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sabato 6 febbraio 2021

Guerra e guerra – László Krasznahorkai

 


La Bellezza salverà il mondo.

Terzo in ordine di tempo dei romanzi di Krasznahorkai arrivati in Italia (Satantango è del 1985, Melancolia della resistenza del 1989 e Guerra e guerra del 1999), ed ennesimo capolavoro dello scrittore ungherese.
«È finita, di nuovo…», dice già nelle prime righe Korin, il protagonista di È arrivato Isaia, il racconto che fa da prologo al romanzo, «Tutto è rovinato, tutto è abbruttito.»
Già, abbruttito. L'uomo, con l'ausilio divino, ha rovinato il mondo spazzando via la bellezza e rendendo ogni cosa rozza e volgare. Non c'è speranza, nessuna possibilità di comprendere, la storia ha cancellato le idee stesse di nobile e sublime e lui, Korin, ha visto il futuro e ne è rimasto inorridito.
Korin è un archivista che sin da piccolo «riusciva a identificarsi solo con la sconfitta» e con il dolore che l'accompagnava, un uomo che improvvisamente precipita in uno sconforto esistenziale ma la cui vita subisce una svolta dopo la scoperta di un manoscritto («un testo impressionante, epocale, emozionante e geniale») che diventa per lui l'unico scopo di vita e che decide di consegnare all'immortalità affidandolo ad Internet. È un manoscritto che racconta di quattro personaggi che in vari momenti del tempo e dello spazio incontrano la bellezza ma proprio quando sembrano sul punto di creare un paradiso in terra sono costretti a fuggire dallo scoppiare di una guerra che sembra essere ogni volta inevitabile.
La figura allucinata di Korin si staglia sull'indifferenza di un mondo destinato alla catastrofe e leva forte il suo grido di dolore: «io non sono impazzito, ma vedo le cose con una tale chiarezza che è come se lo fossi.». Forse è proprio così e la follia è l'unica ancora di salvezza che rimane all'uomo, follia intesa come uscita dai canoni che scandiscono le nostre vite. Korin finirà così per legare il proprio destino a quello dei quattro personaggi forzando il diaframma che divide realtà e finzione per provare a sottrarli alla loro sorte grazie al potere salvifico dell'Arte.
Guerra e Guerra è un libro enorme nel quale Krasznahorkai affida le sue riflessioni a lunghi monologhi, con frasi contorte che cercano di correggere, chiarire… e intanto ci tirano sempre più dentro alla trama, partecipi di un mondo complesso, fatto di processi mentali un magma di parole dove tutto è in movimento verso un dove che non si chiarisce. Una tensione costante che non garantisce la certezza dell'approdo sicuro, un viaggio avventuroso e carico di insidie che vale la pena di essere vissuto.

«Cerco di trovare una via tra realtà e finzione,» dice Krasznahorkai in un'intervista del 2011 a Music & Literature «tra il peso dell'esistenza e della finzione. La giusta proporzione è il problema principale nell'arte oggi, penso, tra finzione e realtà. Forse questo è un problema irrisolvibile, ma cerco di risolverlo, nel mio caso, in letteratura.»


Links
https://www.doppiozero.com/materiali/guerra-e-guerra-storia-e-romanzo
https://www.newyorker.com/magazine/2011/07/04/madness-and-civilization
https://www.musicandliterature.org/features/2013/12/11/a-conversation-with-lszl-krasznahorkai

sabato 25 febbraio 2017

László Krasznahorkai - Satantango



Fisiopatologia dell'attesa.

