e dalla maestosità della montagna che si staglia davanti a sé.

domenica 30 ottobre 2016

del tentativo chagalliano di Cărtărescu di uscire da una vita bidimensionale


E noi, persone senza importanza, simili alle formiche sopra i tronchi d’albero, cieche a tutto ciò che è a più di due centimetri dai nostri corpi sodi e bruni. La nostra vita con due centimetri di spessore. Allora mi è accaduto qualcosa: guardavo come la mamma fluttuava in cucina, immersa fino al petto, insieme col mulino e con l’inverno e con i colombi, nelle acque dense del mio manoscritto, e a un tratto mi sono chiesto se in qualche modo anche il mondo è un forma di realtà, magari consistente quanto la finzione, se in qualche modo anche la vita è autentica quanto i sogni.


[Mircea Cărtărescu:”Abbacinante- L’ala destra”]

mercoledì 17 agosto 2016

Mircea Cărtărescu – Abbacinante . L’ala destra


Volere volare

Ho trovato il libro che chiude la trilogia di Abbacinante a un livello qualitativamente leggermente inferiore rispetto ai due volumi che lo precedono. D’altra parte, se ne L’ala sinistra e – soprattutto – ne Il corpo, Cărtărescu aveva potuto spingere la fantasia in tutte le direzioni senza preoccuparsi troppo del fatto che la trama risultasse diluita in mille rivoli, ne L’ala destra è chiamato a percorrere una strada obbligata: andare cioè a chiudere tutte le parentesi rimaste aperte nei volumi precedenti e a riprendere i mille fili del discorso per ricondurli a una conclusione unitaria. Compito non da poco, che Cărtărescu riesce comunque a portare a termine senza forzature evidenti.
Detto questo, è giusto aggiungere che Abbacinante rappresenta un unicum nel panorama della letteratura mondiale contemporanea e che con L’ala destra l’autore aggiunge un altro tassello alla sua costruzione fantastica, costruzione che – al solito – tende a sfuggire all’analisi perché risulta sempre in movimento, espandendosi in tutte le direzioni: verso l’alto come verso il basso, in profondità come nello spazio e anche nel tempo. Cărtărescu prende le rette lungo le quali scorrono queste dimensioni e letteralmente le curva, portandole fuori strada, verso un altrove sconosciuto, aggiungendo cioè dimensioni all’universo (Si potrebbero vedere in successione mondi che si sviluppano e muoiono e, così come è possibile guardare nel forziere disegnato su carta di un mondo a due dimensioni, mentre le creature di quel mondo fissano il loro sguardo sulle loro pareti fatte di una sola linea, dalla fine illimitata del mondo con una dimensione in più possiamo guardare (e penetrare) in case inchiavardate, in crani, in vagine, nella struttura raffinata dello spazio di Planck. Leggeremmo tutti i pensieri e non ci resterebbe nulla segreto. Saremmo allo stesso tempo fra i discepoli istupiditi, moriremmo a un tratto dentro prigioni rinserrate con spranghe e grosse catene).
Cărtărescu è simile al falco che osserva dall’alto il mondo sotto di lui: a volte vola altissimo oltre le nuvole, rendendosi invisibile al nostro occhio, a volte plana in picchiata velocissimo, verso un punto infinitesimale là in fondo, raggiungendolo in un attimo per poi, sorprendentemente, penetrare al suo interno, passando dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo in un attimo, lasciando il lettore con un misto di vertigine e appagamento che è la cifra di questa prosa.
Non si può usare altro termine che vertigine per una storia che a differenza di tutte quelle nelle quali mi è capitato di imbattermi nel corso delle mie letture, risulta “viva”, clamorosamente viva. Non appena le parole si posano sul foglio, ecco che iniziano a muoversi, a stabilire connessioni nuove, evidenti o sotterranee, diventando altro da sé; che senso ha, allora, cercare di dare un’interpretazione univoca a un’opera come questa? Inutile, impossibile. Molto meglio lasciar perdere e seguire Mircea lungo le pagine, lasciandoci portare dal suo vaneggiamento come fossimo viaggiatori su un treno che attraversa paesaggi sconosciuti e meravigliosi: mettiamo da parte le domande, non chiediamo dove siamo e dove stiamo andando, ma guardiamo fuori dal finestrino e lasciamoci travolgere da tanta bellezza, sapendo che quello che stiamo osservando è diverso per ognuno di noi, perché ognuno di noi vede con la sua sensibilità, con la sua fantasia, perché in realtà stiamo sognando.

