sabato 29 marzo 2025
Il nervo ottico – María Gainza
sabato 8 marzo 2025
La pazienza dell'acqua sopra ogni pietra – Alejandra Kamiya
sabato 1 marzo 2025
Spam – Rafael Spregelburd
sabato 19 marzo 2022
Teoria della prosa – Ricardo Piglia
sabato 14 agosto 2021
La metà del doppio – Fernando Bermúdez
sabato 26 giugno 2021
L'occasione – Juan José Saer
sabato 23 gennaio 2021
Racconti completi – Haroldo Conti
Raccolta eterogenea di racconti con al centro l'epica del fiume, della campagna, dei grandi spazi aperti, storie costruite intorno a personaggi che un giorno arrivano e poi ripartono lasciando dietro di sé una scia di lacrime e sangue, ricordi che tornano a vivere per un momento per poi essere risucchiati nell'oblio.
Uomo e natura, in una simbiosi contrastata ma ineludibile. I protagonisti dei racconti di Conti finiscono per accordare il loro ritmo a quello del grande fiume e a quello delle stagioni. Sono per lo più vagabondi, uomini disillusi e solitari, mossi da un'ansia che gli impedisce di rimanere fermi in un luogo ma li spinge a muoversi alla ricerca di qualcosa a cui non sanno dare forma e sostanza. Professionisti della sconfitta che nascondono dietro alla maschera del silenzio e a un cinismo di facciata le mille cicatrici del cuore, scarti di un mondo abituato ad abbandonare al suo destino chi non sa più stare al passo.
Uomo e natura – si è detto – ma anche uomo e uomo, in un equilibrio regolato dalla legge del più forte, perché nella lotta per non andare a fondo tutto è lecito e non ci sono spazi per la poesia.
Eppure la penna di Conti ha note liriche ed è abilissima nel disegnare figure come il gallo Britos ("che è molto più anziano di quanto non sembri, anche se in realtà non sembra avere nessuna età e potrebbe essere vecchio quanto il mondo"), individui che sembrano usciti da un album di fotografie in bianco e nero e raccontano di un mondo passato. Personaggi come Ramón Pampín o come "il matto Seretti" che "passava la metà del tempo ad aggiustare il tetto, costruito con lamiere di seconda chiodatura, e alla fine aveva deciso di rimanerci sopra perché da lì si vedeva tutto in un altro modo". Personaggi come il signor Pelice "con le sue scarpette di vitello, la sua giacca di gabardine nera e il suo panama grezzo", il pirotecnico più rinomato della zona che scriveva lettere d'amore alla signorina Haidée ma che invece di spedirle preferiva usarle per imbottire i razzi dei botti.
Personaggi di un mondo, quello creato dalla penna di Conti, che non esiste più. Un mondo però più vero, più ingenuo ma più onesto di quello attuale.
sabato 31 ottobre 2020
Distanza di sicurezza – Samanta Schweblin
Test di Rorschach
La distanza di sicurezza è lo spazio che le madri considerano sia sufficiente a tenere a bada i loro figli. "Cercano di anticipare quello che può succedere, con la famosa distanza di sicurezza." – dice uno dei protagonisti del libro – "È perché, presto o tardi, qualcosa di terribile succede. Ma non vi accorgete della cosa più importante." Distanza di sicurezza è la storia della contaminazione del bambino e del rituale magico al quale la madre l'ha sottoposto per salvarlo, al prezzo però di averlo indietro diverso, con l'anima scissa, migrata da un'altra parte.
Un libro diverso, pervaso da un senso di inquietudine costante. Una trama originale, attenta a non dare punti di appoggio al lettore per stanarlo dalla comoda realtà e portarlo in un territorio privo di certezze, solo con le sue domande destinate a rimanere senza risposta.
Con Distanza di sicurezza, Samanta Schweblin sostituisce le parole
alle macchie e realizza un sorprendente test di Rorschach in chiave narrativa.
Al lettore il compito di cimentarsi con le suggestioni della scrittrice
argentina e con i fantasmi del suo subconscio.
domenica 6 settembre 2020
Componibile 62 – Julio Cortázar
«Capire,
capire… Tu capisci per caso?»
«Non
lo so, probabilmente no. Comunque ormai non servirebbe a nulla».
