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domenica 19 maggio 2024

António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori



António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori
(trad. Rita Destri)
Einaudi editore, 1999 – I ed. 1996

Cos'è la vita? Il racconto che ne fa ciascuno di noi, più le note a margine dei personaggi minori. Gli spettri.

Libro importante nella bibliografia di Lobo Antunes, Il manuale degli inquisitori si presenta al lettore con una prosa più "pulita", meno baroccheggiante e più musicale rispetto a quella dei romanzi del ciclo di Benfica. Quello che rimane immutato sono invece i salti temporali, che si ripetono a volte anche nel corso della stessa frase, perché quando la memoria si inceppa passato e presente sono così vicini sulla linea del tempo da potersi scambiare di posto senza problema. Altra costante è la polifonia, anche se qui la trama è organizzata secondo uno schema rigoroso: cinque parti affidate alla voce dei protagonisti arricchite dal commento di personaggi minori che, come succede in gran parte della produzione dell'autore lisbonese, raccontano la disgregazione di una famiglia e quella di una nazione, temi che finiscono per intrecciarsi con un uso sapiente di metonimie e altre figure retoriche.
E così, in mezzo a una selva di comprimari, caratterizzati dalla loro povertà emotiva e che ai sentimenti antepongono istinti, bisogni e doveri, spicca la figura di João: figlio perenne, personalità mai sbocciata perché schiacciata dal padre, un inane intento a costruire una barca che non navigherà mai, l'uomo che guarda la vita scorrere, che assiste passivo e indifferente a quello che succede intorno a lui. E poi Titina, la governate fedele e accuditiva, che si sente rivestita di un ruolo importante nella famiglia e invidia le attenzioni che il padrone dedica alle altre donne. E ancora, Paula, un ragazza senza amore che sogna briciole di felicità che non ha mai avuto e non avrà mai e Milá, un'altra vittima del padrone che cerca in lei la moglie che lo ha abbandonato e soprattutto lui, Francisco, il potente padre-padrone del quale assistiamo alla rovinosa caduta raccontata in parallelo a quella dello Estado novo portoghese, un'anima nera che finisce spezzata in due "come se metà di me fosse quello che credo io e gli altri credevano che fosse e l'altra metà ciò che di fatto era". 
Il manuale degli inquisitori è uno splendido romanzo, tanto semplice nella struttura quanto raffinato nei meccanismi che la sostengono, a iniziare dall'importanza che nella narrazione assume l'assenza (di Isabel, madre di João), che diventa uno dei motori della trama, per proseguire a quella del non detto e che emerge dai comportamenti dei personaggi, fino ad arrivare al ruolo dello scrittore (l'inquisitore) che ha il compito di dar voce ai personaggi attraverso i loro resoconti. 

domenica 29 ottobre 2023

Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes



Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Tornare a Lobo Antunes equivale a volgere la prua verso un porto sicuro, a immergersi ancora una volta nella fitta architettura che lo scrittore portoghese ha affinato nel corso della sua lunga produzione letteraria per ascoltare l'ennesima storia fatta di ricordi. Dipinto, sinfonia… è facile finire per scomodare immagini che caratterizzano altre espressioni artistiche quando si decide di parlare di un libro di questo autore, tanto le sue parole sono capaci di scatenare suggestioni che rompono i confini del romanzo per scivolare fuori dalla pagina arrivando fino a schizzare dentro di noi.
Cicogne e caravelle ci accolgono all'interno di un libro nel quale la cronologia è un termine vuoto, perché il tempo non è quello scandito dal ticchettio dell'orologio ma quello che prende forma all'interno della mente, una nuvola di fumo nella quale presente e passato si mescolano per dare forma ai pensieri. Protagonista assoluto è il ricordo, sfumato di nostalgia e compassione: Lobo Antunes punta la macchina da presa su gesti, persone e oggetti per togliere la polvere del tempo passato e con l'autorevolezza del demiurgo resuscita le ombre dall'oblio soffiandovi sopra nuova vita, per ascoltarle parlare e generare quei legami, pensieri, gesti che muovono la lenta ruota della trama.
Dizionario del linguaggio dei fiori è un altro romanzo polifonico, con la trama ridotta a poco più di un pretesto per raccontare tante storie, un fiume con mille affluenti, una cicogna che apre le ali e vola nel cielo terso di Lisbona mentre sotto scorre il tempo, immobile come il Tago e come i treni "minuscoli molto in basso, in lontananza, che partono da chissà dove per nessuna destinazione che è la loro sorte".

lunedì 1 maggio 2023

Le navi – António Lobo Antunes

 


