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domenica 30 luglio 2017

John Ashbery, una poesia

STREPITO DEGLI UCCELLI
Scorriamo rapidi attraverso il diciassettesimo secolo.
L’ultima parte è ok, molto più moderna
della prima. Adesso c’è la Commedia della Restaurazione.
Webster e Shakespeare e Corneille erano ok
per il loro tempo ma non moderni abbastanza,
per quanto un passo avanti rispetto al sedicesimo secolo
di Enrico VIII, Lasso e Petrus Christus, che, paradossalmente
sembrano più moderni dei loro immediati successori,
Tyndale, Moroni e Luca Marenzio tra gli altri.
Spesso è questione di sembrare piuttosto che essere moderni.
Sembrare va quasi bene come essere, a volte,
e ogni tanto va altrettanto bene. Che possa essere anche meglio
è questione che sarebbe opportuno lasciare ai filosofi
e ad altri della loro schiatta, che sanno le cose
in un modo che per gli altri è impossibile, anche se le cose
sono quasi le stesse cose che sappiamo noi.
Sappiamo, ad esempio, che Carissimi ha influenzato Charpentier,
ha misurato le proposizioni attaccandogli in coda un loop
che riporta le cose all’inizio, solo un po’
più in alto. Il loop è italiano,
importato alla corte di Francia e dapprima disprezzato,
poi accettato senza alcuna menzione della sua
origine, come i francesi sono avvezzi a fare.
Può essere che alcuni lo riconoscano
nella sua nuova veste – che può essere rimandata
a un altro secolo, quando gli storici sosterranno
che tutto è accaduto normalmente, come risultato della storia.
(Il barocco ha un modo tutto suo di rovinarci addosso,
quando pensavamo di averlo chiuso per bene nell’armadio.
Il classico lo ignora, o lo tollera blandamente.
Ha altro per la testa, di minor rilevanza,
si viene a sapere). Nondimeno, facciamo bene a crescerci insieme,
pregustando impazienti il modernismo, quando
tutto andrà per il meglio, chissà come e perché.
Fino ad allora è meglio abbandonare i nostri gusti
a qualsiasi cosa ci sembri adatta a loro: questa scarpa,
quella cinghia, un giorno giungeranno a sembrarci utili
quando la presenza pensosa del modernismo si sarà installata
dappertutto, come le planimetrie scartate di un progetto architettonico.
È bello essere moderni se si riesce a sopportarlo.
È come essere lasciati fuori sotto la pioggia, e arrivare
a capire che si è sempre stati così: moderni, fradici,
abbandonati, per quanto con quell’intuizione fuori dal comune
che ti dà coscienza di non essere mai stato destinato a essere
qualcun altro, per cui gli artefici
del modernismo verranno passati in rassegna
proprio mentre appassiscono e svaniscono nella luce vivida dell’oggi


