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domenica 26 gennaio 2025

Montevideo – Enrique Vila-Matas


Montevideo – Enrique Vila-Matas
(trad. Elena Liverani)
Feltrinelli editore (I ed. 2022)


Libro di libri. E di scrittori. Perché ne compaiono a decine nelle pagine di Montevideo, in una girandola che stordisce il lettore costretto a rincorrere l'autore tra Parigi, Barcellona, Lisbona e Montevideo, finendo sempre con il fiato corto perché quando gli sembra di averlo raggiunto scopre che il narratore ha spostato l'orizzonte un po' più in là.
Libro di libri. E di tesi. Vila-Matas, in bilico tra il rigore dello studioso che esplora le possibilità del postmoderno e il piacere del cultore di divertimenti sofisticati, galleggia tra l'essere il più borgesiano degli scrittori contemporanei e il più erudito dei giocolieri di parole. Si parla, come sempre nella bibliografia dell'autore catalano, di scrittura e letteratura; di quest'ultima ci regala un catalogo di cinque tendenze, categorie attraverso le quali salta nel corso della trama, come se cercasse una strada personale alla narrazione, reinventando continuamente la forma romanzo e aggiungendo da questo punto di vista un ulteriore tassello alla ricerca sviluppata nelle opere precedenti.
Libro di idee. Una mare magnum di idee che si rincorrono, aprono porte su camere sconosciute oppure si arrestano davanti a un vicolo cieco. Idee che non cercano la coerenza ma traggono linfa dall'ambiguità nella quale si generano e volano alla ricerca di un luogo dove far dialogare realtà e fantasia, presenza e assenza, un luogo simile alla stanza tutta per sé di Virgina Woolf: la porta come via di fuga, passaggio verso un'altra dimensione, speranza di salvezza.

Curioso che tra tutti i riferimenti a Cortázar dei quali è disseminato Montevideo, sia quello a Componibile 62 – che compare quasi per caso – il più rilevante. Anche nel romanzo dello scrittore argentino infatti, ritroviamo la ricerca di un varco, un passaggio verso una zona ideale, un spazio di libertà che assomiglia molto a quella zona di ambiguità, quel regno di possibilità verso cui tende la ricerca di Vila-Matas.

sabato 28 settembre 2024

Enrique Vila-Matas – Dublinesque


Enrique Vila-Matas – Dublinesque
(trad. Elena Liverani)
Feltrinelli (I ed. 2010)

La letteratura non è morta.

La storia di Samuel Riba, editore in crisi, che vive l'approssimarsi dei sessant'anni come la fine della sua carriera professionale e insieme di un'epoca. Un matrimonio in crisi, l'incapacità di recidere il cordone ombelicale che lo lega ancora ai vecchi genitori, poca a nessuna vita sociale da quando ha smesso di bere, questi sono gli aspetti principali di un disagio esistenziale che lo attira in un territorio, quello della solitudine, per il quale prova paura e attrazione in egual misura.
Riba è un uomo malinconico, che come il personaggio di un film di Cronenberg "vaga confuso e perplesso per una vita che non comprende" e cerca rifugio nella vita immaginata dei suoi libri, un uomo che non ha mai compreso la natura dell'entusiasmo e che nell'isolamento elabora le sue strampalate e affascinanti teorie. Come quella del "romanzo futuro", che pone La riva delle Sirti a paradigma della letteratura a venire, prima di gettarla in un cestino dell'albergo lionese dove l'aveva partorita, celebrandone metaforicamente il funerale.
Già, il funerale. Il punto verso il quale convergono tutti i suoi pensieri. L'idea di celebrare il funerale della "Galassia Gutenberg: la morte del libro cartaceo, la morte di un certo tipo di cultura, la morte di un mondo. Un funerale da celebrarsi insieme a un gruppo di amici a Dublino per il Bloomsday, secondo i dettami di un sogno quanto mai vivido fatto in ospedale.