Le navi – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Opera del 1988, Le navi risulta un tassello importante nella bibliografia di Lobo Antunes perché ci permette di tratteggiarne l'evoluzione stilistica. Si tratta di un romanzo nel quale domina il gongorismo ricco di metafore tipico della prima parte della produzione letteraria dello scrittore portoghese, perfetto per descrivere l'atmosfera decadente, di crisi, del periodo post-coloniale. Siamo, per capirci, in una fase che precede di pochi anni la prosa più centrata sulla costruzione della frase che sulla parola, che caratterizza la trilogia di Lisbona (della quale anticipa l'aspetto polifonico), una scrittura che subirà un'ulteriore evoluzione nei romanzi successivi fino a diventare sempre più cerebrale e complessa nel tentativo di avvicinare e riprodurre sulla carta i processi cerebrali del pensiero in opere come Arcipelago dell'insonnia, Sopra i fiumi che vanno, Non è mezzanotte chi vuole.
Pur affrontando le stesse tematiche di In culo al mondo, Le navi riesce a non sentire il peso di quel grande romanzo, concentrandosi su sfumature diverse e permeando le pagine di un'aura di disincanto che spesso si dilata in un sorriso amaro. L'intento dell'autore è infatti quello di fare un seguito de I Luisiadi di Camões ma in chiave caricaturale, con una carnevalizzazione (per citare Bachtin) dei personaggi realizzata dando ai reduci dell'impresa coloniale i nomi di Diogo Cão, Vasco da Gama, Pedro Álvares Cabral, Dom Sebastião… mostri sacri della storia e della cultura lusitana e trasformandoli in personaggi fuori dal tempo, naufraghi nelle loro vite, abitanti di un presente che faticano a riconoscere.
Le navi è uno sberleffo al potere, alle contraddizioni su cui è costruita l'identità nazionale e all'ambizione di quelli partiti alla conquista del mondo sulle Caravelle e poi sulle navi dirette in Angola e ritrovatisi davanti a un fallimento che ha coinvolto i destini di una nazione. Ci parla della sensazione di inevitabilità e di disfacimento che pervade i pensieri di una popolazione che sognava l'impero e la ricchezza e poi si è svegliata straniera in casa propria, superata dal corso degli eventi, cambiata e costretta a sopravvivere in una realtà che non riconosce più.

sabato 2 aprile 2022

Non è mezzanotte chi vuole – António Lobo Antunes



«a che serve il passato, non siamo sicuri se sia esistito o se ci abbiano fornito immagini che immagazziniamo nella speranza di ottenere quel che si chiama vita»

Un altro grande romanzo polifonico, un altro nodo dell'ordito che Lobo Antunes tesse instancabilmente da oltre quarant'anni, un'altra opera che chiama il lettore a dialogare con lo scrittore per superare la realtà e andare per mano in un altrove nel quale fatti, sogni, memoria e suggestioni hanno pari dignità.
Una trama essenziale: una donna che torna nella casa al mare di quando era bambina, un fine settimana che è una resa dei conti con passato e presente. Non è mezzanotte chi vuole è una lunga ellissi, un soliloquio che mescola i piani temporali, un vento caldo che avvolge i ricordi.
Nominare lo cose, richiamare i gesti antichi, raccontare i fatti per farli rivivere.
Le storie di Lobo Antunes hanno lo stesso sapore del sangue delle ferite che ti provocavi da bambino, lo stesso dolore dolce, il gusto struggente della malinconia.
Una scrittura ipnotica, che tiene insieme tutto e contemporaneamente si espande in mille direzioni. Le ripetizioni, continue, sono come la risacca del mare, onde lunghe che carezzano la riva sussurrando parole che subito cancellano per ripetere un attimo dopo. Un flusso, una musica, andare e venire che imita il ritmo della vita, provando a riprodurre i meccanismi con cui la nostra mente associa pensieri, fantasie e ricordi elevando il romanzo a unico metro in grado di misurare la verità.

giovedì 6 gennaio 2022

Sopra i fiumi che vanno – António Lobo Antunes


Rubando tempo alla morte

Ennesimo tassello nel processo di decostruzione della trama di Lobo Antunes. In Sopra i fiumi che vanno è la forma che regge il romanzo: un lungo flusso di coscienza, lo scorrere dei ricordi, fiumi che trasportano pensieri, fatti, cose, persone, dolore. La storia è una costruzione a posteriori e poco importante di per sé, il risultato è un'opera estrema, priva di punti di riferimento.
Obiettivo dell'autore è trasferire sulla pagina non gli avvenimenti ma quello che rappresentano per il bambino che li vive e quello che sono per l'uomo che li racconta: dire l'indicibile, creare un ambiente dal quale il lettore può attingere per provare a "sentire" quello che sentono i protagonisti.
Inutile provare a spiegare, qui siamo dentro a una specie di delirio febbrile, davanti a un'eruzione di ricordi veri e inventati che mescolano passato e presente. In un magma incandescente Un territorio nuovo, un'idea di letteratura "estrema" alla quale è necessario avvicinarsi senza pre-concetti.
C'è un grande fuoco che arde al centro della fucina di Lobo Antunes, tra le fiamme che guizzano inquiete sembra di vedere balenare tracce di Schulz e Kiš e dei romanzi sulla memoria del secondo Novecento, nei pezzi incandescenti che l'artista forgia con cura pare di riconoscere il ricordo di Joyce e di Faulkner e del romanzo modernista… ma à inutile utilizzare le analogie per provare a descrivere l'opera dello scrittore portoghese: le analogie sono solo suggestioni, ombre che deformano le cose.
Non esiste una bussola per orientarsi in questo romanzo, in Sopra i fiumi che vanno è necessario immergersi per lasciarsi travolgere dalla corrente e guidare dalle voci che illuminano il buio cercando di rubare il tempo alla morte in un viaggio che vale la pena di essere vissuto.
"Quello che conta è il libro come un tutto, e ciò che conta di più non sono nemmeno le parole scritte, ma quello che sta tra le parole, gli spazi bianchi. A parte questo, il libro non è qualcosa che deve essere letto, è un oggetto che ascolta. Siamo noi lettori che parliamo con lui. Il libro è qualcosa che mettiamo contro un orecchio per udire il rumore del mondo. Il mio compito è solo scrivere, non fornire spiegazioni, soprattutto perché non le possiedo. Non ho soluzioni, né chiarimenti, né rimedi. Ho solo libri".