Abbacinante è il viaggio di un visionario verso la Bellezza assoluta, una cavalcata folle e solitaria alla ricerca di una porta che ci permetta di uscire dalla vita a due dimensioni, una porta che permetta di dare realtà ai nostri sogni. 
Abbacinante è un viaggio impossibile e Cărtărescu un epigono di Prometeo o di Icaro, un visionario che pur sapendo di essere destinato al fallimento non può fare a meno di sforzarsi di trascendere questa realtà: volando alto, volando oltre, volando verso un mondo di sogno nel quale  gli opposti andranno ad armonizzarsi e a costituire la forma perfetta, dalla quale ripartire poi verso uno stato successivo.

domenica 10 luglio 2016

Anche la vita è autentica quanto i sogni?


E noi, persone senza importanza, simili alle formiche sopra i tronchi d'albero, cieche a tutto ciò che è a più di due centimetri dai nostri corpi sodi e bruni. La nostra vita con due centimetri di spessore. Allora mi è accaduto qualcosa: guardavo come la mamma fluttuava in cucina, immersa fino al petto, insieme col mulino e con l'inverno e con i colombi, nelle acque dense del manoscritto, e a un tratto mi sono chiesto se in qualche modo anche il mondo è una forma di realtà, magari consistente quanto la funzione, se in qualche modo anche la vita è autentica quanto i sogni...

[Mircea Cărtărescu. "Abbacinante. L'ala destra]

martedì 7 giugno 2016

Who am I?

"Allora, dunque, chi sono io? Quello dei test della personalità? Ma questi non fanno altro che ritagliarmi in sbiadite diapositìve. In momenti diversi, in base a essi, ho personalità differenti. La nostra interiorità non è però un album di fotografie. Noi non siamo oggetti, ma processi. Io sono, in fin dei conti, la mia ricerca di me. Esisto perché cerco il mio me stesso. Non al fine di ritrovarmi: il fatto che cerchi me stesso è il segno che mi sono già trovato."


[Mircea Cărtărescu, : "Perché amiamo le donne"]

sabato 12 marzo 2016

Mircea Cărtărescu . Travesti


Romanzo del 1994 che riprende, ampliandolo, un tema già trattato ne I gemelli, uno dei racconti presenti in Nostalgia (1993), e che presenta in nuce anche diverse delle tematiche proprie della poetica Cărtărescuana.
La trama è costituita dal lungo monologo di Victor, scrittore che si rifugia in una baita i montagna per trovare l’ispirazione necessaria a scrivere il suo libro, ma si ritrova a fare i conti con un ricordo della gioventù (un amico travestito da ragazza) dal quale non riesce a liberarsi e del quale cerca di esplorare il significato.
“Sai, Victor, che la mia solitudine ha sulla sua pelle bianca un ascesso e che questo ascesso si chiama Lulu? Sai che sono venuto qua per ricordarmi la pelle di quella ragazza che in me ha sempre trovato un oscuro riparo in cui poter cullare la sua bambola e che più giù, nel punto in cui l’orlo dell’abito tocca la pelle dolce e trasparente del polpaccio, ho trovato ora un ascesso miserabile che si chiama Lulu.”
Tra ricordi e sogni, alternando il punto di vista di Victor-scrittore a quello di Victor-ragazzo, Cărtărescu sviluppa un racconto che contiene, come detto, aspetti che verranno ampliati nelle opere più mature (penso, ovviamente, alla trilogia di Abbacinante): la solitudine (come una corda tesa sulla follia incombente), il tema del doppio, la scrittura come strumento salvifico e di tortura (anche qui il doppio), l’aspirazione a realizzare il romanzo totale, onnicomprensivo, contenente tutte le domande e tutte le risposte, l’adolescenza vissuta da escluso rispetto agli altri, intesa come età dell’infelicità e di preparazione per il progetto futuro, sogno e realtà che finiscono per sfumare l’uno nell’altra e per confondersi e soprattutto la sfrenata immaginazione (vero marchio di fabbrica dell’autore rumeno), capace di creare vortici di parole che danno vita a universi paralleli nei quali uomo e ragno finiscono per compenetrarsi e dare origine a qualcosa di diverso, avvitandosi in spirali vertiginose che salgono a folle velocità verso il cielo in cerca di una via d’uscita dall’esistenza, in cerca di una porta che non esiste che metta in comunicazione tutti i mondi possibili (e impossibili).



