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sabato 3 agosto 2024

Carlos Fuentes – Gli anni con Laura Díaz

 


Carlos Fuentes – Gli anni con Laura Díaz
(trad. Ilide Carmignani)
Il Saggiatore 2008, I ed. 1999


Il cammino dei Santiago.

"Conoscevo la storia, ignoravo la verità. Anche la mia presenza, in un certo senso era una menzogna."
Un incipit potente, che dice già molto sulle intenzioni dell'autore: la storia nella realtà letteraria è verità e menzogna, come spiega Fuentes in un'intervista a The Austin Chronicle:
"la storia è un processo senza fine. E se consegni il passato solo al passato, lo stai consegnando a un museo. Una delle grandi funzioni del romanzo è stata quella di rendere il passato un presente vivo. Di dare alla storia la dimensione che manca ai libri di storia. Posso leggere tutti i libri di storia che voglio sulla Russia del XIX secolo, ma non capirò la Russia del XIX secolo se non leggo Gogol e Dostoevskij e Tolstoj e Turgenev, per esempio. Quindi c'è quella dimensione di mantenere viva la storia.
Quindi il rapporto con la realtà, la realtà è sufficiente a se stessa. Eccolo! Non chiede agli scrittori di venire a scriverne. Ciò che fa uno scrittore è creare un'altra realtà, aggiungere alla realtà. Non semplicemente riflettere la realtà, ma aggiungere qualcosa alla realtà che non c'è. Amleto non ci sarebbe se Shakespeare non l'avesse scritto. Don Chisciotte non ci sarebbe se Cervantes non l'avesse scritto. E non possiamo immaginare un mondo senza Amleto o Don Chisciotte. Eppure non c'erano nella realtà. Se gli scrittori non fossero venuti e non li avessero scritti, beh, niente Amleto e niente Don Chisciotte. Quindi questa è un'aggiunta alla realtà, arricchisce la realtà, crea una nuova o ulteriore realtà."
Gli anni con Laura Díaz è un romanzo che abbraccia cento anni di storia, del Messico, ma anche del Novecento, con particolare riferimento alla Guerra Civile spagnola. Una riflessione sulla natura dell'uomo e sull'evoluzione sociale di una nazione, senza trascurare il ruolo dell'arte e della religione in questo processo. Un romanzone di stampo novecentesco, che grazie ad una scrittura di gran classe si illumina fino a diventare un romanzo totale. Passioni politiche, amori, ambizioni personali, ideali artistici, dubbi esistenziali… non credo che nelle intenzioni dell'autore ci sia la volontà di creare una narrazione epica, quanto piuttosto rileggere la storia, interpretandola a posteriori alla luce dei sentimenti e dei pensieri degli uomini che ne sono protagonisti e non oggetti.
Difficile non pensare all'altro grande romanzo di Fuentes, La morte di Artemio Cruz, e leggere le due opere come un dittico. Da una parte l'uomo di potere, che dedica l'esistenza a raggiungere il successo e mantenerlo, dall'altra una figura femminile alla ricerca di se stessa e del suo ruolo nel mondo. Uno fa la storia, l'altra cerca di comprenderla, sforzandosi di andare oltre l'apparenza, curiosa di quello che si nasconde dietro alle parole, "la Laura ragionevole e la Laura impulsiva, la Laura vitale e la Laura vile". Laura che vive inseguendo i sogni più che la realtà.
"…Enedina e io ricordammo ogni cosa e quello che non ricordavamo, lo immaginammo, e quello che non immaginavamo, lo scartammo come indegno di una vita vissuta per l'inseparabile possibilità di essere e non essere, di portare a compimento una parte dell'esistenza sacrificandone un'altra, sempre sapendo che non si può possedere alcunché completamente, né la verità, né l'errore, né la conoscenza, né il ricordo, perché discendiamo da amori incompleti anche se intensi, da memorie intense anche se incomplete, e non possiamo ereditare altro che quello che ci hanno lasciato i nostri antenati, la comunanza del passato e la volontà dell'avvenire, uniti nel presente della memoria, dal desiderio e dalla consapevolezza che ogni atto d'amore oggi porta finalmente a compimento l'atto d'amore iniziato ieri. Il ricordo attuale consacrava, pur deformandolo, il ricordo di ieri. L'immaginazione di oggi era la verità di ieri e di domani."

domenica 10 gennaio 2021

Quelli di sotto – Mariano Azuela

 


