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sabato 28 dicembre 2013

Vasilij Semënovič Grossman - Vita e Destino



Questo libro è il mare. 
Una distesa sconfinata che il mio occhio non riesce ad abbracciare nella sua interezza e che devo contentarmi di osservare, senza cercarne di capire tutte le sfumature. Posso guardarlo, ascoltarne la musica, avvicinarmi, provare ad entrarci dentro, bagnarmi nelle sue acque, ma non comprenderlo fino in fondo.
Questo libro è un libro necessario, che nasce da un'urgenza. Andava scritto, ce n'era bisogno. Dice le cose che dovevano essere dette e le dice esattamente come dovevano essere dette, seguendo un percorso accidentato, fatto di mille storie diverse, con personaggi che entrano ed escono di scena più volte durante lo svolgimento del romanzo, costringendo il lettore ad un lavoro mnemonico a tratti faticoso.
Questo libro racconta la Storia attraverso le storie, la Vita attraverso le vite.
Parla di libertà, sicuramente. Ma non solo. Parla anche di amore, della follia e dell'orrore della guerra, della banalità del male, dell'ambizione, dell'ideologia, della debolezza, del conformismo, dell'istinto di conservazione, della rassegnazione e di un sacco di altre cose. 
Parla della natura dell'uomo, di quella natura che ci rende capaci delle azioni più grandi e di quelle più meschine allo stesso tempo, che è in grado di farci salire alle vette più alte e contemporaneamente di precipitarci negli abissi più profondi, quasi a dirci che nonostante millenni di evoluzione dentro di noi albergano mostri violenti e impulsi bestiali che non riusciremo mai a sconfiggere.
Perché Vita e Destino è soprattutto questo: un libro che parla del bene e del male. Non del Bene con la B maiuscola, ma nel piccolo bene quotidiano, quello senza ideologie, quello della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero. Un libro che parla della piccola bontà insensata, silenziosa, fine a se stessa, istintiva e cieca, quella bontà davanti alla quale il male non può nulla.

