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sabato 2 marzo 2019

Felisberto Hernández – Terre della memoria



Una cinquantina d'anni fa, il critico letterario Ángel Rama pubblicò un elenco di scrittori sudamericani definiti raros, nel senso di "eccentrici", difficilmente inquadrabili in altre categorie. Credo che Felisberto Hernández possa essere considerato uno dei più rappresentativi della lista e questo libro testimonia in  pieno la mia impressione.
Si tratta di tre racconti, i primi due Ai tempi di Clemente Calling e Il cavallo perduto, scritti nei primi anni '40 e quello che da il titola alla raccolta degli anni '60, che si muovono seguendo due direttive che si intersecano: da un lato lo scavo interiore del protagonista e dall'altro una riflessione sulla memoria ed i suoi meccanismi, su come il tempo modifichi i ricordi e di come essi seguano percorsi sconosciuti, al punto che certi episodi importanti si cancellano, altri insignificanti si depositano e altri ancora riemergono dopo anni di silenzio.
Quello di Hernández è un punto di vista originale, l'occhio che scruta il mondo è quello del bambino e del bambino mantiene lo stupore, la curiosità, il gusto per il segreto, la confusione tra reale e immaginario, considerati non territori distinti ma di ambiti che si mescolano e fanno nascere riflessioni, supposizioni, linee di pensiero che portano lontano, fino a sfociare nel surreale e nel meta-letterario. La vita e le vite alle quali i protagonisti di questi racconti si avvicinano, diventano così universi misteriosi, regolati da leggi altrettanto insondabili, da movimenti sotterranei che disegnano rapporti invisibili e inspiegabili tra gli oggetti.
Inutile pensare di potersi avventurare tra le pagine di Hernández con la convinzione di non perdere la rotta: sono pagine che ingoiano il lettore e lo trasportano in un mondo dove ogni confine è sfumato e l'unica luce in grado di illuminare la strada è quella fioca e ingannatrice dell'immaginazione. Folle è il tentativo di conciliare "gli occhi di adesso" con "gli occhi del bambino", perché l'uomo che ricorda e il bambino che era finiscono per sovrapporsi e ingannarsi a vicenda. Folle eppure seducente, un viaggio da gustare lasciando a casa la logica, un viaggio da godersi lasciandosi guidare per una volta dal sentimento.

sabato 15 giugno 2013

Felisberto Hernandez - Nessuno accendeva le lampade


Premessa: credo che quando si decide di avvicinarsi alla letteratura sudamericana, sia necessario farlo con una predisposizione d'animo particolare. Spesso non è sufficiente cercare di capire la storia che stiamo leggendo, ma ci si deve lasciar portare dal potere della parola, lasciar andare le cose e seguire la musica, godere delle suggestioni che ogni pagina suscita. Capire, comprendere ogni cosa, mi sembrano a volte forzature, come cercare di comprimere oggetti enormi in una scatoletta. Non ci staranno mai, ci sarà sempre una parte che esce fuori.
Logicamente quanto detto non può applicarsi a tutta la letteratura sudamericana, sicuramente vale per il libro di Felisberto Hernandez.
“Nessuno accendeva le lampade” è uno straordinario esempio di questa capacità di liberare le parole, di toglier loro lo strato di polvere che le ricopriva e farle finalmente vivere. E così succede che gli oggetti vivano e un balcone che crolla è un balcone che ha deciso di gettarsi nel vuoto perché si sentiva tradito, perché è un oggetto in grado di amare e di essere amato e può capitare di incontrare una maschera di teatro che scopre di proiettare una luce dagli occhi che le permette di vedere al buio (una luce che “permette di entrare in un mondo chiuso agli altri”). È un mondo fantastico, quello nel quale Hernandez ci invita ad entrare, un mondo fatto di silenzio e di buio, quel buio che permette di immaginare le cose, creando una zona franca nella quale il tatto si sostituisce alla vista restituendoci sensazioni diverse ma non per questo meno reali, suscitando una capacità di recuperare ricordi o sensazioni che sembrava sopita. Una teoria di racconti carica di suggestioni, dal venditore di calze in grado di piangere a comando alla donna che vive circondata dall'acqua perché le attribuisce “la capacità di elaborare ciò che vi si rispecchia e di ricevere il pensiero”, fino al collezionista di bambole che finisce per non distinguerle più dalle persone in carne ed ossa. È un mondo al quale non siamo abituati, dove l'immaginazione colora la realtà fino a trasfigurarla. La vita non è solo quella che viviamo - sembra dirci Hernandez - ma anche quella che immaginiamo e scegliere fra uno dei due mondi è limitativo perché ci costringerebbe a rinunciare a qualcosa.

“Nessuno accendeva le lampade” è un libro bellissimo.