L'epica del disincanto


Quelli di sotto non è solo un libro sulla rivoluzione messicana del 1910 ma è il primo libro su questo tema, un'opera figlia di un'esperienza sul campo dalla quale Azuela trasse una profonda disillusione che emerge chiaramente dalla lettura di queste pagine.
Demetrio Macías è un allevatore di bestiame che aderisce convintamente alla causa delle rivoluzione e poi si ritrova a nuotare in un mare nel quale i confini si fanno sempre più indistinti. Non esistono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra ma solo sfumature di grigio, un grigio che tende sempre più pericolosamente al nero perché la guerra sembra avere la capacità di tirar fuori il peggio dalle persone, a qualunque fazione esse appartengono. Le buone idee e i valori alla base della rivoluzione finiscono così per perdersi per strada, sacrificate in nome dell'opportunismo e dell'ambizione. Il bene pubblico è l'agnello sacrificale immolato sul tempio dell'interesse personale e tanti saluti alle buone intenzioni. Da soggetto ad oggetto, la triste parabola di Macías è quella di diventare semplice strumento di quella rivoluzione di cui voleva essere uno degli artefici e di conseguenza la sua lotta si trasforma una specie di moto inerziale, qualcosa che una volta iniziato non c'è motivo di interrompere anche se si fatica a trovare motivi validi per giustificarlo.

«Io avevo immaginato un prato fiorito al termine della strada… E ho trovato una palude. Amico mio, vi sono dei fatti e vi sono degli uomini che non racchiudono se non fiele. E questo fiele vi cola goccia a goccia nell’anima, e tutto amareggia, tutto avvelena. Entusiasmi, ideali, gioie… tutto! E allora non vi rimane che una alternativa: o diventate un brigante come essi, o scomparite dalla scena e vi rinchiudete tra le mura d’un egoismo impenetrabile e feroce.» 

«perché combattere ancora, Demetrio?» Demetrio, la fronte aggrottata, raccoglie distratto un sassolino e lo butta in fondo al canyon. Poi rimane pensoso a guardare in giù, e infine dice: «Guarda come quel sasso non si ferma più…» 


sabato 9 maggio 2020

La morte di Artemio Cruz – Carlos Fuentes



Il racconto delle ultime ore di vita di un ricco e controverso possidente, la sua ascesa sociale in parallelo alla perdita dei valori morali sullo sfondo delle vicende del Messico dall'epoca della Rivoluzione agli anni '50.
Una trama tutto sommato semplice per una narrazione originale, che svecchia d'un colpo il romanzo latino-americano raccontando per la prima volta la storia con strumenti nuovi. Fuentes utilizza una pluralità di punti di vista e di piani temporali, usandoli però non come espedienti fini a se stessi ma rendendoli funzionali alla descrizione di una personalità estremamente complessa come quella del protagonista, un carattere che cambia nel corso del tempo ed in base al punto di vista dell'osservatore.
Tutto è relativo, sembra voler dire l'autore, anche idee e convinzioni mutano a seconda del momento storico e della situazione in cui si trova a vivere il personaggio. Ed Artemio Cruz con la sua vita incarna alla perfezione questa parabola degli ideali: dalle ambizioni giovanili al cinismo della vecchiaia, passando attraverso tradimenti, corruzione e violenza, una traiettoria che sembra disegnata non solo sulla sua figura ma anche su quella di un'intera nazione.
Cruz ha tradito i suoi sogni esattamente come il Messico ha tradito la Rivoluzione. I grandi valori sono stati sacrificati sull'altare del dio denaro e delle meschinità dell'animo umano e quando il protagonista del romanzo si trova a tracciare un bilancio della sua vita quello che stringe in mano è un pugno di mosche e l'unica cosa alla quale può aggrapparsi sono i ricordi, l'amore vero che ha avuto, che ha dato e poi perso.
Cruz è un uomo solo, che nel letto ricorda per ritardare la morte e che si appresta a lasciare dietro di sé solo macerie:
"lascerai in eredità le morti inutili, i nomi morti, i nomi di quanti caddero morti affinché il tuo nome vivesse; i nomi degli uomini spogliati di tutto affinché il tuo nome fosse simbolo di possesso; i nomi degli uomini dimenticati affinché il tuo nome non venisse mai dimenticato: lascerai in eredità questo paese; lascerai in eredità il tuo giornale, le gomitate e l’adulazione, la coscienza addormentata dai falsi discorsi di uomini mediocri; lascerai in eredità le ipoteche, lascerai in eredità una classe decaduta, un potere senza grandezza, una stoltezza consacrata, un’ambizione nana, un impegno da pagliaccio, una retorica marcia, una vigliaccheria istituzionale, un egoismo volgare; lascerai in eredità i loro dirigenti ladri, i sindacati venduti, i nuovi latifondi, gli investimenti americani, gli operai incarcerati, gli accaparratori e la grande stampa, i braccianti, la polizia cittadina e quella segreta, i capitali all’estero, gli speculatori impomatati, i deputati servili, i ministri adulatori, le lottizzazioni eleganti, le commemorazioni e gli anniversari, le pulci e le tortillas verminose, gli indios analfabeti, i lavoratori licenziati, le montagne spogliate, gli uomini grassi armati di sci d’acqua e di azioni, gli uomini flaccidi e unghiuti: si tengano il loro Messico: si tengano la tua eredità; lascerai in eredità i visi, dolci, estranei, senza domani perché fanno tutto oggi, lo definiscono "oggi", sono il presente e sono nel presente: dicono "domani" perché il domani non importa loro: tu sarai il futuro senza esserlo, ti consumerai oggi pensando al domani: loro saranno domani perché vivono solo oggi: il tuo popolo la tua morte: animale che prevedi la tua stessa morte, la canti, la chiami, la balli, la dipingi, la ricordi prima di morirla, la tua morte: la tua terra".

