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domenica 30 marzo 2014

Platone - Apologia di Socrate


Il Socrate dell'Apologia è un filosofo curioso, che “sa di non sapere” e guarda al mondo interrogandolo e interrogandosi. Non accetta luoghi comuni, verità imposte o scelte di comodo, ma sceglie la logica come unica guida. Per queso era inevitabile che finisse sotto processo come pericoloso disturbatore dello status quo. Un pensatore originale, in grado di far presa sui giovani, coerente con le proprie idee e indisponibile ai compromessi al punto di essere disposto a sacrificare anche la vita in nome della ricerca della verità: era personaggio troppo scomodo per i potenti di turno. 
Fin qui tutto bene, il fatto è che l'Apologia è anche il dialogo platonico che meglio si presta ad una lettura nietzschiana della figura di Socrate. Sì perché il Socrate dell'Antologia è un personaggio – diciamocelo – piuttosto antipatico. Si sminuisce negando di essere un abile parlatore e poi subito dopo afferma con poca modestia che da lui si udrà solo la verità (“perché io ho la convinzione di non dir nulla che non sia giusto”). Il suo understatement è solo di facciata, in realtà si comporta in tutto e per tutto da sofista sottoponendo politici, poeti ed artisti ad una specie di quarto grado finalizzato a svelare la loro insipienza. Sostiene che il suo compito è persuadere la gente a prendersi cura dell'anima, a diventare virtuosi (come dire: quello che faccio lo faccio solo per voi, per il vostro bene), aggiungendo che è il dio ad avergli ordinato di vivere filosofando per conoscere se stesso e gli altri e che quindi non potrebbe interrompere la sua missione neppure sotto minaccia di morte (in sintesi: se mi condannate andate contro la volontà divina), arrivando a dire di essere in contatto diretto con il dio (“c'è dentro di me non so che di spirito divino e dionisiaco. Ed è come una voce che ho in me fino da fanciullo”). Insomma un attore che indossa una maschera da basso profilo dietro la quale si nasconde un furbo, saccente e presuntuoso. 
Detto questo però, è anche necessario riconoscere che probabilmente queste considerazioni sono un po' “tagliate con l'accetta” e che un dialogo come l'Apologia deve esser letto prima di tutto contestualizzandolo. Il “sapere di non sapere”, ma anche la dignità dimostrata nell'accettare la condanna a morte ci restituiscono tutta la grandezza di una personalità fondamentale per la storia del pensiero, ma – come detto sopra – qualche dubbio sul dialogo rimane.

sabato 23 novembre 2013

Hosion e anosion (Platone - Eutifrone)


Ci sono libri (più o meno lunghi, poco importa) la cui lettura ci impegna per settimane, se non mesi e che poi si dimenticano in un batter d'occhi. E poi ci sono i dialoghi platonici: poche paginette che portano via al massimo qualche ora. Ma che sedimentano, e ci accompagnano per una vita intera. 
Prendete l'Eutifrone, uno dei dialoghi della giovinezza del filosofo, di quelli (cosiddetti) minori, di quelli (cosiddetti) aporetici e ve ne accorgerete. C'è Socrate che conversa con un conoscente cercando di definire cosa è santo (ὅσιόν hosion – pio – conforme all'osservanza religiosa ma anche familiare e civile) e cosa non santo e dopo poche battute la discussione prende il volo e finisce per salire a vette vertiginose, toccando temi sui quali ancora si dibatte. Il santo è santo perché lo amano gli dei o perché lo amano gli dei è santo? Ecco il dilemma di Eutifrone: la morale è imposta da Dio o è fatta dall'uomo? Morale come emanazione religiosa o comunque imposta dall'autorità, dall'opinione comune (abbiamo appena detto come hosion sia un termine che va oltre il campo religioso in senso stretto) o morale come espressione della coscienza di ognuno? Etica della fede ed etica laica, ethos ed etica... 
Materiale delicato e da prendere con le molle, che da qualunque parte lo si rigiri finisce per prestare il fianco ad osservazioni che vanno della direzione contraria, un bel fuocherello che Platone ha acceso nel IV secolo a.C.e che sembra resistere discretamente all'usura del tempo e sulle cui braci in tanti hanno provato ad arrostire (ed hanno finito per bruciare) un bel po' di carne.

sabato 23 marzo 2013

Platone - Simposio


(è) l'amor che move il sole e l'altre stelle 

 Dialogo platonico di bellezza ed importanza straordinarie. Una cena a casa di Agatone è il pretesto per parlare di Eros con ospite ed invitati che fanno a gara a tessere gli elogi della divinità, poi prende la parola Socrate e subito c'è uno scarto. Il suo modo di affrontare l'argomento è radicalmente diverso da quello di chi lo aveva preceduto, con la dialettica che gli è propria ci prende per mano e poco per volta ci fa entrare all'interno di un mondo che neppure immaginavamo esistesse. A sorpresa, però, a dirci la verità su Eros in un dialogo di soli uomini non sarà Socrate ma una donna, una veggente di nome Diotima, della quale il filosofo ateniese riferisce il pensiero. Eros è un demone, una figura del mito a metà strada tra gli dei e gli uomini, un trait d'union tra i due mondi. Figlio di Poros (la strada, la ricerca) e di Penìa (la povertà) incarna le qualità dei genitori, per cui è povero e bisognoso, ma sempre in cerca di ciò che è bello e buono. Sospeso a metà tra la sapienza che hanno gli dei e l'ignoranza propria degli uomini, Eros è un filosofo, la cui aspirazione è creare bei discorsi che aiutino chi li ascolta ad elevarsi. Ma Socrate non si ferma qui e ci illustra dettagliatamente anche il percorso di ascesi che Eros ci aiuta a compiere. L'osservazione di una persona bella è solo il punto di partenza, da qui si parte per osservare il bello anche negli altri e dalla conoscenza del bello si passa alle contemplazione della Bellezza in sé, che è la Bellezza dell'anima, la contemplazione della virtù più autentica. Un'opera vertiginosa, dove letteratura, filosofia e poesia si fondono in una sintesi magnifica, un'opera d'arte che affronta con lucidità magistrale temi come il Bello, il Bene e la natura dell'uomo, che ci parla di archetipi qualche migliaio d'anni prima di Jung ed Hillman.