Per stile e contenuto Travesti non mi è sembrato ancora al livello di Abbacinante. A volte troppo descrittivo, con qualche difficoltà nel gestire la quantità e qualità del materiale messo in campo, risulta comunque romanzo utile a chi voglia iniziare la lettura dell’autore rumeno, forse prescindibile per chi ha già conosciuto il “caleidoscopio psichedelico” di Abbacinante, ma sicuramente interessante per apprezzare le fasi della crescita del progetto Cărtărescuano.

domenica 6 marzo 2016

Mircea Cărtărescu - Una motocicletta parcheggiata sotto le stelle


sono una motocicletta parcheggiata sotto le stelle,
accanto alla vetrina di un negozio che ripara televisiori.
dall’andito viene uno spiffero notevole. sono pallida, emaciata.
nel negozio hanno lasciato una luce accesa, sicché un paio di tubi catodici
vasi d’asparago e di cactus, scaffali di lamiera stipati di carcasse di televisiori, cassette AFGA e cavi
luccicano confusamente, popolano la mia solitudine.
mi sento sola infatti.
nel mio specchietto retrovisore pullulano le galassie,
svaporano le stelle in sciamature sferoidali,
trasmettono il proprio ansimare le radiosorgenti
allontanandosi tutte in velocità, come dei criminali dal luogo del delitto che si lasciano dietro una traccia d sangue.

che silenzio. talvolta mi chiedo

cosa potrà significare fare all’amore. loro parlano
infatti solo di questo. ogni sabato m’inforcano
e mi spingono sulle strade. vedo le colline, le nuvole, il sole
le gocce di pioggia, gli alberi che si aggrovigliano nell’arcobaleno…
ah , i cilindri battono in me all’impazzata. allora sento veramente di vivere.
loro entrano in un motel e fanno all’amore.
loro sono i Padroni e si sentono liberi.
ma come può essere qualcuno libro quando è fatto di cellule?
...e torno di nuovo nell’andito, accanto a una polverosa vettura dacia.
ho sete d’amore. se potessi amare almeno uno spinotto con prolunga di questa vetrina.
lascerei scivolare le mie dita sulla sua pelle di plastica bianca, se lo volesse
e se avessi delle dita. se potessi vivere
almeno nel campo bioelettrico del cactus…
presto, ben presto morirò, e non avrò fatto nulla in questo mondo, mi getteranno tra i ferri vecchi
mi spaccheranno il fanale e la lampadina bruciata mi rimarrà sospesa a due fili di rame.
per tutta la vita ho aiutato gli altri a fare all’amore
e io morirò in mezzo a bobine, magneti e cardi.

sono una motocicletta parcheggiata sotto le stelle.

domattina m’inforcheranno di nuovo, mi torceranno il manubrio, mi metteranno in moto
e rieccomi sull’asfalto variegato, fra le colline rossicce, fra i monti azzurri,
fra gli avvallamenti percorsi da fiumi
superare i passaggi a livello, attraversare luminose cittadine di provincia
marciando controvento fra sprazzi di pioggia e gas di scappamento,
divorando chilometri.
vorrà significare questo fare all’amore?
come che sia, questa è la mia consolazione, il mio mestiere, è il mio amore.
per questo merita essere soli.

[Mircea Cărtărescu "Poema dell'acquaio"]

