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mercoledì 3 agosto 2016

Watt: l'inganno delle parole


Watt si trovava ora in mezzo a cose che, se consentivano di essere nominate, lo facevano per così dire con riluttanza.
Guardando una pentola, per esempio, o pensando a una pentola, una delle pentole del signor Knott, a una delle pentole del signor Knott, invano Watt diceva, Pentola, pentola. Beh, forse non del tutto invano, ma quasi del tutto. Infatti non era una pentola, più guardava, più rifletteva, più si sentiva sicuro di ciò, che non era affatto una pentola. Assomigliava a una pentola, era quasi una pentola, ma non era una pentola di cui si potesse dire, Pentola, pentola, ed esserne sollevato. Invano adempiva, con impeccabile adeguatezza, a tutti gli scopi, e forniva tutte le prestazioni, di una pentola, non era una pentola. Ed era proprio tale impercettibile differenziarsi dalla natura di una vera pentola che tanto angustiava Watt. Perché se l'approssimazione fosse stata meno grande, allora Watt si sarebbe dato minor pena. Perché allora non avrebbe detto, Questa è una pentola, eppure non è una pentola, no, ma allora avrebbe detto, Questo è qualcosa di cui io non so il nome. E Watt preferiva, a conti fatti, aver a che fare con oggetti di cui non sapeva il nome, sebbene anche questo fosse penoso per Watt, piuttosto che aver a che fare con oggetti di cui il nome noto, il nome accettato, non era il nome, non lo era più, per lui. Perché poteva sempre sperare, di una cosa della quale non aveva mai saputo il nome, che ne avrebbe imparato il nome, un giorno o l'altro, e così essere tranquillizzato. Ma non poteva aspettarsi questo nel caso di un oggetto il cui vero nome aveva cessato, improvvisamente, o gradatamente, di essere il vero nome per Watt. Perché la pentola rimaneva una pentola, di questo Watt si sentiva sicuro, per tutti all'infuori di lui. Per Watt solo non era una pentola, non lo era più.

sebbene accadesse talvolta che un momento di riflessione fosse bastante a fissare il suo atteggiamento, una volta per tutte, verso le parole quando risonavano, di modo che gli piacevano, o gli dispiacevano, più o meno, più o meno, secondo un piacere o dispiacere inalterabile, pure questo non accadeva spesso, no, ma pensando ora così, ora colà, alla fine non sapeva che cosa pensare, delle parole che avevano risonato, anche quando erano piane e semplici come quelle sopra, dal significato così evidente, e dalla forma così inoffensiva, questo non aveva importanza, non sapeva che cosa pensarne, da un anno all'altro, se ritenerle prive di significato, o ricche, o indifferenti.

mercoledì 11 maggio 2016

L'inganno delle parole: A. Moresco

 
Cominciano sempre così, in un primo momento, le parole...” mi dicevo andando verso la chiesa “quando una è partita non si ferma più. L’aria acquista una certa quantità di moto, non può fare altro che continuare ad andare, ad avanzare, anche quando ormai la sua forza motrice non agisce più. Attira a sé altre parole, altri suoni che non può non incontrare sulla sua strada, altri ancora ne comincia a suscitare, e questi a loro volta ne suscitano altri e altri ancora... si espande sempre di più, solleva cartacce, ramazza dappertutto onde sonore, ingloba piccoli e grandi trasferimenti d’energia, spostandosi da un punto all’altro dello spazio, interi fronti vocali cominciano a scollarsi, non si capisce neanche più se è trascinante oppure trascinata, le sue pareti dilagano irresistibilmente, formano in un istante le necessarie connessioni, mentre la sua forza centrifuga aumenta ancora di più, smotta su altri piani che a loro volta smottano, le sue superfici cominciano a scottare, attira a sé colonie sonore sterminate, si raccoglie a valanga su se stessa, rotola sempre più irradiata e irradiante, sradica, strappa, e alla fine non può che assumere poco per volta l’inconfondibile aspetto di una grande sfera di fuoco che rovina...”

Sentivo le parole andare e venire rallentate eppure tutte attaccate. “Come fare a staccarle?” pensavo confusamente nel dormiveglia. “Ed è poi veramente possibile staccarle? Precedendo di molto la parola già pronunciata, forse, la prima parola mai pronunciata, oppure trattenendo così a lungo quella ancora da pronunciare che tutte le altre non possano che staccarsi e sgranarsi per forza nella loro corsa...”

sabato 24 gennaio 2015

A me piace sentire le cose cantare


Io temo tanto la parola degli uomini. 
Dicono tutto sempre cosi’ chiaro: 
questo si chiama cane e quello casa, 
e qui è l’inizio e là la fine! 

