sabato 27 novembre 2010
domenica 24 ottobre 2010
Ippocastani
Era lo sguardo degli ippocastani,
pedalando, perfetto per loro
e già sulla curva perduto a guardarli.
Quasi un sorriso perduto, i contorni di un viso
quasi veduto,
perduto nel fruscio del fogliame.
Le cose cambiano: ora sono i fiori
miniature di minareti
bianchi ben disposti decori.
Mi incantano fermi, sui nuvoli verde scuro
delle rame, nel cielo traboccanti, dal muro
incantevolmente abbondanti.
E io non so quale sia il più vero
me stesso, se questo che guarda di adesso
o quello che vede nel tempo del mio pensiero.
[Gian Mario Villalta: "Vedere al buio"]
pedalando, perfetto per loro
e già sulla curva perduto a guardarli.
Quasi un sorriso perduto, i contorni di un viso
quasi veduto,
perduto nel fruscio del fogliame.
Le cose cambiano: ora sono i fiori
miniature di minareti
bianchi ben disposti decori.
Mi incantano fermi, sui nuvoli verde scuro
delle rame, nel cielo traboccanti, dal muro
incantevolmente abbondanti.
E io non so quale sia il più vero
me stesso, se questo che guarda di adesso
o quello che vede nel tempo del mio pensiero.
[Gian Mario Villalta: "Vedere al buio"]
sabato 18 settembre 2010
Il sogno di uno e il sogno delle moltitudini
In che cosa si distingue il sogno dalla cosiddetta vita reale? Alla percezione esso è altrettanto reale o ancor più reale.
Ecco in che cosa: 1) sono gli altri che ci confermano questa vita. Quello che accade qui per noi, accade anche per gli altri; 2) per la vita reale c'è la memoria - con il suo complesso sistema - lunga e corta, per il sogno invece essa non c'è, si volatilizza subito.
E in nient'altro.
Nel sogno possiamo mangiare, lavorare, percepire il dolore, soffrire e godere, fumare, comporre versi, morire etc.
Questo mondo, il mondo del sogno, è per se stessi, per una sola persona (come si vuole talora condividere il sogno! Ma guarda, davvero non vedi?), e la "realtà" è per molti. Sono di pari grandezza, non di pari valore.
sabato 21 agosto 2010
Oggi penso che l'essenziale non sia comunicabile

...
Altre viteci esplodono intorno; le vediamo
poggiare incredule sopra di noi
dalle finestre accese, fingersi
sorprese se non sano chi noi siamo, e negare,
vivendo, uno spazio al mio ricordo
portandoselo via, nell'incredibile
massa degli altri per cui non esistiamo. Oggi penso
che l'essenziale non sia comunicabile,
ma imploda al di fuori di noi, dentro lo spazio confuso
che adesso è tutto il paesaggio e queste minime persone.
...
[Guido Mazzoni: "I mondi"]
sabato 14 agosto 2010
Strani incontri: Xenia Dubinina

Petrozavodsk, Carelia. Una sera qualunque di un febbraio di tre anni fa.
La neve che cade generosa e il freddo che ci avvolge tra le sue spire non appena le porte dell'hotel Severnaya si chiudono alle nostre spalle, sono motivi sufficienti per spegnere ogni curiosità e spingerci ad entrare nel primo ristorante che ci troviamo davanti.
Succede che gli unici posti liberi nel Karelskaya Gornitsa siano quelli ad un tavolo che ospita già
un cliente. E' una signora bionda, sulla cinquantina, china a scrivere su un taccuino. Xenia Dubinina, dirà in un inglese scolastico come il nostro, dopo esserci presentati.

Xenia è un'impiegata del ministero della Tutela e Curatela, ma soprattutto una scrittrice.
Capelli biondi ed occhi azzurri che guizzano curiosi dietro un paio di occhiali, parla lentamente, quasi a scegliere con attenzione le parole più adatte. E' appassionata di jazz nordico (mi cita Tord Gustavsen e Lars Winther, Rasmus H Thomsen e James Uhart) ma il suo sguardo si accende soprattutto quando parla di poesia. Tra i suoi preferiti ci sono Stephen Dunn e Leonard Jacob, ma mi sorprende anche per la conoscenza del nostro Federico Federici. Mi parla di Elena Andreevna Schwartz, Zynaida Sherbakova, Natalja Tuttuyeva, Peter Semenov e Ivan Savin, nomi che mi appunto più per curiosità che per convinzione. Difficile che un domani la loro notorietà possa spingersi molto al di là dei confini di questa regione. E' il suo taccuino ad incuriosirmi, le dico, e così finiamo per parlare un pò di quello che sta scrivendo, una silloge sulla difficoltà di comunicare.
Come diceva Watzlavick è impossibile non comunicare - dice - ma è altrettanto vero che è anche impossibile comunicare "bene", tutto parte da lì. Il linguaggio non è sufficiente, non riesce ad esprimere completamente quello che vogliamo comunicare, si presta a troppi equivoci, ad essere frainteso. Spesso quello che intendiamo noi non è quello che gli altri capiscono.
E' una visione un pò triste - azzardo.
Non saprei, - risponde Xenia - dipende da come si guardano le cose. Forse è solo stimolante. Se è impossibile far capire agli altri quello che vediamo, e quello che sentiamo, usando il linguaggio tradizionale, si tratterà di cercare altre forme di comunicazione.
Come la musica? - le chiedo.
Già, ma non solo. Come la pittura, la scultura... l'arte in genere. E la poesia.
Ma la poesia usa il linguaggio! - faccio osservare alla mia amica.
Solo in apparenza. - mi corregge - La poesia va oltre il linguaggio. E' anche metafora, usa le parole in maniera diversa, le libera, le fa diventare altro. Per me è il modo migliore di comunicare. Ecco, la poesia è come un fiume carsico.
Succede poi che i casi della vita ci portino di nuovo a Petrozavodsk.
La volta successiva incontriamo Xenia al Kaffe Haus vicino al Severnaya, dove ci racconta i progressi del suo lavoro (ora la silloge ha anche un titolo, Dialoghi afasici). La volta dopo siamo ospiti in un ristorante tipico che affaccia sul lago Onega, con un incredibile gruppo canoro di cinque ragazzi che cantano a cappella e sembrano appena usciti da "Happy days" a far da sfondo surreale alla nostra conversazione.
Ora posso dire che Xenia è un'amica, ci sentiamo abbastanza spesso, e seguiamo da lontano la sua avventura letteraria.
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