Visualizzazione post con etichetta David Foster Wallace. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta David Foster Wallace. Mostra tutti i post

sabato 4 dicembre 2021

Il re pallido – David Foster Wallace

 
L'opera struggente di un formidabile genio.

Frammenti che brillano nel buio, brandelli di un grande romanzo rimasto in potenza. Quello che resta sono idee, parti non collegate, un percorso abbozzato ma sufficiente a far trasparire la grandezza di Foster Wallace, la sua capacità di fare letteratura partendo da ogni cosa, in questo caso la noia, la routine del quotidiano.
Introspezione, scavo nella psicologia dei personaggi, descrizioni acute, dialoghi di struggente bellezza (il capitolo 46 su tutti), costruzione attenta e un rigore formale che sfiorano la perfezione e poi, soprattutto, l'empatia, la capacità di stabilire un contatto profondo con i protagonisti della storia, comprenderli nelle loro debolezze e comprendendoli, amarli.
"Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane."

domenica 12 aprile 2015

David Foster Wallace – Tennis, Tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più.


Non ci proverò nemmeno.
A mettermi qui a spiegare il perché e il percome considero DFW un genio e compagnia bella.
Il fatto è che sono di parte, credente e praticante, adepto ultra-ortodosso di rito davidfosterwallaciano. La fede trascende la ragione, è cosa nota, e questo mi impedisce di giudicare in maniera imparziale. Non ne sono capace e questo è tutto.
Mi abbevero alla fonte, ascolto la parola. A volte comprendo, altre, credo di comprendere, altre ancora fingo. Non è fondamentale, non sempre, non per me. Il fatto è che di questa parola io ne ho bisogno, sento che è importante (già, la dipendenza).
Ho bisogno del pensiero complesso (non contorto) di DFW, capace di posarsi su un oggetto qualsiasi e tirarne fuori un mondo, osservandolo attraverso la lente del microscopio, sezionandolo come un entomologo, portando alla luce connessioni di ogni sorta.
Ho bisogno della sua scrittura "pollockiana", che sembra sempre sul punto di tracimare, che invade la pagina procedendo per accumulazioni, strati di parole, sgocciolature, riuscendo però a mantenere un rigore formale, ordine nel disordine.
Ho bisogno dei suoi aggettivi precisi, delle sue definizioni folgoranti, del suo vocabolario sontuoso.
Ho bisogno della sua capacità di volare alto ma anche di aggirarsi senza paura tra le umane miserie e perversioni, di saper divertire ma anche commuovere e far riflettere.
Ho bisogno delle sue trame intricate, del piacere di misurarmi con le traiettorie dei suoi ragionamenti, di perdermi, ritrovarmi e poi perdermi di nuovo tra le sue pagine.
Ho bisogno della sua personalità strabordante, del suo sguardo curioso, della sua umiltà, della sua profondità di analisi, della sua onestà intellettuale, della sua pietas.