E mi spaventa il mondo, lo schernire per gioco, 

mi spaventa che sappiano tutto ciò che fu e sarà; 
non c’è montagna che li meravigli; 
le loro terre e giardini confinano con Dio!

Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani! 

A me piace sentire le cose cantare! 
Voi le toccate. Diventano rigide e mute! 
Voi mi uccidete le cose!

[Rainer Maria Rilke: "Poesie"]

domenica 12 ottobre 2014

Della distanza tra parola e significato


Sono così poche le cose di cui l’uomo ha bisogno, amare, gioire, mangiare, e poi un giorno muore. Eppure si parlano più di seimila lingue nel mondo, che bisogno c’è che siano così tante, per esprimere desideri così semplici? E perché ci riusciamo solo di rado, perché la luce che abita nelle parole impallidisce già mentre le scriviamo? Una carezza può dire più di qualsiasi parola del mondo, è vero, ma la carezza svanisce con gli anni e allora abbiamo di nuovo bisogno delle parole, sono le nostre armi contro il tempo, contro la morte, contro l’oblio, contro l’infelicità. Quando l’uomo ha pronunciato la sua prima parola è diventato quel filo che oscilla in eterno tra la cattiveria e la bontà, tra il paradiso e l’inferno. Sono state le parole a recidere le radici tra l’uomo e la natura, sono state il serpente e la mela e ci hanno elevato dalla sublime e ignorante condizione animale fino a un mondo che ancora non comprendiamo. La storia afferma che qui, una volta, quasi al principio dei tempi, la differenza tra parola e significato era a stento misurabile, ma le parole si sono consumate nel corso del cammino umano e la distanza che le separa dal loro significato si è talmente dilatata che nessuna vita, nessuna morte sembra più poterla colmare. Eppure le parole sono l’unica cosa che abbiamo.

[Jón Kalman Stefánsson: "Il cuore dell'uomo"]

sabato 23 agosto 2014

Parole, parole, parole...


Le nostre parole sono come squadre di salvataggio che non rinunciano alla ricerca, il loro scopo è riscattare gli eventi passati e le vite ormai spente dal buco nero dell’oblio.

Le parole sono frecce, proiettili, uccelli leggendari all'inseguimento degli dei, le parole sono pesci preistorici che scoprono un segreto terrificante nel profondo degli abissi, sono reti sufficientemente grandi da catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte le parole non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura varcano con facilità.

[Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno"]


Spesso le parole sono solo pietre inerti, indumenti consunti e laceri. Possono anche essere erbacce, portatori di infezioni nocive, assi marce che non reggerebbero nemmeno il peso di una formica, figuriamoci la vita umana. Eppure, le parole sono una delle poche cose di cui disponiamo davvero, quando tutto sembra prendersi gioco di noi. Tienilo a mente. E tieni a mente anche una cosa che nessuno capisce: le parole più insignificanti e improbabili possono caricarsi inaspettatamente di un pesante fardello, e condurre la vita in salvo, oltre burroni vertiginosi. 

Alcune parole sembrano sopportare il potere distruttivo del tempo, è così strano, certo, si stagionano, diventano un po’ opache, ma resistono e conservano in loro le vite trascorse da tempo, conservano il battito di cuori scomparsi, l’eco di una voce infantile, conservano antichi baci. 

Alcune parole sono scorze nel tempo, e racchiudono forse il ricordo di te. Le parole possono essere proiettili, ma possono anche essere squadre di soccorso. 

[Jón Kalman Stefánsson: "La tristezza degli angeli"]

sabato 16 novembre 2013

Ognuno vede le proprie cose


Vuol dire

Ora apro porte che sono solo mie
Ognuno ora apre le sue proprie porte
Ognuno ora vede le
sue proprie cose.
E se capita di trovarci di fronte alle stesse cose
le vediamo
con colori e forme ognuno
differentemente.
E se capita di vederle con
gli stessi colori
e con le stesse forme le vediamo
non nella stessa posizione
non dalla stessa posizione
non allo stesso tempo.
E se vediamo esattamente le stesse cose
nella stessa posizione dalla
stessa posizione
dello stesso colore e
della stessa forma
nello stesso tempo esattamente
vuol dire
vuol dire che abbiamo aperto l'
ultima
porta.

