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sabato 31 gennaio 2015

Pane e sogni


L’uomo muore se lo privi del pane, ma deperisce senza sogni.

[Jón Kalman Stefánsson: "La tristezza degli angeli"]


sabato 15 novembre 2014

Nicanor Parra - Riflessioni


RIFLESSIONI

Cos’è l’uomo
si domanda Pascal:
una potenza di esponente zero.
Nulla
paragonato al tutto
Tutto
se si paragona al nulla:
nascita più morte:
rumore moltiplicato per il silenzio:
media aritmetica fra il tutto e il niente.  

domenica 12 ottobre 2014

Della distanza tra parola e significato


Sono così poche le cose di cui l’uomo ha bisogno, amare, gioire, mangiare, e poi un giorno muore. Eppure si parlano più di seimila lingue nel mondo, che bisogno c’è che siano così tante, per esprimere desideri così semplici? E perché ci riusciamo solo di rado, perché la luce che abita nelle parole impallidisce già mentre le scriviamo? Una carezza può dire più di qualsiasi parola del mondo, è vero, ma la carezza svanisce con gli anni e allora abbiamo di nuovo bisogno delle parole, sono le nostre armi contro il tempo, contro la morte, contro l’oblio, contro l’infelicità. Quando l’uomo ha pronunciato la sua prima parola è diventato quel filo che oscilla in eterno tra la cattiveria e la bontà, tra il paradiso e l’inferno. Sono state le parole a recidere le radici tra l’uomo e la natura, sono state il serpente e la mela e ci hanno elevato dalla sublime e ignorante condizione animale fino a un mondo che ancora non comprendiamo. La storia afferma che qui, una volta, quasi al principio dei tempi, la differenza tra parola e significato era a stento misurabile, ma le parole si sono consumate nel corso del cammino umano e la distanza che le separa dal loro significato si è talmente dilatata che nessuna vita, nessuna morte sembra più poterla colmare. Eppure le parole sono l’unica cosa che abbiamo.

[Jón Kalman Stefánsson: "Il cuore dell'uomo"]

domenica 27 aprile 2014

IV


sono massi pesanti come piume
corde che stringono e sciolgono
orme che il piede scrive e l'acqua cancella
chiodi che lacerano le carni
ferite che il tempo lenisce
specchi che riflettono mentendo
porte che aprono porte che aprono porte..

                                        sono solo parole.

[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]

sabato 19 ottobre 2013

L'uomo immaginario


L'uomo immaginario 
vive in una dimora immaginaria 
circondata da alberi immaginari 
sulla riva di un fiume immaginario 

 Dai muri che sono immaginari 
pendono antichi quadri immaginari irreparabili crepe immaginarie 
che rappresentano fatti immaginari 
avvenuti in mondi immaginari 

 Tutte le sere immaginarie 
sale per le scale immaginarie 
e si affaccia al balcone immaginario a guardare il paesaggio immaginario 
che consiste in una valle immaginaria 
circondata da colli immaginari 

 Ombre immaginarie 
vengono per il sentiero immaginario 
intonando canzoni immaginarie 
al tramonto del sole immaginario 

 E le notti di luna immaginaria 
sogna la donna immaginaria 
che gli offrì il suo amore immaginario 
torna a provare lo stesso piacere immaginario 
e torna a palpitare il cuore dell'uomo immaginario

[Nicanor Parra]

sabato 13 luglio 2013

Due poesie (assonanze)



Vista con granello di sabbia

Lo chiamiamo granello di sabbia.

Ma lui non chiama se stesso né granello né sabbia.
Fa a meno di un nome
generale, individuale,
permanente, temporaneo,
scorretto o corretto.
Del nostro sguardo e tocco non gli importa.
Non si sente guardato e toccato.
E che sia caduto sul davanzale
è solo un’avventura nostra, non sua.
Per lui è come cadere su una cosa qualunque, senza la certezza di essere già caduto o di cadere ancora.
Dalla finestra c’è una bella vista sul lago, ma quella vista, lei, non si vede.
Senza colore e senza forma,
senza voce, senza odore e senza dolore è il suo stare in questo mondo.
Senza fondo è lo stare del fondo del lago, e senza sponde quello delle sponde.
Né bagnato né asciutto quello della sua acqua.
Né al singolare né al plurale quello delle onde, che mormorano sorde al proprio mormorio intorno a pietre non piccole, non grandi.
E tutto ciò sotto un cielo per natura senza cielo, ove il sole tramonta senza tramontare affatto e si nasconde senza nascondersi dietro una nuvola ignara.

Il vento la scompiglia senza altri motivi se non quello di soffiare.

[Wislawa Szymborska: "Vista con granello di sabbia]





Sasso


Càlati in un sasso,

io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.

All'esterno è un enigma:

nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev'esserci all'interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso, 
anche se un bambino lo getta dentro un fiume; 
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.

Ho visto scintille schizzar via

quando due sassi sono strofinati,
forse là dentro non fa così buio;
forse c'è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle -
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori.

[Charles Simic: "Hotel Insomnia"]

domenica 12 febbraio 2012

Portare sacrifici agli dei


Passare tra due ali di folla che ti si stringono intorno. 
Provare imbarazzo per essere l’unico attore sulla scena. Camminare a capo chino, per non incrociare gli sguardi della gente. Sbirciare di soppiatto e scoprire che i loro occhi ti sorridono, ti guardano compiaciuti. Compiaciuti per il figliol prodigo che ha fatto ritorno a casa, per la pecorella smarrita rientrata all'ovile. 
Ricambi impacciato quei sorrisi, ti allacci sul viso un’espressione il più possibile simile alla loro. Avanzi con passo incerto sperando di arrivare presto, anche se non sai dove stai andando. Ti sforzi di immaginare cosa pensano, cosa si aspettano che tu faccia. 
Pensi che dovresti mostrarti sereno, tranquillo. Ma anche un po’ contrito, dispiaciuto. Pensi che un’espressione così non ce l’hai e che non sai se riuscirai ad apparire come loro si aspettano.
Hai scelto per questo giorno il tuo vestito più grigio. Hai curato i particolari, evitando di indossare qualcosa che ti possa mettere in evidenza. Lungo la strada alzi lo sguardo cercando un po’ di comprensione nei volti della folla ma non riconosci nessuno, sembrano tutti uguali. Allora chiudi gli occhi e sogni di riaprirli quando sarà tutto finito. Anzi no, non puoi più sognare, l'hai promesso.
Non sai neppure perché ti trovi lì in mezzo, sai solo che sta succedendo. Portare sacrifici agli dei, lo chiamano loro, e tu non sei abituato a fare tante domande. Pensi che è giusto così, che in fondo è cosa di un attimo e non dovresti neppure sentire molto dolore. Pensi che in fondo quello che stai facendo è quello che fanno tutti.
Passare tra due ali di folla che ti si stringono intorno. Sembra che questa strada non debba finire mai, sembra che quegli sguardi che si infilano come frecce nelle tue carni non debbano cessare. 
Ti fai coraggio, ti dici che  probabilmente il traguardo è proprio dopo quelle persone là in fondo. Man mano che avanzi prendi sicurezza, le tue gambe si fanno meno incerte, i movimenti più sciolti. Adesso cammini a testa alta e pensi che lo scopo di quello che stai facendo è proprio questo: sentirsi come gli altri, sentirsi normale, e provi un brivido mentre lo pensi. Cammini a testa alta e ti senti forte e non ti fanno paura le occhiate della gente. Cammini a testa alta e i loro sguardi indagatori ti scivolano addosso, come le lacrime che ora ti segnano il viso.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]