Dublinesque è un libro eccezionale: libro di libri, romanzo psicologico, esistenziale, apocalittico, anti-realista…, un libro che unisce Joyce e Beckett (l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine) con Vilém Vok, in una trama che tiene insieme vero e falso in un post-moderno declinato alla spagnola che non risulta per nulla artificioso. Samuel Riba è uno splendido anti-eroe moderno, un personaggio contraddittorio che saprà morire – letterariamente – e rinascere, per "riavvicinarsi al mondo che non può essere quello del cataclisma finale", agli inconvenienti di una vita che risulterà in grado di cambiarlo consentendogli di "vivere un nuovo momento nel centro del mondo". Vila-Matas è uno scrittore esigente, che ci sfida apertamente chiedendoci di uscire dalla palude del conformismo per trasformarci in "lettori attivi", di dimostrarci all'altezza del libri che leggiamo, di non fermarci all'apparenza e di scavare tra le pagine, come dice in un'intervista.
"Il lettore attivo partecipa al libro, lo completa e aiuta lo scrittore con la propria intelligenza, contribuisce in maniera concreta alla buona riuscita del libro stesso. Perché ci mette dentro il proprio sapere e la propria esperienza. Entra in contatto, e spesso anche in contrasto diretto con l'autore, con l'opera che ha scelto di avere tra le mani."

domenica 10 luglio 2022

Trilogia della guerra – Agustín Fernández Mallo

 


«solo dai contorni più esterni, dai bordi estremi, è possibile arrivare a comprendere cosa siano le cose. Si tratta di un principio universale che vale anche per ciascuno di noi, pertanto dobbiamo allontanarci dalla nostra vita se vogliamo vedere che contorno, che sagoma ha il vissuto, […] e solo allora, è possibile definire "una vita intera".»

Opera divisa in tre libri, tre racconti distinti ma collegati da una rete sotterranea frutto di una macchina narrativa che Mallo congegna con perizia, inserendosi di prepotenza in quel ramo del Postmoderno che gemma dalla figura di W.G. Sebald e sembra avere al momento in M. Énard il suo esponente più rappresentativo.
I personaggi dell'opera ci portano a spasso per l'isola di San Símon, in Galizia, per le strade di New York, Miami, Los Angeles, ma anche a Cuba o lungo le coste della Normandia. Storie di moderni flâneur, che nel loro vagabondare fotografano, annusano, ascoltano, raccolgono indizi, coincidenze, simmetrie invisibili, che seguono come segugi per costruire trame che poggiano sul terreno di una guerra: quella civile spagnola, quella del Vietnam, lo sbarco in Normandia.
Storie dalle quali germogliano altre storie, nelle quali si incontrano personaggi di fantasia o reali inseriti fuori dal loro contesto e che probabilmente finiscono per confondere il lettore. Una confusione organizzata? In parte sì, ma tutto è lecito quando il risultato finale è un romanzo di altissimo livello, nel quale la guerra, il male, sono presenze costanti, l'humus sul quale germogliano pensieri, riflessioni, tentativi di tirarsi fuori da sabbie mobili dalle quali non è mai possibile affrancarsi completamente.
La memoria contro l'oblio, quindi; partendo da una frase del poeta Carlos Oroza che si ripete come un mantra per tutta la narrazione («É un errore dare per scontato ciò che fu contemplato») per dire che il passato continua a vivere nel presente. Ma non solo, perché l'altro (il vero) motore del racconto è l'immaginazione, la capacità di inventare mondi paralleli, la «trasposizione (cartarescuana?) di persone e oggetti del nostro mondo in altri leggermente deviati», curvando a piacimento le linee di spazio e tempo per dialogare, ad esempio, con García Lorca e Salvador Dalí al Central Park.
Trilogia della guerra è una pianta che guarda in alto verso l'Amore, un amore puro e totale, ma con le radici ben piantate – di nuovo – nel terreno della guerra.
Una critica dall'interno della società contemporanea, della cultura dell'effimero che propone i modelli della bellezza artificiosa, della contraffazione del corpo e dell'oblio del passato, alla quale Mallo contrappone provocatoriamente un'"estetica della spazzatura" e un nuovo umanesimo che invece di cancellare l'idea della morte, le ritaglia un ruolo centrale.
«improvvisamente penso agli epiloghi, non avevo mai pensato agli epiloghi delle cose, a ciò che sta oltre le cose, e penso […]che ogni cosa degna di esistere è stata creata per essere vista almeno due volte […], e quanto più si pensa a quel libro o a quel film, maggiori sono gli epiloghi che si sovrappongono, starti e strati di epiloghi, un'unica pila di epiloghi che si sommano senza interferire l'uno con l'altro. […] M chiedo: qual è l'epilogo di una città? O meglio ancora: qual è l'epilogo di un paese? Sospetto che l'epilogo dei paesi sia costituito da tutti i racconti, le storie più o meno fantastiche e i miti che le generazioni, una dopo l'altra, raccontano di quei paesi. Per dirlo in altro modo, sono la parte immaginaria già insita nelle cose che esistono»
«Il fatto è che la realtà è massimamente disordinata, non percepiamo mai le cose nella loro corretta sequenza temporale, per questo, anche quando parliamo o scriviamo, non rispettiamo l'ordine cronologico. La vita è un incidente aerei elevato all'ennesima potenza, la vita è una grande catastrofe, l'incidente definitivo, ed è con quel disordine che la raccontiamo.»