[Yiànnis Yfandìs]

domenica 14 ottobre 2012

Cercare le parole


Man mano che avanzava l'inverno, avevo la sensazione che i suoi occhi fossero diventati ancora più trasparenti. Ma nella loro trasparenza non si intravedeva nessun punto d'arrivo. Di tanto in tanto Naoko, senza alcuna ragione apparente, mi guardava fisso negli occhi come se cercasse qualcosa, e ogni volta mi prendeva una strana sensazione di tristezza e di impotenza.
Forse vorrebbe dirmi qualcosa, cominciai a pensare. Solo che Naoko non riesce bene a esprimere le cose a parole. No, il problema viene prima. E' dentro di sé che lei non riesce ad afferrare le cose. E' questa la prima ragione per cui non trova le parole, pensavo. E allora gioca continuamente con fermaglio, si asciuga le labbra con il fazzoletto, mi scruta a lungo negli occhi senza una precisa ragione. A volte pensavo anche che avrei voluto stringerla forte tra le braccia, ma esitavo e alla fine rinunciavo. Temevo che questo gesto avrebbe potuto sconvolgerla. Così continuavamo a camminare per le strade di Tokyo come sempre, e lei continuava a cercare le parole in quel suo spazio vuoto.


[Murakami Haruki: "Norwegian wood"]

domenica 29 aprile 2012

II


Una mattina di maggio, poca gente sul molo.
C'è una partenza da celebrare, un pensiero da consegnare.
Un sole pigro saluta le promesse del giorno,
voci di marinai scivolano sulla banchina.
Ogni cosa è in ordine,
tutto sembra chiaro e definito,
ciò che si vede è ciò che è,
non ci sono segni da decifrare.
La mano di un bambino scrive sull'acqua,
le mie mani affidano ad altre mani un pacchetto di parole:
poche sillabe, impossibili da equivocare.

Si levano le ancore, il viaggio sarà breve.
Dal mio porto al tuo, un braccio di mare compreso in uno sguardo,
dal mio porto al tuo, c'è un pensiero da consegnare.
Si gonfiano le vele, 
la nave scivola sull'acqua 
e mentre va tutto cambia
e la nave non è più la stessa nave.

Si va per il Mare della Relazione, che porta fuori dal sé,
che unisce e che divide,
che mescola le carte e diluisce le certezze.
Le parole si confondono, si svuotano e poi si riempiono
e quello che prima era certo ora è solo possibile.

All'arrivo è trascorso poco tempo dalla partenza, eppure è notte fonda.
Una luna sussiegosa risplende 
troppo lontano per accendere il mare nero.
Il pacchetto di parole passa attraverso mani
che lo consegnano nelle tue.
Quando lo apri scopri che contiene un pensiero
che è quel che è,
non quel che avrebbe dovuto essere.

Ma questo tu non lo sai e non lo saprai mai
e neppure io,
che te l'ho inviato.

[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]

sabato 21 aprile 2012

Parole, parole, parole...


A questo mondo tutto viene fatto a furia di parlare. Senza dubbio, è un po' ridicolo immaginarsi di esercitare Dio sa quale effetto con parole ben piazzate in una vita dove tutto in fondo dipende da un'ultima indicibile sfumatura. Il parlare si basa su un'indecente sopravvalutazione di sé.

[Hugo von Hofmannsthal: “L'uomo difficile”]

domenica 19 febbraio 2012

I



Sì, le avevo detto.
Sì, le avrò detto un milione di volte.
Ho sempre cercato di accontentarla. Sembrava felice.

Sì, mi diceva.
Ma io non sapevo mai cosa pensasse davvero.
Sì, dicevano le parole. Ma gli occhi... quelli scivolavano via: né accesi, né spenti.

Eppure io c'ero sempre per lei:
a versare parole suoi suoi silenzi,
a colorare le parti del foglio che rimanevano bianche,
Ad aprire le finestre per dare luce al buio,
ad annodare i fili che si erano rotti.
A nascondere le ombre nel fondo dei cassetti.

Sì, lui c'era sempre.
Ad aprire le finestre per far entrare la vita e lasciar uscire i sogni.
A ricucire la tela, a riparare, ad ordinare.
Sì, lui era bravo ad aggiustare le cose,
quello che non sapeva fare era accendere la luce.

Non capisco perché è successo, è questo che mi fa più male.

Non capiva, è questo.

[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]

venerdì 9 dicembre 2011

L'inganno delle parole

Così gli uomini concepiscono diversissime idee di una stessa cosa, ma esprimendo questa con una medesima parola, e variando anche nell'intender la parola, questa seconda differenza nasconde la prima. Essi credono di esser d'accordo, e non lo sono. Pensiero importantissimo, giacché si deve riferire non solo alle idee materiali, ma molto più alle astratte (che tutte in fine derivano dalla materia) e agli stessi fondamenti della nostra ragione.