Un libro che prende le mosse dal
capitolo 62 di Rayuela e in puro stile cortázariano si propone di scardinare le
regole del romanzo classico per avventurarsi in terreni non battuti. Lo fa
partendo da una frase di stampo oulipiano ("Vorrei un castello insanguinato",
aveva detto il cliente corpulento) per dare inizio a una serie di riflessioni su
un libro di Michel Butor, su una donna misteriosa (Hélène, o forse una contessa
o forse una Frau Marta) e sul caso ("Perché sono entrato nel Polidor,
perché ho comprato il libro e l'ho aperto a caso e altrettanto a caso ho letto
una frase qualsiasi appena un secondo prima che quel cliente corpulento
ordinasse una bistecca quasi cruda?"). Un libro sull'inutile desiderio di
capire, sul tentativo di interpretare tutto quello che accade come fosse segno
di qualcosa, come traccia da seguire per identificare una pista che in realtà
non esiste e che pure ci ostiniamo a cercare.
Si sale per una strada ricca di
curve, avviati su meandri pericolosi che puntano dritti verso la palude dei
meccanismi interiori, un luogo nel quale memoria e fantasia finiscono per
confondersi conducendo la nostra ricerca della conoscenza su un binario morto.
Eppure.
Eppure "qualcosa mi lascerai
fra le mani", pensa il protagonista. L'uomo non si arrende, non arretra
davanti al vuoto e non rinuncia ad interrogarsi, perché vive di domande più che
di risposte. La soluzione all'enigma diventa un dettaglio perché quello che
interessa l'uomo e lo attrae come la luce la falena è l'enigma stesso. Il
modello è Ulisse, il viaggio dell'uomo alla scoperta del mondo e di se stesso.
E il viaggio che ci propone Cortázar
- è bene ribadirlo - non prevede per il
lettore comodi scompartimenti di prima classe ma una dura camminata attraverso
sentieri impervi con passaggi repentini dalla narrazione interna al punto di vista esterno, continui cambiamenti
di scenario tra Londra, Parigi, Vienna, Mantova… e un frenetico alternarsi di
personaggi dei quali si fatica a ricostruire i rapporti e che vivono più di
sogni che di realtà, non ancora integrati e organici alla società.
Lispectoriano? Forse, ma se l'occhio dell'autrice brasiliana guarda indubbiamente
verso l'interno, quello dello scrittore argentino sembra rivolto anche verso
l'esterno (la "Città", la "zona"). Lispectoriano? Per certi
versi sì, e penso alle riflessioni di Cortázar sulla costruzione da parte dei
personaggi del libro di un alfabeto privato, che permette loro di comunicare
escludendo gli altri e soprattutto al linguaggio inteso come "arte
combinatoria di ricordi e circostanze" che invece di aiutare falsifica al
punto che seguendo il suo punto di vista si potrebbe arrivare a definire la
vita come una specie di gioco nel quale la colpa della fine della storia
d'amore di Juan con Hélène è dovuta ad una lettura sbagliata delle carte,
sapendo che "qualcosa che non siamo noi gioca con questo mazzo di carte in
cui siamo picche e cuori ma non le mani che le mischiano e le combinano, gioco
vertiginoso nel quale riusciamo soltanto a conoscere la sorte che ci tesse e
disfa a ogni giocata, la figura che ci precede o ci segue, la sequenza con la
quale la mano ci propone all'avversario, la battaglia di azzardi e di scarti
che decide la posta e i ritiri". Eppure "io continuerò a cercare il
varco, Hélène, tutto mischierò di nuovo per incontrarti come voglio."
Già, il varco. Un passaggio
stretto e non per tutti, una specie di porta su un'altra dimensione che
permette ai personaggi del libro di incontrarsi a un livello ideale più che
reale, su una zattera astratta che galleggia sospesa sul mondo e che
rappresenta la loro salvezza ("La nostra salvezza è una vita tacita che ha
poca attinenza con il quotidiano o l'astronomico, un influsso spesso che lotta
contro la facile dispersione in qualsivoglia conformismo o qualsivoglia
ribellione più o meno privi d'iniziativa propria, […] la vita come qualcosa di
estraneo di cui bisogna però prendersi cura").
Quello che Juan e gli altri
cercano, quello che Cortázar cerca, è in sostanza la libertà. Dalle parole, dai
vincoli, dalle convenzioni. Libertà di essere come si è.
Inutile aggiungere altro, così
come aggiungere dettagli di una trama che sembra costruita apposta per
spostarsi un po' più in là ogni volta che si cerca di avvicinarla o, peggio, di
comprenderla. La mia chiave di lettura per avvicinarsi a Componibile 62 è quindi più emotiva che logica e in questo mi sono
di conforto le stesse parole di Juan:
"Che senso aveva spiegare? Il
semplice fatto che fosse necessario dimostrava ironicamente la sua
inutilità".