sabato 29 febbraio 2020

Dall'ombra – Juan José Millás



Damián Lobo, licenziato dalla ditta in cui ha lavorato per venticinque anni, è un uomo solo che riempie gli spazi della sua solitudine immaginando assurde interviste televisive che lo vedono protagonista. In esse parla di sé, identificandosi con la murena perché "non è gregaria e si mimetizza con il paesaggio", "una murena nascosta tra le rocce di corallo, in agguato, a caccia di una preda, o per proteggersi da un predatore", parla anche del capitalismo senz'anima nel quale se l'è cavata "come il polpo che non ha bisogno di capire l'oceano per viverci dentro", dei rapporti sessuali con la sorella adottiva cinese e del fatto che lui legge solo manuali d'uso e libretti di istruzioni.
Una critica della società dei consumi e della TV spazzatura fatta dal di dentro, dal punto di vista di chi ha vissuto per un po' nel sistema e poi ne è stato sputato fuori, la lucida follia di chi dai margini della società cerca di tirare avanti in qualche modo per non impazzire e non si accorge di essere già sull'altro lato della strada.
Vivere un po' nella fantasia e un po' nella realtà è difficile, soprattutto quando la realtà è avara di stimoli. Succede che il mondo immaginato finisce per occupare sempre più spazio invadendo pericolosamente il territorio della vita vera.
In un centro commerciale Damián Lobo ruba un fermacravatta d'oro con incise le iniziali S.O., proprio quelle di Sergio O'Kane, il suo fantomatico intervistatore. Per evitare l'arresto si nasconde in un armadio in vendita in un mercatino d'antiquariato e mentre attende il momento propizio per darsi alla fuga si ritrova chiuso dentro e trasportato a casa di una famiglia che nel frattempo ha comprato il mobile.

Al lettore scoprire quel che succederà in seguito, all'estensore di queste brevi note il compito di dire che quello di Millás è un gioiellino raffinato, una critica sociale che travestendosi da racconto surreale evita triti luoghi comuni e toni accesi.
"- Lei è un tipo poco socievole?", chiede ad un certo punto O'Kane al protagonista.
"- Diciamo che sono strano.
- In che senso, strano
- Nel senso che sono una brava persona, io sono una brava persona, non ho mai fatto del male a nessuno, e questo mi ha allontanato dal mondo.
- La bontà allontana?
- Sì.
- Crede che il mondo sia cattivo?
- E anche pericoloso.
- E lei con questa avventura lo stava migliorando o lo stava rendendo un po' meno pericoloso?
- Chissà, sarà il tempo a deciderlo.
- Non sarebbe più giusto affermare che si stava vendicando?
- Del mondo? Non ci avevo pensato."
Damián Lobo per gli altri è uno schizofrenico e un dissociato, in realtà è solo un personaggio in cerca d'autore, un uomo sensibile che si è ritrovato in un mondo di lupi, un invisibile che ha rinunciato a lottare per conquistarsi un posto nel gruppo, uno sconfitto al quale è rimasta solo la possibilità di guardare gli altri dal di fuori.
Damián Lobo è il personaggio di una bellissima favola, un bambino che nell'armadio ha ritrovato l'utero materno e che ora si prepara a nascere.