(John Ashbery, 2016)  qui

sabato 2 agosto 2014

John Ashbery - Il Nuovo Realismo


Ho perso gli splendidi sogni
che si arruolavano al risveglio,
freddo e in attesa. Quel mondo è una guerra adesso
il sorriso portatile eclissa un altro luogo
la cuffietta del guerriero è colma di sabbia.
Il copricapo biondo è fradicio
il raggio ha asportato la tua foto
se lo spazio potesse immaginare un pilota
le nuvole sarebbero stracci, frumento il sole
una piccola danzatrice ha ornato il copriletto di sangue rappreso
una fontana perforata presumeva
che la cravatta centrale fosse quella esatta di destra
quella con le pesche ammezzate e le viole
e il brusio dell’acqua frizzante
che sgorga dal sereno
annerirsi di spazio, il suo vuoto
lanciato verso l’acqua, il motore tetro
che singhiozza, negazione dapprima
lo vedi questo non puoi farmelo
insomma, avevamo opinioni diverse
occhi e clitoride un milione di miglia da
la minuta e persistente trazione.
L’albero era festonato di escrementi di uccelli
aria di montagna l’oggetto delle nostre tre conversazioni
il bimbo saltò con contentezza sulle
pagine occidentali—perfino meglio di quanto non sia
pietre del giorno
la polizia formò un cordone ai congegni
dove giocavamo
una pagina strappata con un’oasi appassionata
chiederemo loro di
il gattino, la pietra troppo cresciuta sta alla pari
l’erba e le ovaie solide
un ananas vicino
e il legname sulla pianta sul retro
tu in particolar modo non perché sei noto
quell’albero del mezzogiorno—pretesto delle tue radici
sono tra diverse droghe
sul pazzo mercato azionario
vicino alla tua banca ottusa.
Spesso mi hai domandato fuori orario
il pinnacolo di vetro, la sua manutenzione e crollo
sapendo che se fossimo stati in una stalla
pannelli di paglia sarebbero… Che vada
l’orto botanico esplode di gelsomino e lillà
e qui non annuso altro che inchiostro di giornale
il tè è andato giù
tutto è andato giù facilmente
lui torna a venire di continuo, maledizione
delle albe flessibili
che intreccia pomeriggi—che un fischio sia il risultato
alcune sere nel loro clima presidente
il suo mandato stipato di ghiaccio
la credenza esplose sotto milioni di candele
e speranza… un grigio Niagara. 
Sotto l’acqua frantumata sulla roccia
la colomba influenza l’uomo… nel suo fardello
composto di cannibalismo e quiete
i topi ruggiscono e un etiope
spruzza perline di piombo sulla pupa d’argilla
una volta che l’ossigeno viene tolto le
braccia possono tornare a muoversi liberamente.
I soldati sospirano comodamente
nella guarnigione, tu non ti fidi più di me.
Un giorno piovoso ci portò la verità
che la suffragetta aveva proclamato
e la cera aveva scompigliato
solo la bellezza offriva peccato
estraendolo dal tondo e dall’ovale
qualcosa che si addicesse agli orli dell’alba
la casa dove accadde che la terra bruciava stagione su tale feccia
la staccionata tolta e tutta la piastrellatura sparita
Di nuovo salendo in mongolfiera
leggendo dalle pagine dell’elenco telefonico
lo scooter e l’etiope se l’erano svignata
l’edificio andava demolito
un piacevole occhiolino… avevi detto che il sole tramontava
e c’erano solo altre onde,
altro Nilo… In questi momenti penso spesso all’uomo
che… i pagamenti ebbero accesso alla notte
della sua rivendicazione un universo perfetto
onice, imperturbabile, pacata… vedi, la sessione s’era conclusa
uno mi si avvicinò
loro velano il cielo
plasmato in nuova purezza, il cargo
un cielo, la leva comunque
i tre del personale della piantagione
non vennero mai premiati.      Mescolata
all’indistinguibile giorno, e notte, la luna nuova
orbita con cenere sotto al cammino
folle nella notte si fermarono alla caduta
luci fluiscono innegabilmente allontanandosi
la purga è da due soldi. Bloccato da un camion a rimorchio
sposta la tua zavorra, radioso
in percallina a quadretti
lo sceriffo
spigolava, tutto superiore, e il grano
scomparve per sempre, il rifugio
che il ranch
fiore lacerato che corona giornata curiosa.
Un albero maestro del tutto – non eliminato
aggiustando il modo in cui sorridi
i raggi del sole viaggiarono fino a me
il sentiero… si fermò solo dove tu camminasti oltre il dovuto
e libagione. La risposta aveva finito,
nuvole salivano svelte, la mobilia
epoche lontana presso la pagina strappata del libro
dimenticato al sole
la falena rosa vicina al suo confine
un mutamento di un milionesimo
se dobbiamo continuare
e l’oasi in fiamme
il deserto ammutolito, i nubiani sprofondati nei sogni
spaventati dai gufi. Tu devi riscuotere la confisca
noi cambiamo questo blocco concavo, la differenza tra noi tre
le guardie al picco brumarono la sua porta
un tavolo per tre
va via la luce—essuda
la tua idea—appollaiato su un’insegna estremamente crassa
nemmeno la più difficile, ma l’adozione non è modo
v’era un’estasi calma nel modo in cui lei parlava
forse potrei passar sopra al modo in cui lo scherzo
si rivoltava sempre contro di me, alla fine.
Le sbarre erano state tolte da tutte le finestre
c’era qualcosa di cheto nel modo in cui la luce le entrava
nel trousseau. Vino pescato dal mare—loro non avevano saputo
che noi stavamo arrivando rilassati per sempre
noi stavamo fuori dalla terra perché se ti allontani troppo
da un profumo puoi spremerne fuori la vita
una foca apparve e poi le altre
gialle nel sole immenso.
Un cane da guardia si esibì ed essi trionfarono
il giorno era tetro—ghiaccio invece di aria
il sospiro dei bambini alla musica scorsa
che soppiantava i latrati del bastardino.
Era fino a questo punto che si sarebbe spinta—
Una taverna con piante.
Dinamite distante sull’orizzonte
e un seguito, e un trambusto. Delfini sabbia-
repellenti. Sciami di bulldozer
squassarono la costruzione, e lei morì ridendo
perché solo una volta la prosperità lascia che te la cavi
sulla tua soglia lei soleva spiegare
che accadrebbe se i mercanti di ritorno al mattino mettessero al traino l’orlo del furgone
di sera si dovrebbe essere ben svelti a levarseli di torno.
Il giudice bussò. Le zinnie
non avevano mai avuto un aspetto migliore—rosse, gialle e blu
erano, e i non-ti-scordar-di-me e le dalie
almeno sessanta diverse varietà
mentre la persiana s’alzava
e l’ambulanza arrivava sfrecciando nella polvere
del nuovo giorno, la luna e il sole e le stelle,
e l’iceberg affondava adagio
nel vulcano e il mare fuggiva lontano
giallo sulla sabbia calda, verde come gli alberi verdi.



sabato 6 marzo 2010

Mordred

Ora non ho retro nè fronte.
Sono come sono alcune persone
che non ti dicono mai come sono
ma sai che sono come te, e lo sono.