Una scrittura densa, materica, con frasi lunghe e ricche di subordinate che cercano di riprodurre su carta la lingua parlata, rinunciando così a semplificare i concetti ma esponendoli per come vengono fuori, anche in maniera farraginosa. Una lettura a tratti faticosa, con la quale si fatica ad entrare in sintonia, ma che ripaga dell’attenzione che richiede perché a forza di farsi strada nei meandri della narrazione di Krasznahorkai si finisce per ritrovarsi nel bel mezzo della storia. Una storia che è attraente e al tempo stesso straniante, che racconta ma non spiega e complica quando finge di chiarire.
Una storia raccontata per immagini, per tessere che poste una accanto all’altra vanno a costituire il mosaico di Satantango, un mosaico che sembra privo di un centro, nel senso che non c’è un protagonista assoluto ma una serie di personaggi (tutti molto bel tratteggiati e sviluppati nei loro caratteri) ognuno dei quali è protagonista della “sua” storia, della storia che vive e racconta dal suo punto di vista. Cambiamenti di prospettiva (lo stesso avvenimento visto attraverso occhi diversi) e alternanza dei piani temporali (per tacere dei simboli e delle fughe in avanti, in un mondo onirico tra fantasia e realtà), caratterizzano un romanzo dominato da un’atmosfera cupa, fatta di pioggia, oscurità e fango.
Fango come metafora che tutto sommerge e rende uguale, fango che rallenta i movimenti e che costringe all’immobilità. Quell’immobilità nella quale si trovano tanto bene i protagonisti della storia, un gruppo di disperati che attende l’attesa di Ieremiás, il deus ex machina che promette di portarli fuori dalle secche nelle quali la loro vita è precipitata. Futaki, Halics, Kerkes la signora e il signor Schmidt e gli altri sono morti che camminano, ciechi che vagano nel buio come i protagonisti del romanzo saramaghiano, uomini e donne che si sono auto-condannati all’attesa: aspettano per indolenza, per incapacità, perché ci hanno provato ed hanno fallito, perché non hanno mai trovato la forza per provarci… Aspettano perché non sanno far altro e intanto che aspettano cercano di dimenticare la realtà con l’alcool e con la danza, quel tango satanico che è l’ultimo sberleffo, l’unico sistema che conoscono per dimostrare a se stessi di essere vivi, almeno fino a quando non sarà passata la sbornia e tutto tornerà come prima.
Ieremiás è il Godot tanto atteso, che a differenza dell’eroe beckettiano però ad un certo punto si materializza, anche se con le sorprendenti fattezze del Don Chisciotte cervantiano con tanto di Sancho Panza al seguito (il fidato Petrina). Solo le fattezze però, ché Satantango non è un romanzo di eroi o di lieto fine e Ieremiás si rivelerà essere un truffatore di basso cabotaggio, un piccolo uomo che vive di espedienti come tutti gli altri. Non è più tempo di messia, sembra dirci Krasznahorkai, eppure quando il cielo è grigio e i tempi sono confusi gli uomini non possono fare a meno di cercarli, e di mettere nelle mani di qualcuno le loro vite. Poco importa chi sia quel qualcuno, l’importante è che sappia accendere ancora una speranza, che è l’unica (l’ultima) cosa a tenere in vita persone che da tempo hanno smesso di credere in qualcosa, e pazienza se poi speranza fa rima con illusione.

Satantango è un gran romanzo, ricco di spunti e con tanti piani di lettura, simboli (le campane, ad esempio), sprazzi di fantastico (la bambina morta – una delle figure più riuscite e sorprendenti del libro - che fluttua in aria come un personaggio chagalliano), zone oscure, pugni nello stomaco (la sadica fascinazione dei bambini per la violenza) e poi un finale che sembra tornare all’inizio, quasi a suggerire che è il personaggio del dottore il vero autore della storia che sta raccontando.

domenica 20 luglio 2014

László Krasznahorkai – Melancolia della resistenza


Libro strano e bellissimo. Una prosa densa, frasi lunghe e nessun 'a capo', periodi che costringono il lettore a rimanere sempre concentrato per non perdere il filo del discorso, in netta controtendenza rispetto a tanta letteratura contemporanea. Una scrittura che serve (anche) a farci entrare nel romanzo a poco a poco, con trama e personaggi che si rivelano con tempi - anche qui - più lenti rispetto a quelli a cui siamo abituati. Krasznahorkai costruisce un romanzo sul quale incombe un'atmosfera nebbiosa e cupa che mette in dubbio le certezze fin dalla prima pagina: 

 ...l'ordine delle abitudini non era più indiscutibile, la confusione si ramificava indomabile a sconvolgere la normale quotidianità, il futuro appariva insidioso, il passato lontano e dimenticato, mentre il normale corso delle giornate era talmente imprevedibile che la gente si era arresa... 