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sabato 8 giugno 2019

Andrés Barba – Repubblica luminosa



Comprendere significa ricomporre ciò che abbiamo visto solo in modo frammentario.

Repubblica luminosa è il racconto della comparsa e poi della morte di un gruppo di ragazzini in una cittadina sudamericana; libro breve ma denso, con la narrazione in prima persona e a posteriori fatta, da uno degli adulti che parteciparono agli avvenimenti e che si sviluppa con uno stile che ricorda quello giornalistico.

"Comprendere significa ricomporre ciò che abbiamo visto solo in modo frammentario", dice la voce narrante, ma comprendere davvero, sembra suggerire l'autore, è spesso impossibile e allora quello che rimane da fare è raccontare.
Trentadue bambini appaiono improvvisamente a San Cristóbal, apparentemente "scaturiti" dal fiume che costeggia la cittadina tropicale, e costringono gli abitanti del luogo ad interrogarsi sulla loro provenienza ma soprattutto su un mondo, quello dell'infanzia, lontanissimo dal nostro e che appare una selva inestricabile, tanto più se il gruppo che ci si trova davanti si muove seguendo regole che non conosciamo, con gli individui che lo compongono che sembrano agire come parti di un organismo unico. Un branco, che definiamo selvaggio perché è diverso da noi, che ci preoccupa perché non siamo in grado di prevederne le mosse e a San Cristóbal, come a qualsiasi altra latitudine, il diverso rappresenta una minaccia, anche se si tratta di un gruppo di ragazzini. Il fatto che si parli di bambini, costituisce anzi un pericolo ancora maggiore per l'integrità della società, perché rischiano di influenzare i comportamenti degli altri ragazzi, dei "nostri" ragazzi; c'è il pericolo che li confondano e che li facciano uscire dai recinti all'interno dei quali li stiamo crescendo (per proteggerli, ça va sans dire…). È necessario difendere l'integrità della società, non si può permettere che essa rimanga troppo a lungo sotto lo scacco il "diverso" deve essere respinto o meglio catturato e poi neutralizzato per fare in modo che si possa riprendere a vivere secondo le nostre abitudini.

Ma Repubblica luminosa è molto di più di un apologo sulle nostre paure, è (soprattutto) un libro che cerca di avvicinarsi all'universo dell'infanzia sgombrando il campo dai filtri attraverso i quali abbiamo sempre approcciato un mondo così lontano dal nostro. Bontà, innocenza, semplicità… sono certamente tratti della fanciullezza ma non sono gli unici, sono semplificazioni che usiamo illudendoci di "comprendere" ogni aspetto di quell'età e di poterne così guidare la crescita senza farci troppi problemi. In realtà: "sappiamo com'è l'amore dei bambini, - scrive Barba - ma riguardo al loro odio le nostre idee sono elementari e spesso equivoche: pensiamo che il loro questo sentimento si mescoli con la paura e pertanto con la fascinazione e forse anche con l'amore o con una specie di amore, che l'odio nei bambini sia formato da canali che uniscono alcuni sentimenti ad altri e che vi sia qualcosa che li fa scivolare in quella direzione". Il mondo dell'infanzia è complicato, più di quanto siamo disposti ad ammettere, come dimostra la discesa di un gruppo di uomini nelle fogne del paese (la "città segreta") alla ricerca dei bambini. Una caccia che rappresenta una splendida metafora del tentativo degli adulti di "comprendere" i bambini, tentativo destinato al fallimento perché condotto con i modi e con gli strumenti sbagliati. Si tratta di due universi troppo distanti, anche per quanto riguarda il linguaggio, per pensare di farli comunicare davvero.
Forse, alla fine di quella caccia, un risultato gli adulti avrebbero potuto portarlo a casa: se avessero saputo guardare davvero in profondità avrebbero sì potuto "comprendere" qualcosa di più, ma su se stessi e sulla loro vulnerabilità.