domenica 22 novembre 2015

Mircea Cărtărescu – Nostalgia


Cinque racconti nei quali troviamo alcune delle tematiche della produzione cartarescuana che saranno poi abbondantemente riprese e sviluppate nella trilogia di Abbacinante: il dualismo sogno/realtà, la solitudine, le ossessioni, il rifugio nella scrittura come strumento di difesa nei confronti del mondo, il viaggio verso l’assoluto e la ricerca di una “porta” che permetta di entrare e uscire a piacimento dal reale.
Il primo racconto, l’uomo della roulette, è una storia borgesiana nella quale la letteratura è utilizzata come “cavallo di Troia” per passare dalla realtà al sogno, la dimensione che l’autore predilige, il luogo dove l’impossibile diventa possibile e i personaggi non muoiono mai.
Nel secondo, il Mendebile, si parla di un ragazzino diverso da tutti gli altri (Mendebilul in rumeno è lo psicolabile, il debole di mente, ma anche l’escluso), un bambino dalla personalità magnetica in grado di conquistare gli altri mostrando loro le potenzialità della parola e della fantasia sull’azione. Il Mendebile è un suscitatore di sogni, una specie di illusionista in grado di mostrare punti di vista diversi da quelli considerati fino a quel momento, una specie di Prometeo che affascina e seduce gli altri fino a quando riesce a cavalcare il potere eversivo della parola, ma destinato a veder concludere la parabola del suo successo quando mostrerà di non essere immune al fascino di emozioni e passioni proprio come tutti.
I gemelli è il racconto di un rapporto a due che non riesce ad evolvere, un tira e molla continuo che attraversa il confine tra fisiologico e patologico trasformandosi in ossessione,. L’amore – dice l’autore – è al tempo stesso qualcosa di naturale e di inspiegabile e le dinamiche che scaturiscono da questa contraddizione sono al centro dell’indagine di Cărtărescu che viviseziona i sentimenti e i comportamenti del protagonista della storia come un pezzo anatomico passato al microscopio. Come proteggersi da una realtà che ci chiama con canto di sirena per farci cadere tra le sue spire? Smettendo di guardare la nostra immagine riflessa nello specchio (ancora Borges): l’unica maniera che abbiamo di sfuggire alle seduzioni del mondo materiale è quella di evitare di guardarlo, per non finire irrimediabilmente risucchiati al suo interno. Se non guardare il mondo è un modo per proteggere il nostro corpo, scrivere è la risposta che Cărtărescu propone per difendere la nostra mente, consapevole però che quella che sceglie di combattere è una lotta impari destinata alla sconfitta: il destino dell’uomo è quello di precipitare nel gorgo del mondo e ogni passo che egli compie per tirarsi fuori dalle sabbie mobili della realtà finisce per farlo scivolare ancora un po’ di più verso il fondo.
REM è una storia che definirei murakamiana con echi kafkiani (il punto di vista del narratore è quello di un insetto), una specie di cammino iniziatico verso il REM, origine e spiegazione di ogni cosa, l’uscita e l’ingresso, l’inizio e la fine. Una storia stranissima, che fa da contenitore e contenuto e che si avvita su se stessa con la forza di un vortice marino che ci attrae trascinandoci al suo interno.
Il tema delle ossessioni ritorna prepotente nell’architetto, l’ultimo racconto della raccolta, nel quale, appunto, un architetto attribuisce al clacson della sua automobile un significato che travalica quello consueto, stabilendo che sia lo strumento che essa utilizza per esprimere se stessa, per comunicare con l’esterno. Di qui una serie di conseguenze immaginifiche fino a un’antropizzazione dell’auto o a un’”oggetivizzazione” dell’uomo, al punto che i due diventano qualcosa di simbiotico, un unicum che pian piano perde in contatto con la realtà assurgendo a qualcosa di superiore, mistico, una specie di buco nero che finisce per inglobare tutto quello che incontra.


sabato 31 ottobre 2015

Mircea Cărtărescu – Abbacinante. L’ala sinistra



Mi ricordo, vale a dire invento.

