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sabato 1 febbraio 2020

Norman Manea – La busta nera


Temo la verità e non so neppure più se la voglio

Tolea è un uomo distrutto dal regime: accusato di condotta immorale e per questo degradato da professore in un liceo di provincia a portiere di un albergo ad ore, si trova a rischiare il licenziamento anche da lì e così decide di prender ferie per indagare sul passato del padre ucciso o suicidatosi anni prima dopo aver ricevuto una misteriosa busta. Dietro a questa trama Manea intesse un libro con un intertesto difficilmente apprezzabile pienamente dai non rumeni (io arrivo giusto ai barbari di Kavafis, non certo ai riferimenti a Caragiale…), un romanzo articolato su diversi piani di lettura, con la narrazione che oscilla continuamente tra realtà e immaginazione. Una cortina di fumo e metafore che l'autore è stato costretto ad alzare perché l'opera potesse superare il vaglio della censura di Ceaușescu e al tempo stesso per far arrivare al lettore il suo messaggio in bottiglia.
«Perché non entriamo tutti in prigione? Questa è la domanda. Perché non abbiamo questo coraggio» domanda ad un certo punto il protagonista «Beh, dove siamo?» è la risposta fulminante del suo interlocutore.
Ironia amara, consapevolezza di vivere in una gabbia, in un regime che imponeva l'annullamento della personalità dei singoli nelle sabbie mobili della mediocrità, con la folla chiamata a recitare il ruolo di comparsa nella grande farsa della vita sotto il dominio del Conducător. Un mondo fatto di sorvegliati e sorveglianti, tutti remissivi, sottomessi e sonnolenti, adattati ad una normalità che però non era normale. Cosa rimane a chi come Tolea/Manea decide di sottrarsi al giogo comunista? Ben poco, se non la fuga dentro se stessi: indossare una maschera e percorrere una strada stretta sempre sul limite dell'alienazione. Tolea cerca, inutilmente, nel passato una risposta alla situazione presente, come se comprendere possa essergli di qualche aiuto, costretto poi ad ammettere di temere la verità:
«Ma io vado oltre e dico: temo la verità e non so neppure più se la voglio.»

domenica 2 dicembre 2018

Norman Manea – Il ritorno dell'huligano



 Quando l'autobiografia è anche grande letteratura

L'autobiografia di Norman Manea in forma di romanzo. La storia di un esule nel mondo accompagnato da un senso di colpa, prima per non essere partito e poi per averlo fatto. La storia di un ebreo errante perennemente in fuga, dalla dittatura del generale Antonescu prima e da quella di Ceaușescu poi: dallo sradicamento dalla Bucovina per finire in Transnistra durante gli anni dell'infanzia, fino all'espatrio nel 1986 in America, il "Paradiso" dove non manca niente, nemmeno la depressione ("Non manca niente in Paradiso: cibo, vestiario e giornali, materassi, ombrelli, computer, scarpe, mobili, vini, gioielli, fiori, occhiali, dischi, lampadari, candele, lucchetti, catene, cani, uccelli esotici e pesci tropicali. E negozianti, saltimbanchi, poliziotti, parrucchiere, lustrascarpe, contabili, puttane, mendicanti: tutte le fisionomie, le lingue, le età, le altezze e tutti i pesi").
Manea è l'huligano del titolo, termine da intendere non nell'accezione moderna di teppista ma in quella che fa riferimento a un libro di Mihail Sebastian: huligano nel senso di marginale, non allineato al pensiero comune, escluso, "l'altro" per antonomasia.
Un libro che con una scrittura ricca racconta la storia dell'autore e quella della sua famiglia: ricordi, immagini, echi di voci lontane, fotografie dalle quali prova a ricostruire fatti accaduti tanto tempo prima. Non si procede in ordine cronologico, ma per episodi che come tessere vanno a comporre un mosaico nel quale c'è la vita di Manea ma anche la storia della Romania moderna. L'infanzia, la fascinazione del comunismo, la menzogna come rifugio e poi il risveglio dall'illusione, la scelta della facoltà di Ingegneria, la malattia dello scrivere, il rapporto con la madre… un racconto nel quale vita e letteratura si intrecciano e si confondono, perché per Manea la letteratura è vita.
La lingua rimane l'unico punto fermo, il suo rifugio, la vera Patria dell'autore, quella che definisce "la casa della lumaca", l'elemento in grado di conferirgli quella coerenza e quella di identità che niente e nessuno possono portargli via.
Lettura interessante di un autore che merita un ulteriore approfondimento.