sabato 28 dicembre 2019

Tre tristi tigri – Guillermo Cabrera Infante


"Tres tristres tigres, tragaban trigo en un trigal,
en tres tristes trasto, tragaban trigo tres tristes tigres."

Cabrera Infante è stato un funambolo della parola scritta e TTT rappresenta il vertice della sua produzione letteraria, un romanzo (molto sui generis) che racconta a ritmo di jazz la vita nell'Avana pre-rivoluzionaria della fine anni Cinquanta.
A brandelli di una narrazione più o meno convenzionale, si alternano pagine bianche, pagine nere, pagine ruotate allo specchio e ricordi, frammenti di conversazioni nei quali l'autore prova a restituirci la lingua della strada, quella parlata dalla gente. Il risultato è un romanzo polifonico, strampalato e affascinante, scritto in uno stile che definirei "surrealismo caraibico" e che rappresenta un unicum nella letteratura sudamericana.
Inutile anche solo provare a dare un'idea della trama parlando della  morte di Trockij raccontata secondo lo stile di diversi scrittori, o delle versioni corrette più volte di un episodio accaduto a due turisti americani, o delle conversazioni di una donna con il suo psicologo, per non dire degli assurdi e straripanti giochi di parole di Bustrófedon…
TTT è soprattutto una specie di ultimo ballo sul Titanic, il racconto di una società decadente: Batista è al canto del cigno, di lì a poco la rivoluzione castrista spazzerà via quel mondo e intanto i personaggi del libro sfrecciano su auto sportive lungo il Malecón,  attratti dalle bellezze locali ("Cuba: un'isola nella quale le donne non usano vestiti ma guanti per tutto il corpo"), incuranti o inconsapevoli di quello che sta per succedere e interessato solo a succhiare il nettare di un tempo che fugge.
È proprio il movimento la cifra del libro, un girovagare folle e disperato tra bar e locali notturni. Tutti parlano senza dire niente di ciò che sembra davvero importante, sfuggendo con pervicacia ogni forma di impegno e affrontando anche i temi più importanti con indolenza e cinismo, annacquando i pensieri nell'alcool e rifugiandosi in sterili giochi di parole ("Questo è il mio autoritratto: – dice ad un certo punto uno dei protagonisti – passo la vita sciupando le mie poche cartucce in molti colpi a salve"), quasi che lo scopo delle loro  vite non fosse altro che ridurre tutto alla nobile arte del cazzeggio.

Aggiungo che TTT è un altro dei troppi grandi libri scomparsi da tempo dagli scaffali delle librerie italiane a testimonianza della miopia delle nostre case editrici.

sabato 21 dicembre 2019

Siamo vissuti qui dal giorno in cui siamo nati – Andreas Moster



Chiudo gli occhi e la giostra comincia a girare

Esordio con il botto di uno scrittore da seguire con attenzione, Siamo vissuti qui è un libro che coniuga con sapienza una trama originale con uno stile "espressionista", alternando nella narrazione il punto di vista interno ed esterno e il tempo presente con il passato remoto.
Atmosfere claustrofobiche, che riecheggiano quelle del Gelo bernhardiano, per una storia ambientata in un paesino di montagna, dove la vita che scorre su binari cristallizzati attraverso generazioni di padri padroni e madri invisibili viene sconvolta dall'arrivo di uno straniero. Tra simboli, metafore e riti di iniziazione, Moster descrive con mano sicura quello che succede quando un granello di sabbia entra nei meccanismi della macchina e finisce per mandarla fuori giri. Desideri da sempre frustrati trovano l'occasione per alzare la testa ed opporsi ad uno status quo iniquo, resuscitandone gli istinti più bestiali. I personaggi del romanzo sono tutti o quasi ben caratterizzati e i vuoti che la narrazione presenta sembrano essere un "non detto" inserito ad arte per alimentare la tensione narrativa, ma identificherei il tratto dominante del libro nel linguaggio e mi riferisco soprattutto alle parti in cui la ragazzina parla in prima persona, frasi brevi e secche come sentenze ma che si lasciano dietro una scia di amarezza, fatica e disillusione, difficile da dimenticare. Verrebbe da dire che forse è proprio la parola l'unica strada che la ragazza può percorrere per rompere le catene che la tengono legata al padre e al paese, solo attraverso la parola riuscirà ad essere libera, almeno con la fantasia.
"Chiudo gli occhi e la giostra comincia a girare. Spalanco gli occhi e la giostra si ferma."


