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domenica 18 aprile 2021

Odissea – Nikos Kazantzakis

 

La più grande virtù sulla terra non è essere libero,

ma cercare insieme la libertà, senza pietà né tregua.


Il libro della vita di Kazantzakis: sette stesure in 14 anni di lavoro, summa poetica del percorso intellettuale dello scrittore cretese almeno come Rapporto al Greco può esserne considerata la summa in prosa.
Kazantzakis non ha paura del confronto con il mito e inizia esattamente dove Omero aveva lasciato, raccontando le vicende di Ulisse dall'arrivo ad Itaca in poi, attraverso un viaggio che toccherà Sparta, Creta e poi l'Egitto per scendere lungo il Nilo fino alle sue origini e ancora più giù approdando in Antartide.
Ulisse/Kazantzakis è l'uomo che cerca, condannato a seguire il suo destino di uomo libero e l'Odissea di Kazantzakis è il viaggio dell'uomo dentro e fuori di sé, alla ricerca della sua identità e del rapporto con Dio. Ulisse porta con sé le tutte le contraddizioni dell'animo umano, diviso tra la voglia di costruire e le lusinghe del caos, con pensiero e azione che faticano a trovare un punto di equilibrio perché l'armonia tra cuore e mente è per l'uomo un orizzonte lontano, un puntino verso il quale tendere e dal quale lo allontanano le forze primigenie, le pulsioni e gli istinti, quella vitalità della quale è intrisa tutta l'opera, una furia creatrice e distruttrice che non risparmia nemmeno io divino.
Dio, il dio di Kazantzakis, è un'entità con la quale l'uomo si confronta a testa alta, che l'uomo plasma a sua misura e che gli serve per spostare ogni volta il suo orizzonte un po' più in là. Un'entità della quale ha bisogno ma che al tempo stesso non può fare a meno di sfidare: io/dio, dopo pensiero/azione, è l'ennesimo dualismo dal quale gemmano le domande che muovono il mondo e poco importa se ad esse nessuno potrà mai dare risposta perché ciò che conta è la libertà di porsele.

"Libertà vuol dire battersi senza speranza in terra", si legge verso la fine del Canto XXI, “Non spero nulla, non temo nulla, sono libero” è l'epitaffio che si legge sulla tomba di Kazantzakis a Candia.

domenica 15 novembre 2020

Rapporto al greco – Nikos Katantzakis

 


Arriva fin dove non puoi.

 Summa del pensiero di Nikos Kazantzakis e testo imprescindibile per chi ama questo autore, Rapporto al greco è l'autobiografia romanzata di una vita vissuta nel tentativo di elevarsi oltre i propri limiti ("arriva fin dove non puoi") per essere all'altezza del suo "antenato della terra amata di Creta", nel tentativo del figlio di eguagliare e superare la gloria dei padri.

 Conciliare l'inconciliabile, diventare prima uomo e poi Dio cercando di creare armonia dal caos che governa la vita, sublimando la realtà con gli occhi dell'immaginazione. Questo, in estrema sintesi, mi sembra sia stato lo scopo della vita di Kazantzakis.

Una ricerca costante, un'ascesa continua lungo la scala che porta alla Verità, trovando lungo il percorso compagni di viaggio quanto mai eterogenei ma che rispondono ai nomi di Omero, Cristo, Dante, Bergson, Nietzsche, Buddha, Lenin, san Francesco e Zorba.

Un viaggio il cui primum movens è il desiderio di libertà: dapprima dai Turchi che occupavano Creta e successivamente dall'ignoranza, dalle false idee e dai falsi idoli. Essere libero e poi essere santo, inteso nel senso di porsi un obbiettivo alto da perseguire, non tanto per raggiungerlo "ma per non smettere di salire. Solo così la vita acquista solidità e unità".