Artemio Cruz è un uomo che ha consacrato la sua vita a dare di sé l'immagine di una persona tutta d'un pezzo, dedita unicamente al desiderio e al possesso, fedele alla legge del tutto o nulla, eppure è un uomo che solo in apparenza si presta ad una lettura semplicistica del tipo bianco o nero perché nasconde una personalità contraddittoria.
La sua è un'anima più complessa, divisa e frammentaria di quanto possa sembrare in apparenza, come conseguenza delle mille traversie che ha dovuto attraversare.
Cruz (anche qui) è lo specchio del Messico: una nazione complessa, divisa e frammentaria in conseguenza delle traversie che ha dovuto attraversare.

" hai mirato lassù, al nord, e da allora sei vissuto con la nostalgia dell’errore geografico che non ti ha permesso di farne parte in tutto e per tutto: ne ammiri l’efficienza, le comodità, l’igiene, il potere, la volontà e ti guardi intorno e ti sembrano intollerabili l’incompetenza, la miseria, la sporcizia, l’abulia, la nudità di questo povero paese che non ha nulla; e ti addolora ancora di più sapere che per quanto ti sforzi non puoi essere come loro: puoi essere solo un calco, qualcosa di approssimativo, perché dopo tutto, di’: la tua visione delle cose, nei tuoi peggiori o migliori momenti, è stata mai così semplicistica come la loro? Mai. Mai hai potuto pensare in bianco o nero, buoni o cattivi, Dio o Diavolo: ammetti che sempre, anche quando pareva il contrario, hai trovato nel nero il germe, il riflesso del suo contrario: perfino la tua crudeltà, quando sei stato crudele, non era soffusa di una certa tenerezza? Sai che ogni estremo contiene il proprio contrario: la crudeltà la tenerezza, la viltà il coraggio, la vita la morte: in qualche modo (quasi inconsciamente, per essere quello che sei, di dove sei e per quello che hai vissuto) sai tutto questo, perciò non potrai mai assomigliare a loro, che non lo sanno. Ti dispiace? Sì, non è comodo, è fastidioso, è molto più comodo dire: qui sta il bene e lì sta il male. Il male. Tu non potrai definirlo mai. Forse perché noi, più indifesi, non vogliamo che si perda quella zona intermedia, ambigua, fra luce e ombra: quella zona dove possiamo trovare il perdono. Dove tu lo potrai trovare. Chi non sarà capace, in un solo momento della sua vita (come te) di incarnare nello stesso tempo il bene e il male, di lasciarsi guidare nello stesso tempo da due fili misteriosi, di colore diverso, che provengono dallo stesso gomitolo, affinché poi il filo bianco vada in su e il nero discenda e, ciò nonostante, tutti e due si ritrovino fra le tue dita? Non vorrai pensare a questo. Detesterai il tuo io perché te lo ricorda. Vorresti essere come loro e ora, da vecchio, quasi ci riesci. Quasi, però. Soltanto quasi. Tu stesso eviterai l’oblio: il tuo coraggio sarà fratello gemello della tua viltà, il tuo odio sarà figlio del tuo amore, tutta la tua vita avrà contenuto e promesso la tua morte: non sarai stato né buono né cattivo, né generoso né egoista, né fedele né traditore. Lascerai che gli altri rivelino le tue qualità e i tuoi difetti; però anche tu, come potrai negare che ognuna delle tue affermazioni negherà se stessa, che ognuna delle tue negazioni affermerà se stessa? Nessuno se ne renderà conto, eccetto te forse."

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