sabato 4 dicembre 2021

Il re pallido – David Foster Wallace

 
L'opera struggente di un formidabile genio.

Frammenti che brillano nel buio, brandelli di un grande romanzo rimasto in potenza. Quello che resta sono idee, parti non collegate, un percorso abbozzato ma sufficiente a far trasparire la grandezza di Foster Wallace, la sua capacità di fare letteratura partendo da ogni cosa, in questo caso la noia, la routine del quotidiano.
Introspezione, scavo nella psicologia dei personaggi, descrizioni acute, dialoghi di struggente bellezza (il capitolo 46 su tutti), costruzione attenta e un rigore formale che sfiorano la perfezione e poi, soprattutto, l'empatia, la capacità di stabilire un contatto profondo con i protagonisti della storia, comprenderli nelle loro debolezze e comprendendoli, amarli.
"Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane."

domenica 14 novembre 2021

Le pianure – Gerald Murnane


«Le pianure non sono ciò che molti dei loro abitanti ritengono che siano. Sono semplicemente una comoda fonte di metafore per chi sa che sono gli uomini a inventare i loro significati.»


«Cercavo, in quel paesaggio, qualcosa che sembrasse accennare a un significato complesso, oltre le apparenze». Questo lo scopo del protagonista, un cineasta che decide di intraprendere un viaggio nel cuore dell'Australia, alla ricerca dell'ispirazione per la sceneggiatura di un film. Con una prosa piana, fintamente rassicurante, Murnane disegna atmosfere wendersiane per un libro nel quale i grandi spazi e gli stravaganti personaggi kafkiani che li abitano sono solo la superficie di un mare dai profondi abissi.
Le pianure. Sconfinate e uguali a se stesse, eppure uniche per ognuno dei latifondisti che ci vivono e che crede di essere il solo in grado di comprenderle. Le pianure come simbolo di una ricerca interiore, un viaggio tra Orizzontisti e Uomini Lepre, Pianure Centrali e Pianure Esterne, Confraternita della Pianura Infinita e Lega del Cuore del Paese…, il folle tentativo di costruire un'epica e poi una metafisica per pianure che man mano che si svelano, si nascondono.
Costume, politica, religione, filosofia, pittura, letteratura, fotografia… sono le lenti di un prisma attraverso il quale gli uomini cercano di interpretarle, illudendosi che da qualche parte possa saltar fuori una verità, un segno in grado di illuminare il cammino e spiegarne il senso. Ma è nel buio, non nella luce il significato, spiega al protagonista il suo ultimo interlocutore:

«Anche un posto così grande e luminoso come le pianure può essere cancellato da qualsiasi direzione. […] Posso concederti che anche vedere quelle pianure di cui abbiamo goduto per tutto i pomeriggio… anche questo è, in un certo senso, un segno di distinzione. Ma non farti ingannare. Niente di ciò che abbiamo visto oggi esiste, a parte l'oscurità. […] Il Grande Buio. Non è forse là che si trovano tutte le nostre pianure? […] Quel buio che era l'unico segno visibile di qualunque cosa vedessi al di là di me stesso».


Link
https://lithub.com/wayne-macauley-on-gerald-murnanes-most-memorable-book/

domenica 7 novembre 2021

Hagard – Lukas Bärfuss

  


«So tutto e non comprendo nulla»

