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sabato 10 maggio 2025

L'uomo che non voleva piangere – Stig Dagerman

 


L'uomo che non voleva piangere – Stig Dagerman
(trad. Fulvio Ferrari)
Iperborea editore (I ed. 1983)


Molti credono nel destino. Molti non credono in niente. Alcuni credono in tutto. Alcuni credono. Nessuno sa. Nessuno.

Enfant prodige delle lettere scandinave, Stig Dagerman ha una trentina d'anni, li avrà sempre. Scrittore dotato oltre misura, capace di spaziare indifferentemente dal romanzo al racconto senza perdere un briciolo della sua capacità di scrittura. Colpisce, data la giovane età, la conoscenza profonda degli strumenti narrativi: stile e tecnica mai fini a se stessi ma sempre al servizio della trama. Si sa: gli eroi son sempre giovani e belli…
Lo spazio letterario che lo scrittore svedese occupa è quello al confine tra simbolismo e realismo. Echi di Strindberg, Kafka, Faulkner, Camus… ma, appunto, echi. Perché Dagerman parla con la sua voce, scava dentro se stesso, negli abissi dell'uomo e si scontra con le contraddizioni, i muri e i buchi neri che ci contraddistinguono, senza riuscire ad accettarlo.
Una tensione tra realismo e abisso interiore che emerge anche nei racconti contenuti in questa antologia postuma. Materiale eterogeneo, nel quale è difficile trovare un trait d'union, ma materiale di altissimo livello. Non siamo davanti a scarti, abbozzi incompiuti o malriusciti, come spesso succede quando un autore diventa famoso dopo la sua morte, ma a racconti che ben rappresentano la scrittura di Dagerman, sia per la sensibilità che esprimono che per i temi che trattano.
In particolare, l'autore declina il tema dell’incomunicabilità attraverso una serie di situazioni-limite che ben incarnano tensioni profondamente umane. Spesso ad essere centrale non è lo sviluppo della trama, quanto un gesto, un dettaglio, un episodio, che diventa il centro intorno al quale gira la storia, capace di sviluppare una potente tensione psicologica.
Si va dall'incapacità di piangere (nel racconto che dà il titolo alla raccolta), che in realtà esprime il rifiuto di mostrare falsi sentimenti per essere come gli altri, alla ricerca di un'identità (Dov'è il mio maglione islandese?, Apri la porta, Rickard!) . Forti sono soprattutto le riflessioni sul perdono (e sull'idea di colpa), che caratterizzano, tra l'altro, l'intera opera dello scrittore svedese (si pensi a quel gioiello di analisi disperata e disperante che è Il nostro bisogno di consolazione). Così come quelle sulla solitudine, intesa come gabbia dalla quale è impossibile uscire ma della quale solo noi vediamo le sbarre (Mio figlio fuma una pipa di schiuma). E ancora: la compassione, la tensione costante tra speranza e disperazione (Il viaggio del sabato), fino alla tragica consapevolezza della morte degli ideali, dell'impossibilità di salvezza.
Come in un amaro epilogo, lo scrittore lascia che siano i suoi personaggi a dirci tutto, come in questo passaggio da L’ottavo giorno:
"Ma cos'è la libertà se non un luogo dove barattiamo i nostri sogni con qualcosa di peggio?"
Tutto crolla sotto i colpi dell'analisi lucida e spietata di Dagerman, Roma brucia e con lei l'autore dell'incendio.

Stig Dagerman è uno dei grandi autori del nostro Novecento.

domenica 13 giugno 2021

Il serpente – Stig Dagerman



«non poté evitare di vedere in quegli occhi la ragione per cui aveva vomitato. Non era stato il vino o qualcosa di unto che aveva mangiato. Era il disgusto per il mondo ripugnante degli adulti, per la doppiezza delle loro azioni, per la vigliaccheria, vale a dire per la paura di avere paura. Aveva vomitato per Sörenson, che aveva creduto possibile sfuggire all’angoscia di quello che capita agli altri come si sfugge al conto di una trattoria.»

Dagerman è un autore scomodo, che nei suoi scritti non indora la pillola e non fa sconti, soprattutto a se stesso. Un autore intransigente, mai disposto a mercanteggiare la sua integrità morale, che ha spinto le sue riflessioni sulla vita e sull'uomo così in profondità da condurle ad arrestarsi su un binario morto. È giovane, giovanissimo, quando scrive Il serpente, ma a ventidue anni ha già combattuto la sua battaglia e l'ha persa. L'anarchismo libertario in cui credeva è stato sconfitto. In Spagna dalle truppe franchiste e in Russia da un comunismo repressivo che si è rivelato la faccia cattiva del socialismo utopista nel quale lo scrittore aveva sperato.
Il serpente è il frutto della fine di queste speranze, una critica impietosa dell'organizzazione militare, della società svedese e del singolo. Il serpente, figura reale e simbolo ricorrente nelle pagine del romanzo, è la metafora della paura e dell'inquietudine che attanagliano i protagonisti; liberarsi della paura della paura è lo scopo che ognuno di loro dovrebbe perseguire.