[da un'intervista di António Lobo Antunes al premio Nonino 2014]


domenica 11 ottobre 2020

Lo splendore del Portogallo – António Lobo Antunes

 


Il migliore sulla piazza

 

Lo splendore del Portogallo rappresenta uno degli apici della bibliografia di Lobo Antunes, una perfetta macchina per catturare il vento della memoria, uno strumento in grado di restituirci la storia di una famiglia di ex coloni portoghesi in Angola attraverso folate di ricordi, immagini, brandelli di dialoghi, riflessioni dei protagonisti.

Materiali difformi, frammenti disarticolati che prendono significato nel corso del racconto e vanno a formare tessere di un mosaico che pian piano prende vita nell'immaginazione del lettore.

Quella di Lobo Antunes è una scrittura avvolgente e lo stile è quello a cui ci ha abituato negli altri romanzi: frasi lunghissime con la maiuscola che apre il paragrafo e il punto che spesso compare solo alla fine, sovrapposizione dei piani temporali, uso di reiterazioni che danno un ritmo quasi ipnotico al racconto, portandolo verso un territorio che sembra quello sospeso tra sonno e veglia, alternanza delle voci narranti che di sovente si sovrappongono anche nello stesso paragrafo lasciando al lettore il compito di identificare chi sta parlando cercando di riconoscerlo dalle sue parole (compito non semplice, considerando che spesso lo scrittore segue due o più tracce contemporaneamente). Aggiungo che spesso nei dialoghi la voce narrante pensa ad altro rispetto a ciò che sta dicendo e a volte nel corso del racconto nascono idee repentine che portano il corso della narrazione in un'altra direzione…

Una prosa respingente? No, piuttosto una prosa difficile, che richiede attenzione ma che la ripaga con gli interessi. Lobo Antunes è stato psichiatra e credo che la sua formazione professionale non sia indifferente allo stile letterario che ha costruito e affinato nel corso degli anni e che sembra ricalcare in chiave letteraria i complessi meccanismi della mente. Tutta la sua ricerca ruota intorno al tema del ricordo, personale ma anche nazionale; la memoria è fatta di immagini che non hanno successione lineare né gradi di importanza ma sono fotografie che si sovrappongono, alcune messe a fuoco perfettamente e altre - la maggior parte - sfuocate, fotografie che ritraggono momenti importanti dell'esistenza ma anche fatti minimi, apparentemente insignificanti, che per ragioni più emotive che logiche hanno lasciato una traccia duratura.

Il passato è il punto di osservazione scelto da Lobo Antunes per parlarci degli uomini, e Lo splendore del Portogallo è un libro duro, pervaso da un costante senso di fatalismo, che tratta dello sfacelo di una famiglia sullo sfondo dello sfacelo dell'impero coloniale portoghese in Africa, un libro sulla mancanza di amore, sul cinismo e sull'avidità.

Il passato è il tempo nel quale le cose sono accadute e il presente è il tempo del ricordo. La riconciliazione che cerca Carlos, il protagonista del libro, con la famiglia e con se stesso è impossibile perché tutto è già successo e ora non rimane più spazio per nulla. Non è possibile riavvolgere il nastro e riscrivere la storia ma solo farla rivivere con la memoria senza comprensione o compassione, forse solo pena.

 

Heróis do mar, nobre povo,

Nação valente, imortal,

Levantai hoje de novo

O esplendor de Portugal!

 

(A Portoguesa)

 

sabato 3 ottobre 2020

La macchina per fabbricare spagnoli – Valter Hugo Mãe

 



Un altro libro che testimonia la vitalità della letteratura portoghese contemporanea. Mãe è uno dei semi germogliati nel solco fecondo lasciato dai Pires, Saramago e Lobo Antunes, uno scrittore che stilisticamente mostra di aver acquisito la lezione saramaghiana, limitando le interpunzioni ai soli punti e alle virgole e riducendo al massimo l'uso delle maiuscole, applicandola a una trama originale raccontata in prima persona da un ottuagenario, António, appena entrato in una casa di riposo.

Se qualcuno cerca il ritmo, l'azione, le avventure rocambolesche e i colpi di scena, è bene che si tenga alla larga da queste pagine. Qui succede poco, pochissimo, la scena è limitata alle quattro mura dell'edificio e alle chiacchiere di un gruppo di anziani. Ma che anziani! I personaggi descritti da Mãe sono lontanissimi dagli stereotipi del vecchio ai quali siamo abituati e si portano dietro storie affascinanti: da quella della signora Marta, in perenne attesa di una lettera da parte del marito che in realtà l'ha abbandonata da anni, a quella della signora Leopoldina e della sua unica notte di passione con un giocatore del Benfica, a quella di João Esteves ("Esteves senza metafisica") che ispirò a Pessoa la Tabaccheria.