sabato 17 febbraio 2018

Julio Llamazares - La pioggia gialla


Astenersi depressi, distimici e borderline.

La pioggia gialla è un lungo monologo. La storia di un uomo che decide di legare il suo destino a quello del paese in cui ha sempre vissuto e che ora si va spopolando, firmando così la sua condanna a morte. Andrés de Casas Sosas rinuncia a rimettersi in gioco in un altro luogo, per cercare di mantenere viva la sua terra e i ricordi di chi l’ha abitata. È la scelta contro corrente di un uomo che ad un certo punto della vita smette di guardare avanti e inizia a guardarsi dietro e dentro. La solitudine diventa l’unica compagna ed è una compagna pericolosa perché con il tempo altera i suoi ricordi trasformandoli in fantasmi e se alla solitudine con il tempo ci si può anche abituare, non altrettanto si può fare con l’inquietudine che essa suscita. La memoria diventa un peso difficile da portare ma anche la sola certezza alla quale aggrapparsi, ed è una memoria che costringe Andrés de Casas Sosas a confrontarsi con un passato che non riesce ad accettare. 
Il tempo trascorso in solitudine fa perdere al protagonista del libro i punti di riferimento, come una barca alla mercé delle onde l’uomo si trova a vivere in una specie di limbo sospeso tra realtà, memoria e sogno. È un nessundove nel quale vita e morte si confondono e così fanno ricordi, allucinazioni, fantasie ad occhi aperti e sogni notturni. Gli incontri del protagonista, veri o immaginati, sono sempre incontri muti, senza dialoghi, come se non riuscisse ad aprirsi agli altri e fosse condannato a vivere dentro di sé. 
La pioggia gialla è un libro fuori dagli schemi: di silenzi e di sguardi più che di parole, di cose pensate più che di cose dette. Ma le parole sono importanti e Llamazares le usa con attenzione, scegliendole tra quelle più adatte ad evocare emozioni e riflessioni e collocandole sulla pagina in modo da comporre un ritmo scandito, attento a non correre mai troppo o troppo poco.
La pioggia gialla è un libro tristissimo.

