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domenica 6 novembre 2011

cronache di questi giorni



da: Sette frammenti dalla terra di nessuno

I

Quando pive per molti giorni
la terra scivola via
verso il basso

l'acqua penetra sotto le radici
arriva alla placca
cambia la storia dei paesaggi

diventa fango e fiume fangoso
travolge i paesi più miseri
gli accampamenti umani

i corpi e ogni cosa che ostacola
o resiste.


II

Non si può dire nulla: questo è il punto. Raccontare,
ma cosa? Qualcosa è crollato,
come un silenzio improvviso e poi l'urlo,
uno sfacelo. Il muggito di un animale imprigionato
dal fango che strascina verso valle. Cosa pensa un vitello,
per esempio, quando affoga?
Volete cercare le parole anche per questo, 
per sentirvi più in pace? Un vitello
non pensa a nulla e se pensa
lo fa in un pensiero animale
incomprensibile; tace come una capra,
o un agnello e forse anche un uomo
che guarda in faccia la sua piena solitudine.


VI

Certe con forme di uccello, o di pesce, frastagliate,
altre che sembrano pinne o badili. Il movimento
impercettibile delle faglie, le pietre che cadono
quasi senza rumore: non sono loro a franare,
loro che cambiano soltanto posizione preparandosi
tranquille alla prossima era, e fanno i bagagli
con cura, piegando ghiaccio e torrenti, boschi di conifere,
corrugando molasse antemurali, sedimenti di arenaria,
e si umettano di cascate e pozze sotterranee,
estraggono ammoniti e altri molluschi mesozoici
da strati profondi e terribili, ricordi marini
e geodi di cristallo trasparente.
La vita che chiami vita qui si conserva
solo come memoria dissecata, muto sguardo
di fossile  o carbone, minerale.
No, non sono loro a franare, è la storia
nostra, e le nostre strade
Aere italico MDCCCV Nap. Imp.
di speranze e di gloria. Le montagne
parlano la lingua del mare e delle stelle, 
lingua di quelle
remote ere geològiche
che sèmbrano ancora un sogno dell'immaginazione,
un'altra lingua in cui ogni cosa è uguale
e necessaria, esatta e inessenziale, e tutto varia
col variare del tutto.

[Fabio Pusterla: "Le terre emerse"]

giovedì 13 ottobre 2011

Posso solo restare immobile, osservare
il movimento delicato delle foglie, dorate
prima, poi gelidamente verdazzurre,
con lo sparire del sole di settembre
(e l'apparire di fumiganti brume,
di umidi vapori); e i digradanti colori delle felci
dal giallo al bruno, con punte di rossastro;
o poco più in là l'arabesco
di foglie e ricci, col brulichio consueto di formiche
nel terriccio, attorno a vecce, chanterelles
 e cortecce squamose, umidicce;
e ubriacarmi dell'odore di legna
nel profondo del bosco.


[Fabio Pusterla: "Le terre emerse"]

mercoledì 5 ottobre 2011


Capita anche a te di guardare le stelle
e dimenticare che sei vivo perché entri nei pensieri
e ti svegli dopo un po' senza sapere dove sei ma è molto
          bello?


Perché a me le parole scorrono via così veloci
che me ne basta una sola per fare un romanzo; luna,

per esempio, se penso luna è abbastanza.


Ma soprattutto, quando guardo le stelle,
mi viene in mente un'altra parola, spazio,
è molto più di un romanzo, ma non ci sono tante pagine.

C'è una pagina sola, smisurata.

Sai cosa faccio quando faccio queste cose? Meditazione.
Io almeno faccio così, magari gli altri 
la chiamano in altri modi. Ma io medito.



[Fabio Pusterla: "Terre emerse"]