Il protagonista del libro è un uomo dall'animo diviso tra materialismo e immaginazione: António si sforza spesso di indossare la maschera del cinismo per difendersi dalla sensibilità che sente affiorare e che non vorrebbe mostrare agli altri, ma le sue contraddizioni non sono altro che le nostre. La scelta di un uomo anziano come protagonista permette all'autore di ampliare il campo delle sue riflessioni: dal senso della vita, di Dio e della morte alla nostalgia del passato ("abbiamo paura di questi tempi nuovi, non sono i nostri tempi, e abbiamo bisogno di difenderci. Quando diciamo che una volta era meglio è solo per nostalgia, in realtà vogliamo dire che un tempo eravamo giovani, è nostalgia di noi stessi"), fino al ricordo passando dalla sfera personale a quella generale e affrontando il passato salazarista della nazione (e la macchina che nega l'identità portoghese ne è un chiaro riferimento) e il senso di colpa individuale che i portoghesi si portano dietro e del quale António, con i suoi scheletri nell'armadio e il suo atteggiamento auto-assolutorio ("un brav'uomo che, per pura casualità, era fascista"), rappresenta un perfetto esempio.

domenica 20 settembre 2020

L'angelo ancorato – José Cardoso Pires

 


"Selvaggi. Cani, raffinati cani"

 

"L'angelo ancorato non è una fabula a sfondo sociale ma semplicemente una fabula" scrive Cardoso Pires nelle pagine finali di questo romanzo breve. Bene, non fidatevi delle parole dell'autore perché sotto una trama sottile e una scrittura (fintamente?) semplice è nascosta una riflessione sul Portogallo della fine degli anni '50 che va oltre le apparenze.

La storia è quella di una coppia di amici, forse amanti, e di una gita fuoriporta a bordo di un'auto fiammante: lui trascorrerà il pomeriggio a fare pesca subacquea e lei attenderà fumando. Sullo sfondo un gruppo di personaggi minori: un bambino che vende centrini, un "vecchio vecchio" che insegue una pernice per farne la sua cena, un gruppo di persone al bar.

Un racconto di un centinaio di pagine che corrono via veloci ma a soffiare sulla cenere dell'apparenza si scopre che sotto c'è un fuoco che brucia e ci parla degli intellettuali e del loro modo di confrontarsi con la parabola salazarista nel momento in cui essa iniziava a declinare, del loro rapporto con il paese, con un mondo con il quale faticano ad entrare in contatto.

Il linguaggio è il primo strumento che Cardoso Pires utilizza per caratterizzare ognuno dei personaggi e dimostrarci come siano lontani uno dall'altro, e come soprattutto la lingua e il pensiero dei due protagonisti li pongano su un livello distante da quello della gente comune. Protagonisti che a loro volta esprimono due aspetti diversi dell'intellettuale portoghese: João rappresenta il disilluso, quello che ha creduto nel cambiamento fino a quando ha visto naufragare le speranze e ora indossa la maschera del cinico, Guida è il suo contraltare, l'angelo ancorato che prova a difendere il suo sogno, scontrandosi con una realtà con la quale è necessario scendere a compromessi e finendo per incartarsi nell'accettazione di una vita vissuta giorno per giorno. Il secondo strumento sono i simboli attraverso i quali l'autore trasforma la fabula in qualcosa che sembra più vicino a un apologo: l'auto sportiva che sfreccia nel Portogallo più arretrato, la lotta della pernice verso la libertà e quella del vecchio per il cibo, il "mero", sorpreso da João mentre dormiva, essere "rispettato e maestoso" finché si trovava in fondo al mare ma poi sconfitto in uno "scontro impari e privo di gloria".

 

"Quando in un paese non è permesso agire ci si accontenta di pensare, che magnifica soluzione." – chiosa ad un certo punto, sarcasticamente, João e proprio questo sembra essere il nodo cruciale intorno al quale gira la storia: la comoda sublimazione di una situazione da parte di un'intera classe intellettuale pronta a deporre le armi senza averle mai davvero imbracciate.

"Cosa fai domani?" "Non lo so. E tu?". Sono le parole che chiudono il romanzo, specchio di una passività travestita da impotenza che finisce per risolversi in comoda autoassoluzione. Una passività che Cardoso Pires condanna, un'abdicazione al proprio ruolo che l'autore stigmatizza attraverso le parole affilate di un oste, un uomo del popolo, che nel momento in cui João e Guida sfrecciano sulla loro decapottabile rossa attraverso il paese rischiando di investire un ragazzino non può far altro di apostrofarli come "Selvaggi. Cani, raffinati cani".

sabato 11 luglio 2020

Libro – José Luis Peixoto



Ciò che è veramente stato non è necessariamente ciò che è accaduto. È qualcosa di molto più importante, è la verità. Sì, lo so già, ma che cos'è la verità? Si, lo so già, non lo so.