sabato 13 febbraio 2016

Javier Cercas - Anatomia di un istante



Lettura diversa da quello che mi aspettavo, nel senso che mi è sembrata più una via di mezzo tra il saggio e il reportage simil-giornalistico che un romanzo. Cercas non parte dal tentativo di golpe del 23 febbraio 1981 per sviluppare una trama, ma si ferma ad analizzarne presupposti e conseguenze con grande perizia.
Il fatto di non essere uno storico permette all’autore di lavorare su più livelli: sull’accaduto, ovviamente, ma anche sulle ipotesi e soprattutto sui protagonisti, indagandone carattere e psicologia.
Nel 1981 avevo sedici anni e mezzo, e nei miei ricordi il 23-F ha i contorni della farsa più che quelli della tragedia: il tenente colonnello Tejero, con quei baffoni, l’improbabile tricorno e gli occhi spiritati… mi aveva fatto subito pensare a uno di quei soldati che Zorro sbeffeggiava quotidianamente che a un militare di prima fila. Per non parlare dei goffi tentativi che aveva messo in atto per sgambettare Gutiérrez Mellado… un soldatino, altro che un militare determinato e pronto a tutto. Probabilmente la realtà era un po’ diversa e io l’avevo percepita in quel modo a causa della mia giovane e della televisione ( è lo stesso Cercas a scrivere che “è probabile che la televisione contamini di irrealtà qualunque cosa riprenda, e che un evento storico venga in qualche modo alterato una volta trasmesso sullo schermo, perché la televisione distorce il modo in cui lo percepiamo”). Eppure la ricostruzione dell’autore spagnolo, per quanto dettagliata e ampiamente condivisa, sembra confermare quella mia impressione di golpe da operetta e per questo non riesce a convincermi fino in fondo.
“Forse il suo piano era campato in aria e peccava di troppa immaginazione.
Non ebbe successo, soprattutto perché nei primi minuti del golpe, quando era in ballo la riuscita o il fallimento, si verificarono due fatti imprevisti: il primo è che il sequestro del Congresso non avvenne secondo la discrezionalità prevista e degenerò in sparatoria, cosa che lordò con un'immagine da golpe duro quello che voleva essere un golpe morbido, mettendo in difficoltà il re, impedendogli cioè di accettare fin dal principio una manovra politica che si presentava con un simile eccesso di violenza; il secondo è che il nome di Armada era già sulla bocca dei golpisti prima che il generale avesse l'opportunità di spiegare al re la natura del golpe e fargli la sua proposta di soluzione, e aver menzionato Armada suscitò diffidenza nel re e in Fernández Campo, cui si aggiunge la rivalità tra Fernández Campo e Armada, ottenendo il risultato che i due decisero di tenere lontano dalla Zarzuela l'ex segretario. E fu così che, dopo soli quindici minuti, il golpe si impantanò.”
Questo per dire che mi sembra poco verosimile che un golpe militare possa andare gambe all’aria solo per qualche colpo di pistola sparato in aria e perché poi il segretario generale del re si rifiuta di ricevere il generale Armada alla Zarzuela.
L’altro aspetto che non mi ha convinto pienamente nella scrittura di Cercas è l’uso reiterato delle “simmetrie”. Qualche esempio:
“pur sembrando forte, il suo partito era ancora debole, e, pur sembrando debole, il franchismo era ancora forte”
“se è forse impossibile capire il comportamento di Armada il 23 febbraio senza tenere conto del suo rancore per Adolfo Suàrez, forse è altrettanto impossibile comprendere il comportamento di Milans quel giorno senza tenere conto della sua avversione per Gutiérrez Mellado.”
“per Tejero Santiago Carrillo rappresentava qualcosa di simile a ciò che Adolfo Suárez rappresentava per Armada, e Gutiérrez Mellado per Milans”
“Milans era contro la democrazia, ma non contro la monarchia, Armada non era contro la monarchia né contro la democrazia (almeno non in modo aperto ed esplicito), ma solo contro la democrazia del 1981 di Adolfo Suàrez”
“il golpe del 23 febbraio fu singolare perché si trattò di tre colpi di Stato diversi: prima del 23 febbraio Armada, Milans e Tejero credevano che il golpe fosse lo stesso per tutti e tre, e questo permise di sferrarlo; il 23 febbraio scoprirono che c'erano tre golpe distinti, e tale scoperta causò il fallimento del golpe. Questo fu ciò che accadde, almeno dal punto di vista politico; dal punto di vista personale accadde qualcosa di ancor più singolare: Armada, Milans e Tejero scatenarono tre colpi di Stato contro tre uomini diversi”
“Santiago Carrillo aveva tradito gli ideali del comunismo,  Gutiérrez Mellado aveva tradito Franco, Suàrez aveva tradito il partito unico fascista in cui era cresciuto, Suàrez, Gutiérrez Mellado e Carrillo tradirono la lealtà nei confronti di un errore per costruire la lealtà a una scelta giusta; tradirono i loro seguaci per non tradire se stessi; tradirono il passato per non tradire il presente.”
Efficaci, niente da dire, e con indubbi vantaggi sulla leggibilità dell’opera, ma mi è parso che l’autore si sia fatto prendere un po’ troppo la mano, finendo in qualche frangente per abusare di questo espediente.