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domenica 19 maggio 2019

Olga Tokarczuk – I vagabondi



"Muoviti, vai. Beato è colui che parte."

I vagabondi è un romanzo molto sui generis, costituito da frammenti più o meno eterogenei legati tra loro dalla voce dell'autrice che spesso racconta in prima persona e dall'argomento trattato che è quello del nomadismo. Attenzione, però: il libro è del 2007, qui si parla di un vagabondare per scelta e non per necessità, questo per dire che la questione dei migranti non sembra essere uno degli obiettivi della Tokarczuk.
La narrazione per episodi era già stata sperimentata dalla scrittrice polacca in Casa di giorno, casa di notte ma lì era giustificata dalla volontà di fare emergere l'anima del villaggio di Nowa Ruda attraverso le vicende dei suoi personaggi, brandelli di vita vissuta che andavano a cucire insieme un tessuto quanto mai colorato, qui invece la frammentarietà sembra essere elevata a sistema, quasi fosse l'unico modo per raccontare la complessità e la pluralità di voci che caratterizzano i nostri tempi.
I vagabondi è il racconto di mille viaggi: nel tempo e nello spazio, nella realtà e nella fantasia e anche all'interno del corpo umano, ma è anche un viaggio tra le pagine del libro, un girovagare sulle ali della curiosità senza uno scopo preciso, senza una meta da inseguire. Certo, per viaggiare sono necessarie le mappe e Tokarczuk non dimentica nemmeno queste: tentativi di schematizzare, di rappresentare la realtà, di collegare un punto ad un altro illudendosi che dare un nome a cose e luoghi significhi conoscerli, uno strumento per approssimarsi all'intero senza mai raggiungerlo perché i collegamenti tra le cose sono casuali, inesplicabili e allora la mappa che ci ritroviamo in mano sembra creata dal cartografo Zenone «secondo cui ogni distanza è in sé infinita, ogni punto apre un nuovo spazio impossibile da percorrere e ogni movimento è un'illusione, ciascuno di noi viaggia sul posto.»
Il viaggio come fine e non come mezzo, muoversi non per arrivare da qualche parte ma per sfuggire al controllo, per non dare punti di riferimento a che vuole controllarci:
«Dondola, continua, muoviti.» diceva con tono apocalittico la Fuggiasca Intabarrata «É l'unico modo che hai di sfuggirgli. Colui che governa il mondo non ha potere sul movimento e sa che il nostro corpo in movimento è sacro, solo allora potrai sfuggirgli, una volta che sarai partita. Lui regna su ciò che è immobile e congelato, su ciò che è passivo e inerte.
Quindi vai, dondola, cammina, corri, scappa perché il momento che ti dimenticherai e ti fermerai, le sue grandi mani ti afferreranno e ti trasformeranno in un burattino. […] Lui trasformerà la tua anima scintillante e colorata in una piccola anima piatta, ritagliata dalla carta, dal giornale, e ti minaccerà con il fuoco, con la malattia e la guerra, ti spaventerà fino a quando perderai la pace e smetterai di dormire. Ti contrassegnerà e ti iscriverà nel suo registro, ti darà un documento della tua caduta. Ti occuperà la mente con cose poco importanti, cosa comprare e cosa vendere, dove conviene di più e dove è più caro. Da questo momento ti preoccuperai di inezie. […]
Per questo i tiranni di ogni tipo, servitori infernali, hanno nel sangue l'odio per i nomadi – per questo perseguitano i gitano e gli ebrei, per questo costringono a diventare sedentarie tutte e persone libere, marcandole con un indirizzo che diventa la nostra sentenza.
Quello che vogliono è costruire un ordine solido, rendendo il trascorrere del tempo soltanto un'apparenza. Vogliono che i giorni si ripetano tutti uguali e non si distinguano e costruire una grande macchina nella quale ogni creatura dovrà occupare un proprio posto ed eseguire movimenti apparenti. […]
Vogliono bloccare il mondo con l'aiuto di codici a barre, etichettare ogni cosa, che sia chiaro di che prodotto si tratti e quanto costa. Che questa nuova lingua straniera sia illeggibile agli uomini, che la possano leggere soltanto le macchine e i distributori; così che di notte, nei grandi negozi sotterranei, possano organizzare letture delle proprie poesie in codici a barre.
Muoviti, vai. Beato è colui che parte.»

sabato 13 ottobre 2018

Olga Tokarczuk – Casa di giorno, casa di notte




L’unica cosa che posso dire di me stessa è che mi lascio vivere, scorro attraverso un luogo nello spazio e nel tempo e sono la somma delle proprietà di questo luogo e di questo tempo, niente di più.