Io ero soprannaturalmente saggio
ma era primavera, non c'era nessuno a preoccuparsi o da fare.
Era primaverea e gli irrigatori a pioggia erano in funzione.

Baia, insenature, rocce viscose
quelli sono i piaceri di qualcuno. Piaceri che non se ne vanno
ma che non è proprio che restino,
restino nel modo che avrebbero dovuto.
Ne ho catturato uno alato,
l'ho guardato fisso negli occhi:
qual'è la tua supposizione? Oh, a me piace solo vivere,
il resto non m'importa granchè,
niente affatto, se vuoi.
Ma a me sì, dissi. Allora, beh, è come una radura
nel buio che non puoi vedere. Il buio è destinato a noi tutti.
Ad esso ci si abitua. Poi di nuovo spunta il giorno.
E' questo che voglio dire quando dico del vivere
che potrebbe andare avanti, andando altrove,
ma non lo fa, sta qui, più o meno.
Devi batterti per lui, allora combatte per te,
ma ciò non è necessario. Andrà avanti a vivere comunque.
Dico ti spiace, mi sto stancando.

Ma c'è un'ultima cosa che devo sapere di te.
Ti ricordi una fucina a mezzanotte
attorno a cui strisciavano gli spettri del lebbrosi, che erano fabbri ferrai
in un tempo persistentemente non identificabile, e poi te ne sei andato così?
Ricordi come cadeva lento il martello
portando tutta quella canzone con te.
Ricordi la musica dei cavalli da tiro
che potevano eseguire solo contro un muro.
Perfetto, quanto poco ti costa il tutto allora?
Eri uno scolaro, ora hai passato la mezzetà,
e la grande lotteria non c'è stata.

Vedo che devo andare.
E' proprio che mi piace vivere,
mi piace solo vivere.
Un giorno o l'altro dovrai dirmi delle tue intenzioni,
ma adesso devo stare qui su questa corsia di sorpasso
nel caso arrivino le vettovaglie
che non mi servono, perchè sono una creatura che vive, respira.
Ma ti ho chiesto del tuo cappello.
Oh, sì, beh, è importante avere un cappello.

[J. Ashbery: "Un mondo che non può essere migliore"]

giovedì 5 febbraio 2009

Autoritratto in uno specchio convesso


[...] L'anima deve restare dov'è,
per quanto inquieta, a sentire la pioggia sul vetro,
il sospiro delle foglie autunnali sferzate dal vento,
e bramare d'essere libera all'aperto, ma deve restare
in posa in questo posto. Deve muoversi
il meno possibile. Questo dice il ritratto.
Ma in quello sguardo c'è un misto
di tenerezza, divertimento e rimpianto, tanto possente
nel suo autocontrollo, che non lo si può guardare a lungo.
Il segreto è troppo ovvio. La pena che questo ci fa brucia,
fa sgorgare lacrime ardenti: che l'anima non è un'anima,
non ha segreti, è piccola, e colma
il proprio vuoto alla perfezione: la sua stanza, il nostro istante d'attenzione.
Questa è la melodia, ma senza parola alcuna.
Le parole sono solo speculazioni
(dal latino speculum, specchio):
cercano senza poterlo trovare il senso della musica.
Vediamo solo gli atteggiamenti del sogno,
cavalcando il movimento che sventaglia il viso
nel campo visivo sotto cieli serali, senza alcuna
falsa scompaginazione come prova d'autenticità.
Ma è la vita inglobata.
Piacerebbe protendere la propria mano
fuori dal globo, ma la sua dimensione,
ciò che la sostiene, non lo concede.
Senza alcun dubbio è questo, non il riflesso
a nascondere qualcosa, a far sì che la mano si profili immensa
nel ritrarsi appena.
[...]
E proprio come non ci sono parole per la superficie, cioè,
nessuna parola per dire ciò che è in realtà, che non è
superficiale ma nucleo manifesto, così non c'è
via d'uscita dal dilemma pathos contro esperienza.
Tu continuerai a rimanere, caparbio, sereno nel
tuo gesto che non è abbraccio nè monito
ma che comprende qualcosa d'entrambi nella pura
affermazione che non afferma niente.
[...]

[J. Ashbery: "Un mondo che non può essere migliore"]