«So tutto e non comprendo nulla», afferma Philip, il protagonista di Hagard, nelle prime righe della narrazione. Sappiamo tutto e non comprendiamo nulla, questa la dichiarazione di intenti all'ombra della quale si sviluppa questo interessante romanzo psicologico.
Un paio di scarpe, delle ballerine color prugna, sono la molla che fa scattare la sua curiosità e scatena le trentasei ore di inseguimento della ragazza che le indossa. Quello che Philip cerca però non è fuori, ma dentro di lui. La trasgressione, certo, il desiderio di uscire dalla strada abituale e di concedersi una deviazione nel bosco del mistero, in un territorio dove il nostro cellulare non è raggiungibile. Ma l'obiettivo di Bärfuss è ben più ambizioso: cosa c'è dietro le nostre ossessioni, i nostri pensieri reconditi? – si chiede l'autore – e cosa saremmo disposti a sacrificare per scoprire il segreto dei nostri sogni? ??
Hagard scandaglia nell'animo del protagonista raccontandoci del suo/nostro bisogno di affrancarsi da una realtà che ci vuole sempre connessi per ritagliarci uno spazio nel quale vivere il nostro tempo con i nostri ritmi:
«Era tutto concentrato sull'istante, nient'altro contava, ignorava quello che sarebbe accaduto il secondo successivo, ma sapeva di essere pronto a qualunque cosa.»
«Era semplicemente lì, senza necessità di fare altro, e comprendeva perché in quella condizione fosse racchiusa la sua felicità. Philip coincideva con il proprio stesso respiro; in poco tempo si era reso conto di quanto fosse inutile arrabbiarsi, preoccuparsi, pensare al di là del passo successivo, ogni programma gli avrebbe impedito di abbandonarsi al momento presente. E così vide quello che ancora non aveva mai veduto. L'universo pieno di segni che lui era in grado di leggere: il mondo come un libro aperto. Decifrarne i messaggi dipendeva soltanto da lui. Tutto ciò che rimandava a un qualunque futuro,[…] era insensato e infantile. Ogni investimento era ridicolo, mortifero e nocivo per la vita che aveva ormai trovato.»
«So tutto e non comprendo nulla»: ma se non so tutto, allora posso iniziare a comprendere.
Philip capisce che è necessario non far cadere completamente il velo, che troppa luce può fare male alla vista. Per questo rinuncia alla possibilità di vedere in volto la ragazza perché ciò significherebbe la fine del gioco, l'uscita dal bosco del mistero e il ritorno sulla strada maestra del consueto:
«Guardala, per amor del cielo. Che ci vuole? Ma no, non puoi. Hai paura. Paura del suo sguardo. Temi possa non esserne valsa la pena. Inutile la notte appena passata, inutile l'inseguimento. Finché la donna resta un mistero, puoi continuare a credere. Se vedi il suo viso saprai tutto e non imparerai più nulla. Decifrerai il suo volto. Inizierai a interpretare. E quando ti metti a interpretare, smetti di vedere. Saprai cosa pensa. Come guarda il mondo. Capirai ma non vedrai più. In tutte le cose deve rimanere un segreto che ci fa aprire gli occhi. Quel che abbiamo compreso è perduto.»
Philip/ Bärfuss/il lettore, esce di strada e entra nel bosco. Per noia, curiosità, spirito di avventura, claustrofobia per la vita… non è importante. Quello che conta è che il bosco è il mistero, pericoloso e affascinante, cancella gli schemi consueti, le certezze e le priorità. Nel bosco i confini entro i quali scorrevano placida le nostre vite sbiadiscono e tutto diventa incerto.
Cos'è davvero importante?
Cosa cerchiamo, cosa vogliamo dalle nostre vite?

sabato 23 ottobre 2021

Ebdòmero – Giorgio de Chirico



La letteratura come pittura con altri mezzi

Ebdòmero è un originalissimo libro fatto di immagini, nel quale il grande artista depone per un attimo il pennello per continuare a dipingere con le parole. Un monologo in bilico tra il ballo in maschera e la fuga, una passeggiata tra i quadri di una pinacoteca che è anche un'autobiografia sotto mentite spoglie dell'autore.

Sogni, ricordi, fantasie… immagini che mettendolo sulla carta danno realtà al mondo interiore di de Chirico e ci offrono il privilegio di entrare in contato più stretto con l'Arte del Maestro. Ebdòmero è uno spazio sospeso fuori dal tempo, un romanzo nel quale la trama non si sviluppa per collegamenti logici ma attraverso associazioni di idee, contrasti e analogie. Ad ogni passo dell'autore corrisponda un salto nel vuoto per il lettore, che deve stare attento ad afferrare al volo la liana che gli permetta di volare sopra l'apparenza.
Il protagonista è una via di mezzo tra Ulisse e Gesù, una specie di misantropo, in bilico tra ricordo del passato e voglia di scoperta, che lungo il cammino non manca di dispensare consigli ai suoi discepoli:

«perciò io vi dico, amici miei: metodizzatevi, non sprecate le vostre forze, quando avete trovato un segno, voltatelo e rivoltatelo da tutti i lati; guardatelo di faccia e di profilo, di tre quarti e di scorcio; fatelo sparire ed osservate quale forma piglia al suo posto i ricordo del suo aspetto.»