Un libro sorprendente da molti punti di vista, ad iniziare dalla struttura composta da due parti, un romanzo breve e una serie di racconti collegati tra loro (definiti da qualcuno una specie di Decameron dell'angoscia) scritti da punti di vista diversi, con una padronanza della tecnica letteraria sorprendente e con un linguaggio che riflette il parlato, lontano dallo stile asciutto, essenziale, che ritroveremo nei suoi romanzi successivi. L'attenzione alla psicologia dei personaggi è massima, le figure non sono mai stereotipate ma sempre in evoluzione, Dagerman ci conduce per mano a guardare nelle pieghe dei loro caratteri, ne mostra dubbi e insicurezze, ne segue con attenzione le traiettorie fino a vederli precipitare dentro le loro vite, nel tentativo, vano, di ribellarsi al loro destino.
Il serpente è un libro il cui senso si lascia comprendere appieno solo alla fine, quando tutti i fili convergono e i collegamenti tra le storie diventano evidenti. Un ottimo punto di partenza per chi voglia fare conoscenza con questo grande scrittore.

«Che senso ha», si chiedeva adesso, «che senso ha rispettare l’ora, essere precisi, accurati, ordinati, coscienziosi, laboriosi, se tutto questo non ci può salvare? Perché non siamo dei meccanismi, visto che tanti vorrebbero esserlo? Perché nessuna assicurazione al mondo garantisce la libertà dalla paura? »
L’assicurazione contro la paura consisteva nell’essere come gli altri.
Ammetti a te stesso che chi si comporta in modo esemplare, chi rastrella i vialetti del suo giardino e spolvera la rilegatura dei suoi libri lo fa solo per viltà: sa che c’è altro da fare, ma si aggrappa a queste cose per non doversi avventurare in qualcosa di ignoto.
lo scrittore, a mio parere, dovrebbe essere un simbolo di tutte le persone del mondo che non si fanno trascinare dall’ambizione di soffocare la propria paura.

sabato 15 agosto 2015

Per Olov Enquist – Il libro delle parabole


Difficile appiccicare un'etichetta a questo libro: non è un romanzo, non sono racconti e nemmeno apologhi, forse pensieri sparsi, frammenti. Parabole. 
Parabole per orientarsi nella nebbia della vita, per provare a capire perché si è vissuto, cercando di mettere un po' d'ordine in quello che è successo pur sapendo che è impossibile ricostruire quello che manca. In questo senso i nove fogli strappati al taccuino del padre rappresentano il punto d'inizio di una ricerca che appare da subito difficile per non dire impossibile: il senso della vita è nel taccuino? Oppure la soluzione consiste nel cercare, consapevoli che non si arriverà mai a comprendere il mistero? E le nove parabole, rappresentano il tentativo dell'autore di riscrivere le nove pagine mancanti al taccuino del padre? 
Il libro delle parabole è un libro, soprattutto, sull'Amore, al posto di quel romanzo sull'amore che Enquist confessa di non esser mai riuscito a scrivere. Amore e memoria, dunque, con i ricordi che si confondono, si mescolano alle fantasie e diventano altro.
Un'infanzia permeata dalla cupa cupa visione della fede inculcatagli dalla madre porterà Enquist a identificare l'amore (ma anche la poesia, la fantasia e i sogni) con il peccato, visione dalla quale faticherà ad affrancarsi continuando per un bel pezzo a identificarlo con l'idea di proibito, di possesso, di una specie di apostasia. La conversione della zia all'amore terreno, contrapposto a quello celeste, farà nascere in Enquist i primi dubbi che esploderanno poi nell'episodio della donna sul pavimento senza nodi, la parabola che rappresenta il centro nevralgico dell'intero libro. 
La scoperta del sesso, l'amore contrapposto alla fede, l'amore ineluttabile, che può far paura al punto da spingere alla fuga ma dal quale non ci si può liberare, l'amore come illuminazione, scoperta di un'intimità condivisa che permette di lasciar cadere le difese e di abbandonarsi all'altro, l'amore come luogo intimo da difendere e ricordare, la cui forza non si può comprendere fino in fondo eppure si deve provare a farlo. L'amore che illumina le nebbie della vita, amore totale, incondizionato, che non lega ma anzi lascia liberi, talmente grande e sacro da poter dire che forse Dio e Amore sono la stessa cosa.