Cărtărescu vive in un mondo tutto suo, una specie di zona grigia sospesa tra sogno e realtà, un territorio dove - più o meno - siamo stati tutti, prima di tornare alla tranquilla routine della quotidianità. Ecco, la differenza è che Cărtărescu in quel mondo ci vive, eterno viandante di una terra di mezzo in cui esperienza e immaginazione si contaminano fino a confondersi una nell'altra.  
L’esperienza sono i ricordi, la materia prima con la quale l’autore si diverte a giocare, montandoli e smontandoli a suo piacimento. Il protagonista del romanzo diventa così una specie di matrioska: ogni ricordo che contiene dentro di sé è modificato da quello successivo e la loro stratificazione nel tempo aggiunge, se possibile, confusione a confusione. Effetto voluto e cercato da Cărtărescu che non si propone di mettere ordine nella memoria, ma di rimettere disordine nei suoi pensieri.
Mi ricordo, vale a dire invento: ecco il punto nodale ( o uno dei punti nodali) del romanzo e della filosofia Cărtărescuana in genere: non spiegare tutto, non governare il disordine, ma cavalcarlo, descriverlo, raccontando le interazioni tra le parti che lo compongono, dando vita così a una serie di straordinarie passeggiate da talpa nella sequenza realtà-allucinazione-sogno.
Se folle è il fine, folle deve essere anche il mezzo usato per perseguirlo. E così ci troviamo davanti ad un romanzo dai ritmi sincopati che pretende attenzione da parte del lettore. Basta un attimo di distrazione e dalla placida narrazione dei ricordi ci si ritrova nel bel mezzo di un’allucinata guerra tra demoni ed angeli, zombie e viventi, per poi rientrare nell'alveo della normalità con altrettanta rapidità.
Se si decide di intraprendere la lettura di Abbacinante è bene essere disposti a correre, o meglio rincorrere Cărtărescu nei meandri della sua fantasia, pronti a seguirlo anche in descrizioni che spaziano dall'anatomico al filosofico, toccando anche tutto quello che c’è nel mezzo (e nel mezzo ci sono un sacco di cose…). Se si decide di iniziare questo viaggio è bene sapere che il capitano della barchetta nella quale stiamo per salire è un folle, uno che ha deciso di non sciogliere il dualismo soggetto/oggetto e che per questo si comporta sia da osservatore che da osservato, autore del romanzo e insieme personaggio di una storia scritta da non è lui. Siamo, al tempo stesso, parte di un tutto e tutto, assoluto e relativo insieme: ecco un esempio degli avvitamenti di cui Cărtărescu è maestro, con buona pace della linearità e della logica.
E a me piace da matti tanta caparbietà nell'imboccare volutamente strade senza uscita per dimostrare che è l’altezza dell’ostacolo con il quale si sceglie di confrontarsi a darci la dimensione di quello che siamo.
Già, da matti, perché Abbacinante è un progetto folle per lettori che apprezzino la follia, intesa come curiosità, voglia di superare i limiti del reale attraverso lo strumento della fantasia, un tentativo di costruire un mondo che sta all'incrocio di sogno, memoria ed emozioni, scavando nel passato con le armi del ricordo e dell’immaginazione per provare a ricostruire l’identità e la natura dell’uomo.

Concludendo, Abbacinante è un libro in cui, tra echi rilkiani (il punto danzante intorno al quale gira il mondo, la bellezza atroce), Cărtărescu sviluppa una teoria del mondo che pur essendo scritta in prosa è da leggere e interpretare secondo la chiave della poesia.

sabato 22 agosto 2015

Mircea Cărtărescu – Abbacinante. Il corpo.

Volare fuori, volare dentro. Comunque volare.