La scoperta della bellezza e della sete di apprendimento per nutrire lo spirito sono altre tappe del percorso di crescita dello scrittore greco, destinate a essere superate negli anni dell'Università dallo sbocciare di una furia iconoclasta: la sfida a Dio per ergersi a creatore del proprio mondo avendo sempre come stella polare la ricerca dell'armonia, la tensione verso il "punto fermo del mondo che ruota" (per dirla con le parole di T.S. Eliot), il luogo in cui si conciliano gli opposti a cominciare dalle diadi ragione/sentimento e carne/spirito.

L'ingresso nell'età adulta segna una nuova fase nella ricerca dello scrittore greco, quella della responsabilità. Responsabilità di cercare un scopo e poi perseguirlo: la ricerca e insieme la lotta con Dio tra il monte Athos, Gerusalemme, il monte Sinai e il deserto; l'incontro con l'abisso e la scoperta dell'incapacità di andare oltre il proprio limite, come invece avevano fatto il Cristo e il Buddha riuscendo a dominare il loro caos interiore. E poi Nieztsche, "il profeta nemico di Dio", dal quale impara a diffidare delle teorie e ad evitare le scorciatoie, il Buddha che gli indica la strada della pietà e della condivisione del proprio destino con quello del mondo e ancora, in contrapposizione al saggio orientale, Lenin, che gli offre una nuova prospettiva per provare a rispondere ai bisogni dell'uomo.

Un percorso tortuoso, che procede a volte per analogie e a volte per contrapposizioni ma sempre con l'imperativo di non fermarsi ai traguardi parziali ma di ripartire ogni volta ala ricerca di un nuovo obbiettivo, sapendo che il maestro in grado di indicare la via può celarsi dove meno ci se lo aspetta. È il caso di Zorba, l'ultimo del compagni di viaggio dello scrittore cretese, un greco di mezz'età che possiede spontaneità, vitalità e leggerezza, doti che mancano  a Kazantzakis e che gli impediscono di vivere giorno per giorno.

 Rapporto al greco è il racconto di una corsa in solitaria verso la luce, il tentativo dell'uomo di uscire dall'ombra e di trascendere la propria natura. La penna è l'arma con cui l'autore va alla guerra per la redenzione dell'uomo, per aiutarlo a raggiungere il Bene e la Libertà assoluti portando con sé anche le contraddizioni, gli errori e le sofferenze che fanno parte della sua natura e sono necessari per approdare alla sintesi superiore di forma e sostanza. Le parole, quindi, come strumento per raggiungere la salvezza attraverso "l'unica strada che conduce a Dio, l'ascesa". 

sabato 16 novembre 2019

Nikos Kazantzakis – Zorba il greco




Questo Zorba era l’uomo che da tanto tempo cercavo senza trovare; un cuore vivo, una bocca vorace, un’anima grande e spontanea che non ha ancora tagliato il cordone ombelicale con sua madre, la Terra.