sabato 14 dicembre 2019

Uccidendo nani a bastonate – Alberto Laiseca



Alberto Jesús Laiseca è stato uno dei tanti "irregolari" della letteratura sudamericana come ben testimonia questa raccolta, una serie di racconti nei quali si fatica a trovare un tratto comune. Da subito si è proiettati in un mondo nel quale il reale si scompone e trasforma in immaginario come nelle Metamorfosi di Escher, con il tempo che risulta  un'opinione e le regole che finiscono spesso per essere capovolte. È un mondo che diverte e insieme confonde il lettore che inevitabilmente arranca dietro alle trovate dello scrittore argentino faticando a trovare punti fissi ai quali ancorarsi.
Non è semplice entrare in sintonia con una scrittura così ricca di aggettivi e con un genere sospeso tra il grottesco e il fantastico e che Laiseca definiva "realismo delirante", ma attenzione a non prendere sottogamba queste storie: a volte basta sostituire ai protagonisti le vittime della repressione argentina per scoprire un sottotesto molto più ricco di quanto possa sembrare in apparenza.
Tra le pagine di Uccidendo nani a bastonate si trova un po' di tutto (a parte i nani del titolo che sono solo una metafora "forte"): autobus spinti dagli uomini, macchine per viaggiare dentro ad un tornado, strumenti di tortura, persino una macchina per pugnoscrittura a pedali e piante che assorbono la violenza… ma sono soprattutto i temi di questi racconti a disorientare il lettore. La lingua, la pazzia, la paranoia, il potere tecnocratico, la tortura e soprattutto i frequenti riferimenti al nazismo, spesso ridicolizzato (e di nuovo non si può non pensare alla guerra sporca degli anni '70).
Passeggiando sull'orlo del vulcano, Laiseca si diverte a gettarci in faccia ciò che dovrebbe scandalizzarci, mostrandoci come ciò sia stato ormai depotenziato fino a diventato routine, non riuscendo più a scuotere i nostri animi, lasciandoci nel dubbio se gli strampalati racconti di Uccidendo nani a bastonate siano esercizi di stile, apologhi travestiti da nonsense o, più probabilmente, entrambi le cose.

sabato 7 dicembre 2019

Leviatano o il migliore dei mondi – Arno Schmidt



Nichilista? Altroché!

Difficile guardare al futuro con ottimismo per chi, come Arno Schmidt, ha partecipato alla II Guerra mondiale nelle fila dell'esercito tedesco, avendone vissuto in prima persona gli orrori e le aberrazioni. Il cinismo è la cifra di un autore che non nutre più alcuna fiducia nell'uomo e nell'umanità e che sembra solo attendere ed auspicare la fine della storia.
Leviatano è un libro durissimo, il resoconto diaristico di due giorni di viaggio in treno di un gruppo di sbandati slesiani in fuga dall'esercito russo. Una scrittura per frammenti: immagini, gesti, colori. Parole appuntite come spade, verbi ripetute, frasi secche e condensate all'osso che si alternano con ritmo sincopato restituendo perfettamente l'atmosfera cupa del momento ("Il lungo crepuscolo. Trascinare. Buio bisbiglia, al modo di un pittore che mescoli incerto un colore notturno. Trascinare. Giallo polveroso. Trascinare. Rosso fuligginoso. Trascinare. Da una finestra sul vuoto ammiccò pieno il primo astro; grasso, sfacciatamente giallo, un banchiere. Trascinare. Il cielo si fece chiaro e promise freddo in arrivo.")
I protagonisti sono uomini e donne che si aggirano intorno ai binari di luoghi spettrali come morti-viventi, sonnambuli che galleggiano in un presente fragilissimo, sospeso tra un passato troppo lontano e un futuro inesistente. L'hic et nunc di Arno Schmidt è provvisorietà, pura sopravvivenza senza margini per la speranza. Nulla sembra avere senso: Dio, le leggi che regolano la materia, i principi della fisica e della filosofia, le cose del mondo.
Un mondo alla fine del mondo, dove vivere o morire è solo questione di fortuna.

sabato 30 novembre 2019

Il quinto evangelio – Mario Pomilio




"L'evangelio non è finito, questa è la verità."

Il quinto evangelio è un romanzo importante che mescola personaggi storici ed episodi di fantasia in una trama in cui si alternano materiali e registri narrativi diversi: novelle, lettere, leggende, testimonianze, frammenti di libri e addirittura un'opera teatrale che Pomilio ci propone restituendoci con grande eleganza la lingua e lo stile delle epoche a cui fa riferimento. Libro modernissimo quindi, nonostante sia stato scritto nel 1975 e ancora più moderno se consideriamo che si tratta anche di un elegante esercizio meta-letterario dato che il tema del romanzo è proprio un libro, il fantomatico quinto evangelio alla cui ricerca il protagonista finisce per dedicare la sua esistenza.
Si parte dagli appunti di un prete anonimo, dal suo arrovellarsi tra dubbio e speranza e dalla sua ricerca di Dio, per arrivare ai Vangeli, l'opera con la quale il Padre ha parlato agli uomini attraverso il Figlio. Dai Vangeli al quinto evangelio del quale il protagonista scopre le tracce nelle carte del prete il passo è breve, un quinto evangelio che  si rivela da subito qualcosa di più di una curiosità, di uno dei tanti apocrifi opera di discepoli e pseudo-discepoli di Cristo, perché pone al centro la carità, laddove gli altri mettevano la legge.
Un ritorno alle radici, alla spiritualità, ad un Gesù "francescano" da opporre alla secolarizzazione della Chiesa (ed anche in questo il romanzo di Pomilio risulta non solo modernissimo ma quasi profetico).
Al centro del libro c'è la Parola: le sue interpretazioni e il suo travisamento, che ci hanno allontanato dal suo significato originario portandoci in tutt'altra direzione. Il quinto evangelio rappresenta così il tentativo di sfrondare la Parola dalle sovrastrutture che l'hanno appesantita nel corso del tempo, dalle analisi capziose e spesso sterili che hanno finito per tradire il messaggio che essa voleva rappresentare quando fu pronunciata.
Quinto evangelio non come un vangelo nuovo ma come modo nuovo di rileggere i Vangeli canonici per recuperare la potenza anche eversiva di una Parola che è senza fine perché si rinnova in continuazione, mantenendo però inalterato  il messaggio che essa sottende, l'invito a passare dalla dottrina all'azione, ad operare per i poveri, per gli umili, per gli ultimi.