Un'opera diversa rispetto alla precedente produzione letteraria di Peixoto e che nasce da un bisogno dell'autore che qui utilizza la letteratura come strumento per fare i conti con la sua storia personale e con quella di una generazione di portoghesi, emigrata in buona parte in Francia nel periodo compreso tra gli anni '50 e la Rivoluzione dei Garofani.
Peixoto ci racconta la storia di Ilídio e anche quella degli altri personaggi sempre in bilico tra realtà e fantasia, perché ognuna delle figure di questo libro porta con sé una storia che merita di essere ascoltata: da quella di Galopim a quella di Lubelía, da quella di Cosme a quella di Adelaide…
La trama in realtà è piuttosto esile: c'è un ragazzino abbandonato dalla madre con un libro in mano che si innamora di una coetanea che viene però mandata dalla zia in Francia. Il ragazzo parte per Parigi alla ricerca dell'amata e quando la trova scopre che le cose sono cambiate (e mi fermo qui per non rovinare il piacere della lettura).
È proprio il libro che Ilídio stringe tra le braccia all'inizio del racconto il fulcro della storia, non tanto per quello che contiene (non sappiamo di cosa parli) quanto per ciò che rappresenta: il libro è il ricordo della madre ma anche l'oggetto che allontanerà il protagonista da Adelaide, il libro ha un ruolo così importante che Libro sarà il nome che Adelaide darà al figlio.
Libro è un romanzo sulla ricerca delle radici individuali e nazionali, sul perdersi e sul ritrovarsi, sviluppato seguendo il consueto doppio binario poetico e realistico che caratterizza la prosa di Peixoto e che qui sembra smorzare in parte il carico lirico rispetto alle opere precedenti.
Un'opera ambiziosa e importante che, incomprensibilmente, si perde con qualche passaggio a vuoto (la donna-lupo) e soprattutto per una trentina di pagine verso la fine quando rincorre un post-moderno e un meta-letterario fuori luogo, ma è un peccato che a Peixoto si perdona volentieri.

sabato 27 giugno 2020

Nessuno sguardo – José Luis Peixoto



Leggo molto. Ogni volta che inizio un libro fatico un po' ad avvicinarmi a un nuovo stile, al ritmo e alla struttura della trama. Non sempre è facile prendere rapidamente le misure allo scrittore che ho davanti e spesso devo tornare più volte su pagine già lette per riuscire ad entrare nella storia.
Peixoto, da questo punto di vista, è una lettura particolarmente impegnativa. E stimolante, perché spesso le due caratteristiche vanno a braccetto. Nessuno sguardo è un testo paradigmatico della scrittura dell'autore portoghese: una storia che sembra scolpita nella pietra, ambientata nelle campagne dell'Alentejo, in un mondo dove il ritmo delle giornate è scandito dal lavoro, dalla fatica e dalla violenza che fanno da sfondo alle vicende di due generazioni di pastori. Detta così sembrerebbe la classica saga familiare, con intrighi, amori e tradimenti, e in effetti queste componenti ci sono tutte, se non fosse che Peixoto sceglie di trascendere da subito lo scenario rurale nel quale ha disposto le sue pedine per spostare il racconto sul piano di un realismo magico di stampo saramaghiano.
I richiami biblici dei quali è costellata la trama sono così trasfigurati e ci troviamo ad assistere a scene di vita contadina alle quali partecipano ultracentenari, gemelli uniti per un dito, il diavolo, un gigante, una prostituta cieca, un'arca dalla quale fuoriesce una voce e un cane che sa in anticipo quello che succederà… Se a questo aggiungiamo che si tratta di un romanzo polifonico con sfasamento dei punti di vista e dei piani temporali, ricco di metafore, ripetizioni, pensieri che si accavallano e caratterizzato da un timbro che cambia da potente a soffuso, da apocalittico a malinconico, ce ne sarebbe a sufficienza per mandare fuori giri la macchina narrativa.
E invece il meccanismo funziona alla perfezione. Grazie alla prosa poetica con la quale Peixoto interpreta un romanzo che si regge su una comunicazione visiva più che sulla parola. Le immagini che l'autore disegna sulla pagina sono così caratterizzate da una potenza evocativa che le fa "crescere" in maniera da offrire al lettore la possibilità di interpretarle in maniera personale e costruire così il suo romanzo. Fondamentale da questo punto di vista diventa la figura dello scrittore che vive nella casa senza finestre e che rappresenta l'autore del libro, incaricato di raccontare quello che i protagonisti del libro vivono senza in realtà vedere davvero.
Nenhum olhar, nessuno sguardo, appunto. Perché i personaggi trascinano le loro vite senza comunicare davvero, senza condivisione. Tra loro c'è troppo spazio e così non trovano le parole per dirsi le cose, per dichiarare i loro sentimenti: guardano ma non vedono.
Nessuno sguardo è un'epica tragica e commovente dominata dalla solitudine, dal silenzio e dall'inevitabilità di un destino condannato a ripetersi nel tempo ed al quale è vano provare a sottrarsi. Speranza è una parola della quale si è perso il significato e l'uomo è condannato ad espiare la sua colpa vivendo, ritagliandosi come unico spazio la possibilità di sognare.

sabato 25 aprile 2020

Una casa nel buio – José Luís Peixoto



L'amore è la solitudine, l'amore è tutto ciò che esiste.