 Melancolia della resistenza è un romanzo corale, nel quale l'autore sceglie di farsi da parte e lasciare la parola ai protagonisti. La storia è raccontata da ognuno dei personaggi secondo il suo punto di vista, ognuno è chiamato a dire come si confronta con il caos che compare all'improvviso a sgretolare un ordine che si credeva immutabile. Ed ecco scorrere sotto i nostri occhi una teoria di strategie, di comportamenti, di tecniche diverse che ognuno mette in opera per affrontare la partita con la vita. 
 C'è chi si difende, come la signora Pflaum:

..abituata a osservare il folle turbinio del mondo esterno dal suo benefico rifugio, e dalla considerevole distanza di quell'universo intimo tutto era così estraneo da apparire incerto, nebbioso, informe, confuso, come adesso – di nuovo seduta dietro la sicurezza, finora impeccabile di una porta chiusa a chiave, come se bastasse una serratura per dimenticare il mondo... 

e chi gioca in attacco, come la signora Eszter: 

 ...Sentendosi padrona del futuro, guardava la città con gli occhi di un'audace ereditiera, convinta di trovarsi alle soglie di “un'era radicalmente nuova, gravida di promesse, che avrebbe spazzato via tutto”... 
...Il dubbio in lei non esisteva, non temeva l'imprevisto, si sentiva sicura di sé come solo lei sapeva esserlo... ...un soldato fatto e finito, che conosceva solo un ritmo, la marcia, e una sola melodia, la carica... 
...Voleva che riscoprissero principi sani come la forza, l'azione, il re-a-li-smo, bisognava “spazzar via” i mercanti di illusioni, gli ingannatori, i deboli, che non volevano riconoscere la legge che ci governa: la vita è una guerra di vinti e vincitori... 
...C'era un solo segreto, “non bisogna vedere a certe piccole, viscide illusioni, ma fare i conti solo con le cose concrete”. Questo era il punto più importante, “non cedere” a illusioni generalmente devastanti, come la storia che “il mondo è governato da un cosiddetto Dio, dalla morale, e naturalmente dalla bontà”, per lei il mondo degli uomini era piuttosto “un canneto di meschini interessi”, un canneto dove comanda il vento, e il vento era lei... 

C'è poi chi la partita ha rinunciato a giocarla, come il signor Eszter, che si dichiara vinto e sceglie di chiudersi in casa accettando di essere stato sconfitto dalla vita e convinto del fallimento dell'umanità, dell'impossibilità di comprendere il disegno del creatore perché non esistono né disegno né creatore e l'universo è solo un alternarsi ineluttabile di distruzione e creazione, una lotta tra ciò che resiste e ciò che tenta di sconfiggere la resistenza, sul quale è inutile speculare. Un tempo aveva sperato che la musica fosse l'unica possibilità per resistere e opporsi alla “appiccicosa lordura” del mondo, ma presto aveva dovuto ammettere che anche questa era solo un'illusione, per cui aveva deciso di ritirarsi, distaccarsi, dedicarsi esclusivamente alla gioia inesprimibile della rinuncia. 
E c'è anche chi ha provato a fuggire rifugiandosi nella follia, come Valuska che vive nel suo mondo di fantasia: 

...navigava col pensiero e con le visioni, si muoveva libero nello spazio immenso e imperscrutabile come se quello fosse il suo vero mondo, in questo, prigioniero della sua libertà, non riusciva a trovare posto... 
...il suo cervello, preda di un meravigliato stupore, era completamente scollegato dalle normali faccende terrene. Camminava “a occhi chiusi, instancabile, con l'animo perso nell'incurabile bellezza del suo cosmo personale”... 