Un cammino accompagnato dalla nostalgia del passato e dal senso di solitudine, circondato da intellettuali «impotenti e stizziti che ignoravano l'ironia e il vero talento», individui nei quali «sentiva qualcosa di legati; sentiva che un nodo impediva loro di muovere liberamente le braccia e le gambe, di correre, di arrampicarsi, di saltare, di nuotare e di tuffarsi, di raccontare qualcosa con spirito, di scrivere e di dipingere, per dirla in poche parole di capire e di creare», attorniato da ostinati «cercatori metafisicizzanti», scettici che non riescono a vedere quello che vede lui «e pretendevano che i centauri non fossero mai esistiti».

 





sabato 2 ottobre 2021

Solenoide – Mircea Cărtărescu


Letteratura d'evasione


Cărtărescu appartiene alla categoria degli scrittori che scrivono sempre lo stesso libro. In Solenoide ritornano infatti i temi che erano già in nuce nei racconti di Nostalgia per essere poi sviluppati nella trilogia di Abbacinante e che rappresentano una vera e propria ossessione per l'autore rumeno.
C'è Bucarest, «progettata come un grande museo a cielo aperto, museo della malinconia e del decadimento di ogni cosa», il mondo che si apre alla vista dalla finestra di via Ştefan cel Mare e la toponomastica dell'anima che abbiamo imparato a conoscere negli altri romanzi di Cărtărescu.
C'è la solitudine del protagonista, quella solitudine che unendosi alla compagnia dei libri genera un miscuglio classico e micidiale in grado di dar fuoco alle polveri di un viaggio introspettivo ai limiti (e probabilmente oltre) della follia.
C'è il tema del doppio, la figura di Victor fratello-gemello morto piccolo o forse mai nato. Ma anche il permanente senso di incompletezza del personaggio principale, alla ricerca della sua parte mancante nel tentativo di ricomporre quell'unità del sé che rappresenta un aspetto particolarmente importante di tanta letteratura europea del secondo Novecento.
Ci sono le riflessioni sulla letteratura e soprattutto l'idea di letteratura di Cărtărescu. «Così doveva essere la letteratura per significare qualcosa: una levitazione al di sopra delle pagine, un testo pneumatico, senza alcun punto di contatto col mondo materiale.» La letteratura come strumento per indagare i misteri della vita («l'unica ragione di essere che la scrittura abbia mai avuto: quella di comprendere te stesso fino in fondo, fin nell'unica stanza del labirinto della mente in cui non hai diritto di penetrare.»)
C'è la sovrapposizione dei piani, con realtà, sogno, allucinazioni, ricordi e fantasie che rappresentano terreni di pari dignità per sviluppare la ricerca matta e disperatissima dello scrittore, il suo tentativo di aprire una crepa nel perimetro che delimita il nostro spazio e provare ad affacciarsi sull'ignoto della terza e quarta dimensione, su mondi sconosciuti che devono esistere da qualche parte, in una realtà parallela alla nostra, mondi ugualmente veri come quello in cui viviamo.
E poi c'è la scrittura, massimalista, con metafore originali, ricche descrizioni d'ambiente e i classici scatti in avanti già visti in Abbacinante, le impennate lisergiche e visionarie nelle quali partendo dalle esperienze sensoriali la penna di Cărtărescu accelera improvvisamente e si impenna espandendosi nella sfera delle emozioni e della fantasia pura, imboccando con decisione la strada che sale verso vette immaginifiche, una scrittura che lascia il lettore per un attimo sul posto, indeciso se seguire o meno il narratore nella sua follia, incuriosito e spaventato dall'altezza e dalla maestosità della montagna che si staglia davanti a sé.