Romanzo cardine di uno degli autori più importanti della "generazione del '90" portoghese, Una casa nel buio è un'opera sorprendente che pone Peixoto in diretta continuità con Saramago e Lobo Antunes, giganti dei quali mostra di aver compreso e rielaborato in maniera personale la lezione.
Una storia sospesa in uno spazio senza tempo abitato da personaggi improbabili: un ragazzo che scrive, la madre che vive incurante di quello che succede intorno a lei, la schiava Miriam, il principe di Calicatri che conosce ogni cosa e il signor violinista. A questi, dopo la comparsa sulla scena di misteriosi e crudeli invasioni, si aggiungeranno il visconte di Dedodida e nessuno, un uomo mutilato di occhi, orecchie, naso e lingua.
Realismo magico, forse, ma temo che ogni classificazione possa risultare riduttiva per un romanzo così ricco di metafore, allegorie e simboli che possono portare il lettore in mille direzioni diverse. Penso al siliquastro, l'albero di Giuda sotto al quale il ragazzo sognava da piccolo, la stessa pianta alla quale si impiccò il bisnonno del protagonista e sotto la quale nacque il nonno. Penso al pozzo e alla statua che sono nel giardino della casa dove è ambientata la scena, alla moltitudine di gatti che ne riempiono le stanze, alla montagna che si staglia sullo sfondo…
Una casa nel buio è un'opera originale anche dal punto di vista stilistico, caratterizzata da una scrittura definita "scarna e barocca", con frasi brevi ma ricche di enfatizzazioni e soprattutto reiterazioni che danno alla prosa un ritmo quasi ipnotico, nel tentativo di costruire una lingua personale come se quella classica non avesse tutti gli strumenti necessari per permettere all'autore di trasferire al lettore quello che ha dentro (come spesso succede quando gli scrittori provano a far veicolare alla parola sentimenti ed emozioni).
Sentimenti, emozioni ed anche illusioni. Come l'amore del ragazzo per una donna che vive dentro di lui, o quello della madre per la musica e quello del principe di Calicatri per la conoscenza. Sentimenti spazzati via dall'ingresso sulla scena di una violenza la cui forza risulta amplificata da una narrazione che in questo caso privilegia il registro cronachistico, limitandosi ad una descrizione essenziale priva della minima partecipazione emotiva da parte dei personaggi, quasi a sottolinearne l'inevitabilità. La successiva epidemia di peste che scoppierà nel paese servirà poi a ribadire che tutto ciò che desideriamo è impossibile, recidendo anche i germogli di umanità che timidamente stavano sbocciando tra i figli degli invasori.
Come Questa terra ora crudele anche Una casa nel buio è un'opera delicata e crudele, ma anche poetica, visionaria, surreale ed oscura, un cannocchiale e insieme un microscopio che Peixoto punta sul mondo e sui suoi abitanti. È una riflessione sulla scrittura, sull'uomo e sulla società ma anche sul tempo che trasforma ogni cosa e soprattutto (questa mi sembra la vera cifra della poetica dello scrittore di Galveias) sull'amore e sulla felicità e contemporaneamente sulla solitudine e sul dolore nel tentativo, tutto letterario, di riuscire a conciliare gli opposti.

sabato 18 aprile 2020

Questa terra ora crudele – José Luís Peixoto



Nel 2000 un allora sconosciuto José Luís Peixoto pubblicava a sue spese questo libriccino, Morreste-me (Mi sei morto), un'elegia in memoria del padre appena scomparso.
L'impossibilità di accettare una perdita così grande, di vedere la vita continuare a scorrere intorno a sé e insieme l'orgoglio di volersi dimostrare all'altezza delle aspettative del padre. Il richiamo alla terra (crudele), il contrasto di luce/buio, vita/morte, movimento/staticità.
Un libro delicato e violento, una scrittura fatta di frasi brevi e ricca di reiterazioni, che porta la prosa al limite con la poesia. La parola per Peixoto riveste (anche) un ruolo consolatorio, tocca cose e momenti della vita familiare dello scrittore e così facendo le richiama in vita, in maniera simile a quanto accade nei romanzi di Lobo Antunes.
Scrittore da seguire con attenzione.

sabato 23 novembre 2019

António Lobo Antunes – La morte di Carlos Gardel



"Le persone come il mio amico sono immortali, non finiscono, dureranno fintanto che ci sia qualcuno che le apprezzi sulla faccia della terra."