domenica 15 dicembre 2013

Della piccola bontà insensata


Coloro che lottano per perseguire il proprio bene personale, tentano di imprimergli una parvenza di generalità; perciò dichiarano: 'Il mio bene coincide con il bene comune, il mio bene non è necessario solo a me, ma è necessario a tutti. 
Realizzando il mio bene personale, perseguo anche il bene comune'. 
In tal modo avendo in realtà perduto la condizione di generalità, il bene di una setta, di una classe, una nazione, uno stato pretende per sé un'universalità menzognera che giustifichi la sua lotta con tutto ciò che ad esso appare male. 
[...]
La crudeltà dell'esistenza genera il bene nei cuori grandi ed essi lo portano nella vita, stimolati dalla speranza di cambiarla similmente al bene che alberga in loro. 
Ma non sono le sfere della vita che cambiano a immagine e somiglianza dell'idea del bene, il quale invece affonda nel suo pantano, si frantuma, perde la propria universalità, si mette al servizio del quotidiano e non modella la vita stessa sulla sua immagine bellissima e tuttavia incorporea. 
Il flusso della vita viene sempre colto dalla coscienza dell'uomo come una lotta tra bene e male, ma non è così. 
Gli uomini che vogliono il bene dell'umanità sono impotenti anche solo a ridurre il male sulla terra. Le grandi idee sono necessarie per scavare nuovi alvei, rimuovere pietre, distruggere rocce, estirpare foreste; occorre sognare un bene comune perché scorrano insieme amichevolmente le grandi acque. 
Se il mare fosse dotato di pensiero, ad ogni tempesta tra le sue acque sorgerebbe l'idea e la speranza della felicità, ed ogni onda, frantumandosi contro la roccia, penserebbe di morire per il bene delle acque del mare, e non si accorgerebbe di essere sollevata dalla forza del vento allo stesso modo con cui la forza del vento ha sollevato migliaia di onde esistite prima di essa e solleverà migliaia di quelle che la seguiranno. 
Sono stati scritti centinaia di libri su come battere il male, su cosa sia il male e cosa il bene. 
Ma la tristezza di tutto questo è indiscutibile, ed eccola: là dove si leva l'alba del bene, che è per sempre e pure mai vincerà il male, quel male che pure è eterno e mai avrà il sopravvento sul bene, là moriranno vecchi e giovani e scorrerà il sangue. 
Ma forse la vita è male? Io sono stato testimone dell'incrollabile forza dell'idea del bene universale sorta nel mio paese. 
Io ho visto questa forza nel periodo della collettivizzazione integrale, l'ho vista nel '37. 
Sono stato testimone di come si sterminano gli uomini in nome di un'idea di bene tanto meravigliosa e umana, quanto l'ideale del cristianesimo. 
Ho assistito alla morte per fame di interi villaggi, ho visto bambini di contadini morire tra la neve della Siberia, ho visto convogli che portavano in Siberia centinaia e migliaia di uomini e donne di Mosca, Leningrado, di tutte le città della Russia, accusati di essere nemici della grande e luminosa idea del bene universale. 
Quest'idea era meravigliosa e grande, ed essa senza tregua uccise alcuni, rovinò la vita di altri, separò le mogli dai mariti, i bambini dai padri. 
Oggi il grande orrore del nazismo tedesco si è levato sopra il mondo. 
L'aria s'è impregnata delle urla e dei lamenti dei torturati. 
Il cielo s'è fatto nero, il sole si è spento nel fumo dei forni crematori. 
Ma questi delitti mai visti prima in tutto l'Universo, mai visti perfino dagli uomini sulla terra, sono stati compiuti in nome del bene. 
[…]
Il bene non risiede nella natura, non sta neppure nella predicazione dei missionari e dei profeti, non sta negli insegnamenti dei grandi sociologi e dei capi popolo, non nell'etica dei filosofi... 
Sono gli uomini comuni che portano nei loro cuori l'amore per quanto vive, naturalmente e spontaneamente amano e hanno cura della vita, si rallegrano del caldo del focolare dopo una faticosa giornata di lavoro, non accendono falò e roghi sulle piazze. 
Ed ecco, a fianco del minaccioso, grande bene, esiste una bontà quotidiana
E' la bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, del soldato che dà da bere dalla sua borraccia al nemico ferito, della gioventù che ha pietà della vecchiaia, è la bontà del contadino che nasconde nel fienile un vecchio ebreo. 
E' la bontà dei guardiani che mettendo in pericolo la loro stessa libertà, consegnano le lettere dei prigionieri, non ai propri compagni di fede, ma alle madri e alle mogli. 
Questa bontà privata di un singolo individuo nei confronti di un suo simile, è senza testimoni, una piccola bontà senza ideologia
La si può chiamare bontà insensata. 
La bontà degli uomini fuori dal bene religioso o sociale. 
Ma se ci soffermiamo a riflettere, ci accorgiamo che la bontà fine a se stessa, privata, casuale, è eterna. 
In questi tempi terribili, quando la follia regna nel nome della gloria dei vari stati, delle nazioni, del bene universale, in un'epoca in cui gli uomini non sembrano più uomini, ma sono stroncati come i rami degli alberi, e come pietre che tirano giù le altre pietre riempiono burroni e fosse, in quest'epoca di orrore e d'insensata pazzia la bontà pietosa, sparsa nella vita come una particella di radio, non è svanita. 
Non bisogna averne paura! Temerla è lo stesso che temere un pesciolino d'acqua dolce casualmente trascinato dal fiume nell'oceano salato. 
Il danno che questa bontà assurda talvolta può arrecare alla società, la classe, la razza, lo stato, impallidisce davanti alla luce che irradiano gli uomini che la praticano. 
Essa, questa bontà stravagante, è anche quanto d'umano c'è nell'uomo, contraddistingue l'uomo, è il punto più alto a cui lo spirito sia pervenuto. 
La vita non è male, ci dice. 
Questa bontà è silenziosa, fine a se stessa. 
Istintiva e cieca. 
Essa è forte finché è muta, inconsapevole, assurda, finché risiede nella tenebra viva del cuore, finché non è diventata l'arma e la merce dei predicatori, finché l'oro greggio non è stato forgiato in moneta di santità. 
E' semplice come la vita. 