[G. Leopardi: "Zibaldone"]

sabato 20 febbraio 2010

VI



Mi hanno detto: quello che dici, devi dirlo con il cuore
Ma anche: quello che dici oggi, domani potrebbe non essere più vero
E poi: non è importante quello che dici, ma come lo dici
Mi ripetevano: quando dici qualcosa,devi anche essere in grado di dimostrarla                                                                           
Prima di parlare pensa alle conseguenze che potrebbero avere le tue parole                                                                                          E' tutto nelle pause, più che nelle frasi
No, è tutto nello sguardo più che nelle parole
Quello che dici è un conto, poi bisogna considerare quello che capiscono gli altri
A volte si capisce più da un'espressione del volto che da tante parole
Non avere paura di dire quello che pensi
Pensaci bene prima di dire qualcosa
Quello che dici è importante, ma a volte conta di più quello che 
non dici.                                                                                             

[Xenia Dubinina: “Dialoghi afasici”]

sabato 7 novembre 2009

Il linguaggio (ostacolo alto)


Definiamo il linguaggio come il mezzo che ci serve per manifestare i nostri pensieri.
[...] La cosa più pericolosa di questa definizione è l'atteggiamento ottimistico con cui siamo soliti ascoltarla. Perchè ella stessa non ci assicura che mediante il linguaggio possiamo manifestare, con sufficiente adeguatezza, tutti i nostri pensieri. Non si compromette fino a tal punto, però tanto meno ci fa vedere limpidamente la verità rigorosa: che essendo impossibile all'uomo intendersi con i suoi simili, perchè è condannato a radicale solitudine, egli si sforza estenuamente di mettersi in contatto con il prossimo. Di questi sforzi il linguaggio è quello che riesce talvolta a dichiarare con maggior approssimazione alcune cose tra quelle che ci passano dentro. Niente più. Però, ordinariamente, non usiamo queste riserve. Al contrario, quando l'uomo si mette a parlare lo fa perchè crede che si accinge a dire quanto pensa. Ebbene, questo è quel che è illusorio. Il linguaggio non offre fino a tanto. Dice, più o meno, una parte di quel che pensiamo e pone un ostacolo insormontabile alla trasfusione del resto. Serve abbastanza bene per enunciati e prove matematiche; già a parlar di fisica comincia a farsi equivoco ed insufficiente. Però a mano a mano che la conversazione si occupa di temi più importanti di questi, più umani, più "reali", va aumentando la sua imprecisione, la sua torpidità e confusione. Docili al pregiudizio inveterato secondo cui parlando ci intendiamo, diciamo e ascoltiamo con tanta buona fede che finiamo molte volte per fraintenderci molto più che, se fossimo muti, cercassimo di indovinarci.

[Josè Ortega y Gasset: "La ribellione delle masse"]

mercoledì 29 luglio 2009

Potenza del linguaggio

"Ciò che non è espresso tende a non esistere".
E' stupefacente pensare alla moltitudine di avvenimenti del ventesimo secolo e alle persone che vi hanno preso parte, e capire che ognuna di queste situazioni sarebbe stata degna di un'epopea, di una tragedia o di un poema lirico. E invece nulla, si sono inabissate, lasciando dietro di sè una traccia evanescente. Si potrebbe dire che persino la più possente, sanguigna e vitale personalità è solo un'ombra in confronto a un'efficace combinazione di parole, per quanto poche esse siano, per quanto non descrivano altro che una luna nascente.

[C. MIlosz: "Il cagnolino lungo la strada"]

domenica 15 marzo 2009

sulla comunicazione

Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha nessuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni.

[P. Watzlawick: "Pragmatica della comunicazione umana"]

sabato 14 marzo 2009

La verità

La verità nessun uomo la conosce, nè mai potrà conoscere le cose che io dico a parole sugli dèi e sul tutto.
La parola può forse avvicinarsi alla realtà, ma non conoscerla: il massimo traguardo è l'opinione.

[Senofane]

domenica 4 gennaio 2009

Dal marzo '79



Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua
sono andato sull'isola coperta di neve.
Non ha parole il deserto.
Le pagine bianche dilagano ovunque!
Scopro orme di capriolo sulla neve.
Lingua senza parole.

[T. Transtromer: "Poesia dal silenzio"]

giovedì 11 dicembre 2008

Elena


Nessun senso, dunque, le cose e gli eventi; - così come le parole, benchè
con esse denominiamo alla meno peggio ciò che ci manca o ciò
che non abbiamo mai visto - le cose immateriali, come le chiamiamo, le cose eterne;-
parole innocenti, fuorvianti, consolatrici, equivoche sempre
nella loro affettata precisione; - che triste storia,
dare un nome a un'ombra, proferirlo durante la notte a letto
col lenzuolo sollevato fino al collo, e ascoltandolo illudersi, gli stolti,
che possediamo la sostanza, ch'essa ci possiede, che ci aggrappiamo al mondo.


[G. Ritsos: "Quarta dimensione"]