Libri belli ne ho letti parecchi, anche quest'anno. Storie intriganti, scritture originali...questo però è diverso. Qui entriamo in un territorio dove la trama e lo stile rappresentano solo una parte e nemmeno la più importante. Siamo nel campo delle opere destinate a rimanere, quelle che lasciano un segno: qui siamo dalle parti di Infinite Jest, tanto per capirci (pur con tutti i distinguo del caso).
Accade che la lettura di Abbacinante. Il corpo ti faccia sentire un privilegiato, come se fin dalle prime pagine fossi toccato da qualcosa di grande del quale vorresti far partecipi tutti, per vedere se anche a loro farà la stesso effetto. Ti è già successo, l'ha già provato qualche volta (poche volte) e sai perfettamente che è inutile cercare di definirlo. La letteratura c'entra, ma c'è anche dell'altro, c'è di più, qualcosa che ha a che fare con la capacità dello scrittore di toccare con le parole qualche ingranaggio dentro di te che credevi arrugginito, riuscendo a mettere in movimento la vecchia macchina del pensiero immaginifico con la quale non giocavi più da tanto tempo.
Credo che le opere più riuscite siano quelle che nascono da un bisogno dell'autore, libri scritti più per se stessi che per il lettore. Certo, gli ultimi Roth o Saramago (sono i primi nomi che mi vengono in mente) sono ottimi anche se il mestiere sembra avere un ruolo preponderante rispetto all'ispirazione, ma stiamo parlando di Roth e Saramago... Qui la tensione che muove la trama si sente tutta e Cărtărescu sembra assecondarla senza preoccuparsi troppo dei suoi compagni di viaggio, rincorrendo una storia che sembra attirare lui e noi come la luce le falene, avvolgendolo e avvolgendoci sempre di più nelle sue spire.Abbacinante. Il corpo non è un libro semplice, anche dal punto di vista stilistico: frasi lunghe, pochissimi a capo, passaggi di luogo e tempo improvvisi alternati a lunghe descrizioni della fisiologia del cervello o a dotte dissertazioni sembrerebbero costituire una barriera tra autore e lettori ma in realtà sono al servizio della storia. Non è possibile semplificare all'estremo, a volte la complessità è necessaria se vogliamo provare a capire. L'aspirazione dell'autore, folle e per questo affascinante, è quella di decrittare nuovamente il mondo, perché l'interpretazione che ne abbiamo dato finora è parziale e fallace e per farlo dobbiamo provare a trascendere la nostra natura umana.
Abbacinante. Il corpo può essere letto in molti modi, io lo vedo come una specie di esperimento di fisica nucleare nel quale Cărtărescu prende l'emotività e la potenza di sognatore di un bambino e la manda a sbattere a tutta velocità contro la capacità di razionalizzare dell'adulto, provando a descrivere cosa scaturisce da questo impatto e quello che si sprigiona è un misto di fuochi d'artificio e di energia stupefacenti. Un viaggio vertiginoso dove surreale, poetico, postmoderno, meta-narrazione e chissà quant'altro si intrecciano, dove il reale si confonde con la finzione e il ricordo con la fantasia. Un viaggio fatto di donne che indossano le ali per volare vicino alla luce, di uomini che si evirano per mondarsi dalle pulsioni della natura e avvicinare la verità, tappeti che si trasformano e diventano mondi interi e poi ancora: nani del circo, uomini serpente, personaggi che escono da un portone a Bucarest per trovarsi in un quadro ad Amsterdam, uomini-statua e statue-uomo e poi simboli, tanti simboli (sfera, spirale, conchiglia, ascensore, bozzolo, crisalide, farfalla)... difficile dar conto di tutto.
Un viaggio fatto di parole, che Cărtărescu utilizza come grimaldello per forzare la vita, per trovare un'uscita da questa scatola nella quale siamo costretti, una porta che ci permetta di entrare e uscire dal mondo a nostro piacimento. Un viaggio folle ,realizzabile solo grazie alla scrittura, l'unica in grado di fornirci le ali necessarie a volare fuori dal mondo e dentro di noi e di farci dimenticare per un po' che in realtà siamo solo pagine di un libro già scritto.

In ultimo (confido del fatto che nessuno mi avrà seguito sino al termine di questa sconclusionata recensione), c'è una nota personale che vorrei aggiungere: Abbacinante. Il corpo è anche un libro pericoloso. Perché allontana. Ti attira dentro con la forza di una calamita, ti porta in un altrove fatto di sogni e parole e così facendo ti allontana, fatalmente, dagli altri. E questo, almeno per me, è pericoloso.
Capita però che a volte passi qualcuno che vede il libro che stai leggendo, lo prenda in mano, alzi un po' il sopracciglio leggendo il nome dell'autore, giri il volume per scorrere velocemente tre righe della quarta di copertina (le prime tre, che arrivare sino alla fine costerebbe troppa fatica) e poi, visto che non è riuscito a farsi un'idea, ti chieda, più per curiosità che per interesse: “Di cosa parla?”. Succede che tu rimanga lì, sospeso tra la voglia di rispondere provocatoriamente “Parla del mondo” e quella, altrettanto maligna, di usare le parole di Cărtărescu “É un libro illeggibile, che non dice nulla, non vuole nulla e non significa nulla”, ma poi decida di provare a imbastire una risposta (breve, brevissima, sia chiaro, che il tuo interlocutore non ha tempo da perdere con un libro) che possa in qualche maniera soddisfarlo o incuriosirlo. Succede però che quando hai terminato la spiegazione e lo guardi per vedere se sei riuscito a comunicargli almeno un milionesimo di quello che la lettura di questo volume ti ha dato, incontri uno sguardo distratto. Il tuo amico è già andato oltre le tue parole, è ancora davanti a te ma non è più lì; ti restituisce il libro come se si trattasse di cibo andato a male e ti dice con tono che vorrebbe essere di ammirazione ma suona invece come compatimento: “Beato te, che trovi il tempo di leggere. Piacerebbe anche a me, ma con tutto quello che devo fare non ci riesco!”.
Ecco, è in questi momenti che sentirsi lontano invece che pericoloso diventa piacevole.