almeno fino a quando la realtà irrompe con la brutalità della violenza insensata a distruggere le fragili difese che si era costruito e lo costringe all'impasse 

...poiché il paesaggio originale non c'era più sulla carta, e in quello nuovo non sarebbe stato capace di muovere un solo passo alla vecchia maniera, la cosa migliore era dimenticare tutto... 
...ormai anche il “suo cuore” era morto, aveva imparato “a stare con i piedi per terra e tutto era ormai chiaro”, non credeva più che “il mondo fosse un luogo magico” … 
...era uscito da un sogno malato, ma giocoso, e si era “risvegliato in un deserto” dove le cose non sono null'altro che entità tangibili... 

 E poi c'è la gente, la massa anonima che non capisce quello che succede e si rifugia nella superstizione e non sapendo reagire al caos si chiude in se stessa, diventando facile preda tanto per chi porta distruzione quanto per chi vuole impadronirsi del potere. 
Melancolia della resistenza è un libro sulla natura e la storia dell'uomo, sulla crisi della società, sull'ignavia delle masse e sulla pericolosità dell'ambizione dei singoli, ma soprattutto un libro sul senso della vita, che racconta non tanto la lotta eroica dell'uomo nella vana ricerca di trovare una logica nell'universo, un'armonia nelle cose del mondo, quanto quello che succede dopo che l'uomo si è reso conto dell'inutilità dei suoi sforzi e si è arreso al fallimento, quando come unica forma di difesa, non gli resta altro che una resistenza passiva nei confronti della vita.

sabato 12 luglio 2014

Del nosto impotente orbitare nel cosmo



...ogni racconto confermava perfettamente la fondatezza dei suoi sospetti: il legame di causa ed effetto tra le cose, l'illusione che gli eventi siano prevedibili, insomma, quella che si chiama razionalità “era andata a farsi benedire per sempre”. «Siamo protagonisti di un fallimento» continuò Eszter «abbiamo completamente fallito con le azioni, i pensieri, l'immaginazione, e persino nei nostri pietosi sforzi di capire il perché del nostro fallimento; abbiamo sbagliato tutto in questo universo. La gente parla di apocalisse e giudizio universale perché non sa che non ci sarà né un'apocalisse, né un giudizio universale... sarebbero completamente superflui, le cose vanno in rovina da sole, tutto si distrugge per poi ripartire di nuovo da capo, e avanti così senza sosta, evidentemente perché così deve essere, come il nostro impotente orbitare nel cosmo: una volta partiti, non ci si ferma più. Mi sento le vertigini e mi annoio come tutti quelli che sono riusciti a liberarsi dall'illusione che dietro questo ciclo doloroso di costruzione e distruzione, nascita e morte, sia sospettabile la presenza di un piano preciso, una sorta di gigantesca e magnifica finalità... Che in origine... a suo tempo... ci fosse qualche idea in giro ovviamente è possibile, ma sul nostro mondo che è diventato una valle di lacrime meglio stendere il velo del silenzio, almeno per lasciare in pace l'oscuro ricordo di colui al quale dobbiamo tutto ciò. Meglio il silenzio, smettiamo di almanaccare sulle intenzioni, sicuramente sublimi, del nostro antico protettore, e provare a indovinare lo scopo cui siamo stati destinati, perché l'abbiamo già fatto abbastanza, ma come si può vedere non siamo finiti da nessuna parte. L'insaziabile curiosità con la quale ci siamo lanciati incessantemente contro il mondo non è stata coronata dal successo. Meglio andarci cauti con le ricerche e tentativi al buio, sarebbe più corretto accontentarsi della magra verità che tutti noi sperimentiamo sulla nostra pelle: non siamo altro che miseri soggetti di un insignificante fallimento in questo affascinante creato, tutta la storia umana si può riassumere in quattro pietose spacconate replicate da poveri sciocchi, e nella dolorosa ammissione di un errore, nel lento riconoscimento di una verità deprimente: il mondo che abbiamo costruito non ci è riuscito così brillantemente.»

[László Krasznahorkai: "Melancolia della resistenza"]