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domenica 3 marzo 2024

Cormac McCarthy – Stella Maris



Cormac McCarthy – Stella Maris
(trad. Maurizia Balmelli)
Einaudi editore, 2023 – I ed. 2022


Il passo d'addio di McCarthy è un romanzo destrutturato e ridotto a dialoghi, lontano dalla prosa consueta delle opere più rappresentative dell'autore statunitense ma simile per gli aspetti formali a Sunset Limited e anche a La coscienza di Andrew di Doctorow. Si tratta di un testo concettuale, che sacrifica l'attenzione agli elementi della scrittura per concentrarsi sull'idea pura, sfidando il lettore su un terreno quanto mai impervio.
Come in un ring, incrociano i guantoni in una singolare tenzone dialettica Alicia Western, la ragazza prodigio de Il passeggero, e il dottor Cohen psichiatra della clinica nella quale la ragazza è ospitata. Alicia è un genio dal quoziente intellettivo altissimo e dalle potenzialità inestimabili ma che finisce per spingere così in profondità le sue riflessioni da approdare sull'orlo del baratro. La matematica, che aveva abbracciato con la convinzione che fosse una stella polare in grado di illuminarla sulle verità dell'universo, si rivela una fede fallace, incapace di fornirle le risposte di cui ha bisogno e così il linguaggio – tema centrale del romanzo – si rivela una forza devastante ("Molto devastante. Proporzionalmente alla sua importanza. Distruzione creativa. Sono certamente andati persi talenti e abilità di ogni tipo. Perlopiù comunicativi. Ma anche cose come l'arte della navigazione e probabilmente perfino la ricchezza dei sogni. Alla fin fine questo strano nuovo codice deve aver almeno in parte sostituito il mondo con quello che se ne può dire. La realtà con l'opinione. Il racconto con l'approfondimento,"). Cosa rimane allora? Forse la musica, "completamente autoreferenziale e coerente in ogni sua parte", "un mistero che va addirittura oltre ogni speranza di comprensione. La musica non è un linguaggio. Non allude a niente se non a se stessa".
La musica, allora, salverà il mondo? Probabilmente no, sicuramente non salverà Alicia, convinta "che il mondo non ha creato un solo essere vivente che non intenda distruggere", che "la nostra esistenza del mondo sia sostanzialmente un proteggersi dallo sgradevole dato di fatto che i mondo non sa che siamo qui" e che l'immaginario sia preferibile al reale.

sabato 3 marzo 2018

Cormac McCarthy - Meridiano di sangue


“Tutte le cose del mondo sbocciano, maturano e muoiono, ma in quelle dell'uomo non c'è tramonto e il mezzodì del suo fiorire è già l'inizio della notte. Il suo spirito si esaurisce nel momento stesso in cui raggiunge l'acme. Per lui il meridiano è insieme il crepuscolo e la sera del giorno.”

Meridiano di sangue è l’epica della frontiera raccontata con voce potente. Parole nette, che risuonano chiare e forti come quelle di un’omelia pronunciata dal pulpito di una cattedrale gotica. Si levano verso l’alto, dure e affilate come la lama di un coltello e poi riecheggiano contro le fredde pareti della Chiesa senza perdere un briciolo della loro capacità evocativa. Solo verso la conclusione il ritmo della narrazione muta e McCarthy si diverte a confondere le acque, sfumando i contorni per lasciarci un finale semi-aperto.
È la violenza il centro e la periferia di questo libro, Un Moloch mai sazio, che esige sempre nuovi sacrifici, un mostro che non conosce regole e travolge tutto quello che incontra sul suo percorso. È una violenza incontrollabile, che se all’inizio si presenta sotto le mentite spoglie di un mezzo utile a portare l’ordine, nel corso della narrazione getta la maschera per rivelarsi nella sua vera realtà: una Bestia assettata di sangue, non un mezzo ma il fine che trova la sua espressione attraverso la guerra (Ciò che gli uomini pensano della guerra non ha importanza, disse il giudice. La guerra perdura nel tempo. Tanto varrebbe chiedere agli uomini cosa pensano della pietra. La guerra c'è sempre stata. Prima che nascesse l'uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente).
Il ragazzo, il capitano Glanton e il giudice Holden sono i tre protagonisti del libro, personaggi che sembrerebbero incarnare tre aspetti diversi della violenza: quella intesa come unica possibilità, quella come mestiere e quella come “vocazione”. Violenza di pancia, di testa e di cuore, forse. O forse solo sfumature, modi diversi di percorrere un’unica strada che non conosce ritorno ma solo un crescendo esponenziale destinato a spegnersi con la stessa violenza di cui si è nutrito.
La legge morale è un'invenzione dell'umanità per deprivare il forte a vantaggio del debole. La legge storica la sovverte di continuo, dice il giudice e in nome della legge del più forte giustifica i suoi atti. La violenza come destino dell’uomo, quindi. Una violenza tanto più tragica perché inutile, dato che il nuovo ordine che essa impone sarà destinato a sua volta ad essere spazzato via. Un po’ come, nella poesia della Szymborska.

LA FINE E L’INIZIO

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C’è chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

sabato 1 marzo 2014

Cormac McCarthy - Sunset Limited


Un libro “concentrato”, più che un libro breve. Un dialogo, una pièce teatrale, una partita a scacchi dove il Bianco e il Nero sono la ragione e la fede. 
Una partita che, nonostante i tentativi del Nero, non può essere giocata perché non esiste un terreno comune dove confrontare le tesi che i due contendenti esprimono; tesi che, riprendendo la metafora del Sunset Limited (il treno della metropolitana newyorkese) corrono su binari paralleli, destinati a non incontrarsi mai, eppure necessari entrambi per la corsa del treno. 
Il Nero cercherà fino alla fine di aiutare il Bianco a trovare i motivi per desistere dal proposito suicida. Invano però, perché il Bianco ha già analizzato nei dettagli la situazione ed il suicidio è la soluzione alle sue domande; un un sorprendente finale ci dimostrerà che è il Nero quello che cerca una ragione per cui valga la pena vivere, quello che ha “bisogno” di aiutare l l'altro per trovare un motivo per andare avanti. 
Il dramma del testo nasce, come detto, dall'impossibilità di far dialogare Bianco e Nero, due metà incompatibili eppure entrambi presenti nell'animo umano. Siamo fatti (anche) di contraddizione, mi verrebbe da dire. Né tutti neri, né tutti bianchi, siamo sfumature di grigio. 
 Che lo si accetti o no.