Si, si può fare buona letteratura senza squilli di tromba o trovate sensazionalistiche e questo libro ne è la limpida dimostrazione. Con Casa di giorno, casa di notte, Olga Tokarczuk confeziona un ottimo piatto fatto con ingredienti poveri. Poveri ma genuini, veri, non sofisticati.
L’autrice ci porta a spasso per le strade di Nowa Ruda, una cittadina al confine tra Polonia, Germania e Repubblica Ceca e ci presenta le storie sgangherate di un’umanità variegata, composta da personaggi di paese, uomini e donne che sembrano trascinare a spasso le loro esistenze senza vedere oltre il proprio naso. Attenzione però a non trarre conclusioni affrettate, perché questa è solo l’apparenza. Come avverte la voce narrante all’inizio del libro: “l’immobilità di quanto vedo è apparente. Basta che lo voglia e posso penetrare l’apparenza”.
Pensieri, parole ed opere di una piccola comunità persa nella campagna polacca dunque, per un progetto narrativo che, mutatis mutandis, sembra avere parecchie analogie con quello di Jón Kalman Stefánsson: scrivere per non dimenticare, raccontare per continuare a far vivere un mondo che altrimenti sarebbe destinato all’oblio (che poi è la conclusione alla quale giunge anche Paschalis, l’incaricato di scrivere la vita della santa: “lo scopo della sua opera era conciliare tutti i tempi possibili, tutti i luoghi e i paesaggi in un’unica immagine, che sarebbe stata immobile e non sarebbe mai invecchiata né cambiata”).
Impossibile dar conto dei mille personaggi che incontreremo lungo il corso di questo viaggio stralunato: c’è Marta, la vecchia fabbricante di parrucche, convinta che i capelli crescendo assorbano i pensieri degli uomini, che parla solo degli altri e mai di se stessa e che immagina gli animali che Dio si è dimenticato di inventare. C’è Tal dei Tali, che “raccontava l’inverno” e che riusciva a vedere gli spiriti e c’è Marek Marek, un tipo la cui “sofferenza non veniva dall’esterno ma dall’interno” e che “nasceva per la stessa ragione per cui la mattina sorgeva il sole e la notte le stelle”, un’anima in pena che a causa del dolore che portava dentro di sé “non poteva portare a conclusione nessun pensiero, doveva cancellarli e scacciarli, così che smettessero di significare qualcosa”. Ci sono, intrecciate, la storie di Kummernis di Schonau, la santa barbuta e quella di Paschalis, che ne scrisse la biografia. Seguendo la voce narrante capiterà di imbatterci in ricette culinarie a base di funghi velenosi e turisti tedeschi che fotografano spazi vuoti e tra questi turisti Peter Dieter, venuto per rivedere il villaggio nel quale aveva vissuto e destinato a morire proprio sulla metà del confine. Incontreremo Agnieszka con le sue profezie e Franz Frost che vive di certezze, convinto che tutto ciò che è stato e che sarà esiste già ma che sarà messo in crisi dalla scoperta di un nuovo pianeta, al punto da diventare pazzo. Se riusciremo ad entrare in sintonia con la trama, non ci stupiranno certo la comparsa di un mostro nello stagno e neppure le profezie di Lew il veggente. Sarà bello lasciarsi affascinare dalle storie dell’uomo di seconda mano (convinto di essere la copia di qualcun altro), da quelle di Ergo Sum (anche nella sua seconda vita come Bronek), dei Von Goetzen e dei Coltellinai, senza trascurare quelle dell’uomo con la sega, di Gertrude Nietsche, di Lui e Lei e anche quella del misterioso R….
Insomma: storie, tante storie  cui star dietro, tante vite da rincorrere con il rischio di perdere l’orientamento. Sarebbe un peccato però, perché questo libro ha un’architettura che poggia su architravi solide: una sono i sogni, quei sogni che ricorrono costantemente e che secondo la voce narrante costituirebbero la parte più vera della vita, l’unica davvero autentica mentre la nostra realtà di esseri umani sarebbe una specie di stato di sospensione dal nostro vero ruolo. L’altro pilastro è la ricerca di un punto di equilibrio perfetto, aspirazione che sembra rintracciabile all’interno di molti degli episodi narrati, una specie di armonia superiore, uno stato quasi di immobilità, fuori dal tempo e dalle passioni, un distacco quasi atarassico dalle cose del mondo.
Casa di giorno, casa di notte è un libro che consiglio, soprattutto a quei lettori che non si sono ancora stancati di cercare storie curiose.