Terzo ed ultimo romanzo del "ciclo di Lisbona", La morte di Carlos Gardel rappresenta l'ennesima prova di bravura di un grandissimo artigiano della parola scritta.
Libro di sentimenti trattenuti, parole non dette, molti ricordi e pochi dialoghi. Una scrittura densa, avvolgente, frasi che cadono sulla pagina e poi si allargano a macchia d'olio innescando un'apnea di pensieri e di immagini che si intersecano saltando avanti e indietro sulla linea del tempo. Lobo Antunes padroneggia perfettamente una macchina narrativa che ha prima inventato e poi affinato nei particolari: si parte dalle piccole cose, dettagli a cui affida il compito di suscitare idee che rimandano a momenti recenti o lontani nel tempo che a loro volta ne richiamano altri. E poi ancora: la pluralità di voci, episodi raccontati da più punti di vista a delineare meglio la trama, anche se non a chiarirla definitivamente.
Una scrittura che procede per 'accumulazioni', un fiume che nella sua corsa verso il mare trascina con sé tutto quello che incontra lungo il suo passaggio. Il ritmo della narrazione è incalzante, ipnotico, con le voci narranti che si alternano e poi si sovrappongono, chiarendo oppure confondendo il lettore ma sempre spingendolo un po' più dentro la lettura perché lo scopo con Lobo Antunes, il mio scopo, non è quello di comprendere tutta la trama ma respirarne le  parole, viverne le atmosfere.
La morte di Carlo Gardel è un libro di memorie: ricordi di un nonno che non parla con nessuno, perso nei suoi solitari con le carte, di donne e uomini che abbandonano le famiglie, che se ne vanno semplicemente perché non ce la fanno più, ricordi di ex mariti, di tizi con la brillantina e le labbra dipinte, di faggi che tossiscono, di olmi che chiamano e di guinzagli senza cane.
Monete, teiere d'argento, tazze di porcellana e mille altri oggetti comuni, odori, colori e sensazioni che la penna di Lobo Antunes recupera dalla memoria e richiama a vivere sono i veri protagonisti di questo libro perché se la morte di Nino è inevitabile sin dalle prime pagine, la morte del passato invece può essere rimandata grazie al potere della parola. Un inganno, certo, ma forse non è un inganno anche la letteratura che traducendo tradisce la realtà?

domenica 23 giugno 2019

António Lobo Antunes – L'ordine naturale delle cose


Ognuno vola come può

Secondo romanzo del "ciclo di Benfica" ed ennesima prova di bravura di uno dei due Dioscuri (l'altro è Saramago)  della letteratura lusitana moderna. Lobo Antunes è una specie di Omero contemporaneo e la trilogia della quale questo libro fa parte una sorta di racconto epico delle trasformazioni del Portogallo novecentesco (paese «dove tutto ristagna e s'immobilizza nel tempo»), narrato con la consueta scrittura rigogliosa e ricca di metafore, qui arricchita da venature quasi surreali.
La Lisbona che emerge è lontana dalle immagini da cartolina, è una città grigia nella quale i protagonisti del libro galleggiano tra indifferenza ed egoismo. La trama scorre con un ritmo lento, intrecciando tra loro le esistenze di uomini e donne che vivono di espedienti (c'è anche un venditore di corsi di ipnotismo per corrispondenza), travolti dal corso della storia, incapaci di vivere nei tempi mutati e costretti a trascinarsi per le «strade dell'amarezza» nelle vie del quartiere di Alcântara sotto la cappa di un'atmosfera rarefatta, sospesa tra realtà ed invenzione («sospesi in una specie di limbo, a parlare di niente, circondati da tetti e alberi e gente immateriale, in una Lisbona immaginaria che digrada verso il fiume in un confuso affastellamento di vicoli inventati»).
La trama  si snoda come la tela di un ragno: discorsi diversi si intrecciano, ogni personaggio nel raccontarsi aggiunge qualcosa alla storia dell'altro, parole, musica (ma non comprensione), voci che tessono la storia del Portogallo del secolo trascorso e si organizzano in un romanzo polifonico caratterizzato da quei salti spazio-temporali e dai  cambi di prospettiva a cui Lobo Antunes ci ha abituato.
Si vive di disincanto, di amori non ricambiati, figli del bisogno e costruiti sull'acqua, si vive di ricordi che continuano a tornare a galla rifiutando di perdersi nelle nebbie della memoria. «Ognuno vola come può», dice uno dei protagonisti, ognuno è perso dentro la propria storia: chi continuando a credere di essere in miniera a Johannesburg, chi isolandosi nel silenzio in manicomio, chi dentro la malattia, chi cercando di costruirsi un progetto di vita zoppicante e provvisorio… si vive soli. I personaggi che incontriamo nel libro sono uomini e donne chiusi in un passato che non è mai passato davvero e che cercano di vivere come possono, chi immaginando di essere sottoterra e chi in cielo, perché l'importante è volare, non restare costretti dentro ad un presente angusto.
Il passato è come l'onda lunga che torna sempre ad accarezzare la riva: l'Africa coloniale, la Polizia Politica i tentativi di golpe… ricordi, che come nel Trattato delle passioni dell'anima costituiscono la sola certezza, l'unica cosa che ci resta, da custodire per non farli morire, e poco importa se siano belli o brutti.
L'ordine naturale delle cose è una lenta elegia, un lungo addio alla vita, al tempo passato che era il tempo dei personaggi di questo libro, quel tempo nel quale erano vivi, lontanissimo da un presente confuso che scivola via senza lasciare segno di sé.
«Così come cadono gli alberi io cado e cadendo cado come cadono lentamente e lievi le foglie e le ombre e io le sento piangere e parlare con me e non posso rispondere mentre cado perché se rispondessi cosa direi se non che sto crollando come crollarono un tempo mio padre mia madre mio marito improvvisamente silenziosi e immobili e bianchi come la luce in questa casa tanto bianca sui mobili bianchi gli specchi restituiscono il silenzio e le loro lacrime e domani saliranno con me lassù in cima e senza parole oltre a quelle del prete volgeranno il mio viso verso il sole.

domenica 2 giugno 2019

António Lobo Antunes – Trattato delle passioni dell'anima



Il passato è dove il presente ha inizio.

