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sabato 3 marzo 2018

Cormac McCarthy - Meridiano di sangue


“Tutte le cose del mondo sbocciano, maturano e muoiono, ma in quelle dell'uomo non c'è tramonto e il mezzodì del suo fiorire è già l'inizio della notte. Il suo spirito si esaurisce nel momento stesso in cui raggiunge l'acme. Per lui il meridiano è insieme il crepuscolo e la sera del giorno.”

Meridiano di sangue è l’epica della frontiera raccontata con voce potente. Parole nette, che risuonano chiare e forti come quelle di un’omelia pronunciata dal pulpito di una cattedrale gotica. Si levano verso l’alto, dure e affilate come la lama di un coltello e poi riecheggiano contro le fredde pareti della Chiesa senza perdere un briciolo della loro capacità evocativa. Solo verso la conclusione il ritmo della narrazione muta e McCarthy si diverte a confondere le acque, sfumando i contorni per lasciarci un finale semi-aperto.
È la violenza il centro e la periferia di questo libro, Un Moloch mai sazio, che esige sempre nuovi sacrifici, un mostro che non conosce regole e travolge tutto quello che incontra sul suo percorso. È una violenza incontrollabile, che se all’inizio si presenta sotto le mentite spoglie di un mezzo utile a portare l’ordine, nel corso della narrazione getta la maschera per rivelarsi nella sua vera realtà: una Bestia assettata di sangue, non un mezzo ma il fine che trova la sua espressione attraverso la guerra (Ciò che gli uomini pensano della guerra non ha importanza, disse il giudice. La guerra perdura nel tempo. Tanto varrebbe chiedere agli uomini cosa pensano della pietra. La guerra c'è sempre stata. Prima che nascesse l'uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente).
Il ragazzo, il capitano Glanton e il giudice Holden sono i tre protagonisti del libro, personaggi che sembrerebbero incarnare tre aspetti diversi della violenza: quella intesa come unica possibilità, quella come mestiere e quella come “vocazione”. Violenza di pancia, di testa e di cuore, forse. O forse solo sfumature, modi diversi di percorrere un’unica strada che non conosce ritorno ma solo un crescendo esponenziale destinato a spegnersi con la stessa violenza di cui si è nutrito.
La legge morale è un'invenzione dell'umanità per deprivare il forte a vantaggio del debole. La legge storica la sovverte di continuo, dice il giudice e in nome della legge del più forte giustifica i suoi atti. La violenza come destino dell’uomo, quindi. Una violenza tanto più tragica perché inutile, dato che il nuovo ordine che essa impone sarà destinato a sua volta ad essere spazzato via. Un po’ come, nella poesia della Szymborska.

LA FINE E L’INIZIO

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C’è chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

sabato 13 luglio 2013

Due poesie (assonanze)



Vista con granello di sabbia

Lo chiamiamo granello di sabbia.

Ma lui non chiama se stesso né granello né sabbia.
Fa a meno di un nome
generale, individuale,
permanente, temporaneo,
scorretto o corretto.
Del nostro sguardo e tocco non gli importa.
Non si sente guardato e toccato.
E che sia caduto sul davanzale
è solo un’avventura nostra, non sua.
Per lui è come cadere su una cosa qualunque, senza la certezza di essere già caduto o di cadere ancora.
Dalla finestra c’è una bella vista sul lago, ma quella vista, lei, non si vede.
Senza colore e senza forma,
senza voce, senza odore e senza dolore è il suo stare in questo mondo.
Senza fondo è lo stare del fondo del lago, e senza sponde quello delle sponde.
Né bagnato né asciutto quello della sua acqua.
Né al singolare né al plurale quello delle onde, che mormorano sorde al proprio mormorio intorno a pietre non piccole, non grandi.
E tutto ciò sotto un cielo per natura senza cielo, ove il sole tramonta senza tramontare affatto e si nasconde senza nascondersi dietro una nuvola ignara.

Il vento la scompiglia senza altri motivi se non quello di soffiare.

[Wislawa Szymborska: "Vista con granello di sabbia]





Sasso


Càlati in un sasso,

io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.

All'esterno è un enigma:

nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev'esserci all'interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso, 
anche se un bambino lo getta dentro un fiume; 
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.

Ho visto scintille schizzar via

quando due sassi sono strofinati,
forse là dentro non fa così buio;
forse c'è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle -
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori.

[Charles Simic: "Hotel Insomnia"]

sabato 4 febbraio 2012

Wisława Szymborska. In memoria


Elogio dei sogni

In sogno 
dipingo come Vermeer van Delft.


Parlo correntemente il greco
e non solo con i vivi.


Guido l’automobile,
che mi obbedisce.


Ho talento,
scrivo grandi poemi.



Odo voci
non peggio di autorevoli santi.



Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.



Volo come si deve,
ossia con le mie forze.



Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde
.


Non ho difficoltà
a respirare sott'acqua.



Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.



Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.



Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.



Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.



Qualche anno fa
ho visto due soli.



E l’altro ieri un pinguino.
Con la massima chiarezza.



[Wisława Szymborska: "Vista con granello di sabbia"]

domenica 11 gennaio 2009

Nulla due volte

Nulla due volte accade
nè accadrà. Per tal ragione
nasciamo senza esperienza,
moriamo senza assuefazione.

Anche agli alunni più ottusi
della scuola del pianeta
di ripeter non è dato
le stagioni del passato.

Non c'è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
nè due baci somiglianti,
nè due sguardi tali e quali.

Ieri, quando il tuo nome
qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.
Oggi, che stiamo insieme,
ho rivolto gi occhi altrove.
Una rosa? Ma cos'è?

Forse pietra, o forse fiore?

Perchè tu, ora malvagia,
dài paura e incertezza?
Ci sei - perciò devi passare.
Passerai - e in ciò sta la bellezza.

Cercheremo un'armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d'acqua.

[W. Szymborska: "Vista con granello di sabbia"]