Libro importante nel percorso di Kazantzakis; tentativo di comporre gli opposti, Zorba è l'elemento dionisiaco a cui l'autore affida il compito di tenere a freno la sua parte apollinea.
Non starei qui a scomodare la teoria del superuomo: Zorba rappresenta piuttosto l'uomo dell'hinc et nunc, un nichilista forse solo all'apparenza ma in realtà un individuo in grado di provare compassione per il prossimo, un uomo che con il suo comportamento offre a Kazantzakis un punto di vista diverso che privilegia l'istinto e la quotidianità rispetto ad un idealismo che per l'autore stava rischiando di diventare sterile avvitamento su se stesso.
Zorba quindi non come modello di vita tout court ma come quel 'gancio' del quale lo scrittore aveva bisogno in un momento preciso della sua vita, una boa da afferrare al volo per non essere travolto dalla tempesta. Non certamente l'uomo perfetto, un maestro di vita da seguire alla lettera, piuttosto un'opportunità da cogliere per sforzarsi di mettere a fuoco le cose in maniera più completa, ampliando un punto di vista che lo stava allontanandosi troppo dalla terra, dalla concretezza, dalla realtà ("E così il mondo è caduto in mano agli scribacchini; - dice Zorba – quelli che i misteri li vivono, non hanno tempo; e quelli che hanno tempo non vivono i misteri").
Compito di Zorba è indicare a Kazantzakis una strada, un percorso tanto affascinante quanto improbo da seguire perché sottende un cambiamento di paradigma difficile da realizzare: "non sei libero”, disse; “la corda a cui sei legato è un po’ più lunga di quella degli altri uomini; questo è tutto. Tu, padrone, hai una fune lunga, vai e vieni, credi di essere libero; ma la fune non la tagli. E se non tagli la fune…”. “Un giorno la taglierò!”, dissi con ostinazione, perché le parole di Zorba toccarono una ferita aperta dentro di me e mi fecero male. “Difficile, padrone, molto difficile. Per questo ci vuole follia; follia, hai capito? Rischiare tutto! Ma tu hai cervello, e questo sarà la tua rovina. Il cervello è un droghiere, tiene i registri, annota le uscite, le entrate, i profitti, le perdite. È un bravo amministratore, non rischia mai tutto, tiene sempre qualcosa di riserva. Non taglia la fune, no! La stringe in mano, il furfante; se gli sfugge, è perduto, perduto, poveretto! Ma se non tagli la fune, mi dici che gusto ha la vita? Di camomilla, di camomillina; non di rum, che scaravolta il mondo!”.
[…] quello che diceva Zorba era giusto… Quando ero bambino, ero pieno di entusiasmi, di desideri primordiali, me ne stavo sempre da solo e sospiravo perché il mondo mi andava stretto. Poi, pian piano, col tempo, ero diventato sempre più saggio; ponevo dei limiti, separavo il possibile dall’impossibile, l’umano dal divino, mi tenevo stretto l’aquilone perché non mi sfuggisse.

domenica 20 ottobre 2019

Nikos Kazantzakis – L'ultima tentazione di Cristo



Kazantzakis è stato uno dei più importanti intellettuali greci del Novecento e L'ultima tentazione uno dei suoi libri più conosciuti e probabilmente più fraintesi, soprattutto dai vertici ecclesiastici che per anni ne decretarono la messa al bando.
Una riflessione (magari da un punto di vista non ortodosso, sbilanciata su un versante sospeso tra monomorfismo e gnosticismo) sulla duplice natura, umana e divina, del Cristo, la storia del lungo processo interiore che porta Gesù prima a sospettare, temere, rifiutare l'idea di essere il figlio di Dio, e poi ad accettare un destino che non ha scelto sforzandosi di essere all'altezza del ruolo.
L'ultima tentazione è la narrazione  della vita e della passione di Cristo purgate dalle sovrastrutture teologiche accumulatesi nei secoli, un racconto dal punto di vista del protagonista, la storia romanzata (oggi forse la chiameremmo "faction") di un uomo tra gli uomini e come tale soggetto alla collera, alla paura, alla gelosia ed a tutte le passioni che contraddistinguono la nostra specie.
L'oggettiva difficoltà nel rendere le contraddizioni che caratterizzano la figura del Cristo  (a tratti sembra una specie di Don Chisciotte che vaga indeciso su quale direzione prendere), mi porta a dire che probabilmente altri sono i personaggi che  Kazantzakis tratteggia meglio nel libro: gli Apostoli ad esempio (dipinti come una schiera di piccoli personaggi che seguono il Messia un po' per convinzione e tanto per convenienza) e soprattutto Giuda, il discepolo prediletto, quello che per primo intuisce l'identità di Gesù e che pure fatica ad accettarne il ruolo, perché quello che attende lui è un capo militare che possa liberare il popolo dal giogo romano, non un Profeta che si carichi sulle spalle i peccati del mondo. Un Giuda vittima, come Cristo, di un destino più grande di lui, destinato ad un ruolo da traditore che deve necessariamente interpretare perché il piano divino si realizzi.