Ma, perduta la fede nel bene, io ho dubitato anche della bontà. 
Io soffro per la sua impotenza! A che serve, non è contagiosa! Ho pensato: 'E' impotente, bellissima e impotente come la rugiada'. 
Ma quanto più si dilata lo spazio della notte nazista, con tanta maggior chiarezza io vedo che l'umanità, indistruttibile, continua ad albergare negli uomini, anche al margine della fossa sanguinante, anche nell'inferno della camera a gas. 
Io la mia fede l'ho temprata nell'inferno. 
La mia fede è uscita dal fuoco dei forni crematori, è filtrata attraverso la camera a gas. 
Ho visto che non l'uomo è impotente nella lotta contro il male, ma che il potente male è senza forza quando lotta con l'uomo. 
Nell'impotenza della bontà fine a se stessa consiste il segreto della sua immortalità. 
Essa è invincibile. 
Quanto più è stupida, insensata, quanto più è impotente, tanto più è infinita. 
Davanti ad essa il male non può nulla.

[Vasilij Grossman: "Vita e Destino"]

domenica 24 novembre 2013

Piccoli errori...


Ecco, voglio dirti...
Ci siamo sbagliati.
Vedi a cosa ci ha portato il nostro errore...
Noi due dobbiamo chiedere che ci perdoni.
Dammi da fumare.
Ma perché ormai pentirsi! Questo fatto non lo redimi con nessun pentimento.
Ecco cosa ti volevo dire.
Punto primo.
Ora il secondo.
Noi non capivamo la libertà.
Noi l'abbiamo schiacciata.
Neanche Marx le ha dato il giusto valore: la libertà è il fondamento, il senso, la base della base.
Senza libertà non c'è rivoluzione proletaria.
Ecco il secondo punto, ed ora ascolta il terzo.
Noi attraversiamo il lager, la taiga, ma la nostra fede è più forte di tutto.
E tuttavia questa non è forza, bensì debolezza, autoconservazione.
Là, oltre la rete di ferro, l'autoconservazione ordina alla gente di trasformarsi per non soccombere, per non finire in lager, e i comunisti hanno creato un idolo, hanno indossato spalline, divise, fanno professione di nazionalismo, hanno divise, fanno professione di nazionalismo, hanno alzato la mano sulla classe lavoratrice, sicuramente arriveranno alle Centurie nere...
Ma qui, nel lager, lo stesso istinto ordina loro di non cambiare: se non vuoi infilarti il cappotto di legno, non devi cambiarti nemmeno in decenni di lager...
Due facce della stessa medaglia...
Smettila! gridò Abarciuk e alzò il pugno stretto sul viso di Magar.
Ti hanno piegato! Non hai retto! Quello che hai detto è menzogna, delirio.
Piacerebbe anche a me crederlo, ma non è così, non deliro affatto.
Ti chiedo di nuovo di seguirmi.
Come vent'anni fa.
E se non possiamo vivere da rivoluzionari, allora tanto vale morire; così non si può comunque vivere.
Basta! Perdonami, me ne rendo conto, devo somigliare a una vecchia sgualdrina che piange sulla perduta verginità.
Ma ti dico: pensaci! E perdonami, caro, perdonami...

[Vasilij Semënovič Grossman: "Vita e Destino"]

Chi è nell'errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza.
Johann Wolfgang Goethe