venerdì 1 novembre 2013

David Foster Wallace - La scopa del sistema


C'è chi è bravo a scrivere romanzi e chi è portato nell'arte del racconto, chi è un maestro a costruire dialoghi e chi è imbattibile nelle descrizioni. C'è poi chi scrive sotto metafora e chi preferisce andare diritto al punto, ci sono quelli dallo stile ampolloso e quelli dalla prosa asfittica, quelli che prediligono argomenti “alti” e quelli che invece preferiscono volare bassi, quelli che descrivono il quotidiano e quelli che immaginano il futuro... 
E poi c'era Lui, che sapeva fare tutte queste cose al meglio. Tutte. 
Ed altre ancora. 
In un unico romanzo. 
A ventiquattro anni (ven-ti-quat-tro). 
Immagino il narratore come uno che entra nel grande magazzino della scrittura e si aggira tra gli scaffali della forma, del contenuto, dello stile, delle figure retoriche e quant'altro, scegliendo i materiali che gli sono più congeniali per raccontare al meglio la sua storia. Ecco, Lui quando entrava in quel magazzino diventava compulsivo, bulimico. Lui prendeva tutto quello che trovava. E lo utilizzava al meglio. Di più: Lui non si è limitato ad utilizzare l'armamentario dello scrittore, ma l'ha smontato pezzo per pezzo e poi rimontato alla sua maniera. David Foster Wallace ha preso il romanzo, se l'è caricato sulle spalle e poi ha cominciato a camminare. Dove è arrivato quando ha deciso di posare il suo peso non so dirlo, ma credo che l'idea fosse di andare verso il limite, vedere fin dove si potesse spingere. 
David Foster Wallace era un Demiurgo. Lui non raccontava (solo) storie, lui costruiva mondi. 
E La scopa del sistema rappresenta il suo primo tentativo sotto forma di romanzo. Personaggi, tanti personaggi, che cadono dentro la storia e cominciano ad interagire. Sono personaggi “strani”, che hanno sempre qualcosa di eccessivo, qualcosa che non va: troppo intelligenti, troppo grassi, troppo insicuri, troppo sicuri, con troppi conflitti (soprattutto) psicopatologici... troppo. Colori che sbavano dai contorni e si mescolano, personaggi che faticano a stare all'interno del loro spazio e tendono a tracimare e a manipolare per cercare di piegare l'altro ai propri bisogni, e nel fare ciò seguono una logica, personalissima e sconclusionata, assurda per chi guarda da fuori, ma pur sempre logica se vista in rapporto a chi la sta sviluppando. 
La normalità non esiste, la realtà è fatta di pezzi unici, complicati, contorti, ai quali, nonostante l'apparente umorismo che scaturisce dai loro comportamenti, l'autore sembra guardare con una pietas che mi sembra uno dei tratti fondamentali della scrittura di David Foster Wallace. 
Al centro di tutto (se può esistere un centro in un'opera di Foster Wallace) c'è il tentativo di ognuno dei protagonisti di costruirsi un modo per comunicare, per entrare in contatto con gli altri, impresa affatto semplice – per non dire disperata – se si considera che abbiamo a che fare con personalità bizzarre, che parlano lingue diverse e che sono destinati a non capirsi pur avendo bisogno uno dell'altro. Di qui i tentativi, complicati e goffi, di creare un sistema di pesi e contrappesi, di strutture e sovrastrutture, che permettano ad ognuno dei personaggi di essere all'altezza delle proprie o delle altrui aspettative, tante torri di Babele destinate a crollare inesorabilmente. 
P.S.: all'interno del romanzo c'è un racconto, Amore, che è uno dei più belli che abbia mai letto e vale da solo l'acquisto del libro.

sabato 6 giugno 2009

Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme (Ipse dixit).

La persona che ha una cosiddetta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette "per sfiducia" e per qualche altra convinzione astratta che il dare e l'avere della vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo io e voi se ci trovassimo davanti alla stessa finestra per dare un'occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l'altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano "No!" e "Aspetta!" riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.


[David Foster Wallace: "Infinite Jest"]

giovedì 16 aprile 2009

Libertà da e libertà di

"[...] Ma ascolta: non è così semplice. La vostra libertà è libertà-da: nessuno dice ai vostri preziosi ego Usa individuali che cosa devono fare. Ha solo questo significato, è una libertà dalla costrizione e dall'imposizione". Guardando sopra la spalla di Steeply, Marathe capì all'improvviso perchè dal cielo sopra la città scintillante fossero state cancellate le stelle: erano i fumi dei tubi di scappamento delle belle luci delle auto in movimento a levarsi fino a nascondere alla città la vista delle stelle e a dare quella luminescenza artificiale madreperlacea alla volta spenta di Tucson. "E libertà-di? Non si è solo liberi-da. Non tutti gli obblighi vengono dall'esterno. Voi fingete di non vedere questo. Dov'è la libertà-di. Come fa la persona a scegliere liberamente? Come scegliere qualcosa di diverso dalle scelte ingorde dei bambini se non c'è un padre pieno di amore a guidare, informare, insegnare alla persona come scegliere? Come ci può essere libertà di scegliere se non si impara come scegliere?"

[D.F. Wallace: "Infinite Jest"]