Primo romanzo della trilogia di Benfica, Trattato delle passioni dell'anima stilisticamente si allontana un po' dal "gongorismo" delle prime opere di Lobo Antunes (penso soprattutto alla prosa ricca e a tratti ridondante di In culo al mondo) per orientare la ricerca più sulla struttura del libro e sull'architettura della frase che sulla parola in sé. Il risultato è un romanzo polifonico, nel quale alle voci dei protagonisti si alternano anche quelle degli altri personaggi impegnati a raccontare ognuno la propria storia, il proprio punto di vista, in un andamento della trama che ricorda il va e vieni ipnotico della la risacca. Lobo Antunes chiede al lettore dedizione assoluta e poi lo confonde con un tourbillon di voci che vanno avanti e indietro nel tempo, con un alternarsi e sovrapporsi di piani temporali e psicologici che danno vita ad uno splendido romanzo sulla memoria e sulla perdita degli affetti, un affresco che mette a confronto il Portogallo del latifondismo, ancora legato all'Ottocento, con quello delle lotte sociali e del terrorismo, la transizione traumatica dalle certezze di un mondo patriarcale legato alla tradizione rurale del paese agli squilibri sociali dello stato moderno, con la sua navigazione a vista in un mare di interessi, piccole e grandi nefandezze, assenza di legalità e di moralità.

domenica 10 febbraio 2019

António Lobo Antunes – In culo al mondo


Viaggio al termine della notte

La guerra come spartiacque dell'esistenza dell'autore/protagonista e che separa un prima, quello della giovinezza e dell'innocenza, da un dopo che è consapevolezza del male.
In culo al mondo è l'elaborazione di questa esperienza: un lungo monologo in forma di dialogo con una lei che rimane silenziosa, il ripercorrere contorto le tappe della vita secondo lo schema tipico della narrazione di Lobo Antunes, fatto di sovrapposizione dei piani temporo/spaziali e cambi di voce narrante. Rispetto alle opere successive dell'autore portoghese qui c'è in più un uso ridondante della metafora e una prosa nella quale la frase mantiene ancora (almeno parzialmente) la sua articolazione. Prosa, al solito, baroccheggiante: la trama non si sviluppa secondo lo schema classico ma per sovrapposizione di immagini, pensieri, ricordi, allegorie… e le frasi lunghe incalzano il lettore con il loro ritmo vertiginoso, lasciandolo quasi senza fiato all'arrivo del punto.
A dirla così, In culo al mondo sembrerebbe un'opera fatta di molto mestiere e in parte è vero. Ma non c'è solo quello, perché la scrittura ricca, ricchissima, con la quale Lobo Antunes veste il romanzo nulla toglie all'onestà del pensiero dell'autore. Questo è uno di quei libri dolorosi e necessari che parlano dell'uomo, un viaggio al termine della notte e dentro la memoria. Un libro vero, un grande libro di un grande scrittore.

sabato 12 gennaio 2019

António Lobo Antunes – Arcipelago dell'insonnia



Con Arcipelago dell'insonnia Lobo Antunes si conferma ai vertici della letteratura contemporanea e la prosa originale con la quale sceglie di declinare l'arte del romanzo dimostra una volta di più quanta vitalità e potenzialità ci siano in questo genere narrativo.
Non si tratta di una lettura semplice: qui siamo al cospetto di un non allineato al pensiero unico, uno scrittore che ha un profondo rispetto per il ruolo attivo del lettore e che in virtù di ciò decide di non semplificargli il lavoro ma di chiedergli impegno e attenzione costanti. A cominciare dalla forma del romanzo e dall'uso personale delle strutture della frase: il punto compare solo a fine capitolo (mediamente dopo una novantina di pagine), c'è uno sfalsamento continuo delle voci e dei piani temporali, un alternarsi di prima e terza persona, discorsi interrotti a metà e parole che si sovrappongono ad altre cambiando il corso della narrazione… La sintassi risulta a tratti disarticolata perché mancano verbi, parole, connessioni, con il risultato che ci si trova davanti a frasi tronche che impediscono la piena comprensione ma lasciano intuire, immaginare.
La trama - la storia della famiglia portoghese al centro del romanzo - si svela così a brandelli, per frammenti, e mai completamente, questo perché Lobo Antunes non si propone di raccontare una storia in maniera classica, ma di dare al lettore un'atmosfera, come se volesse ricreare un ambiente simile a quella parte del cervello in cui riposano i ricordi, un calderone che ribolle in continuazione e dal quale pensieri, fatti e fantasie saltano fuori senza ordine, senza una regola precisa.
Arcipelago dell'insonnia è un grande romanzo corale, polifonico, che a tratti fa venire in mente L'urlo e il furore e a tratti Pedro Paramo, un libro abitato da "personaggi senza cornice" che vivono fuori dal tempo, con vivi e morti sospesi nella medesima dimensione. Un libro sulla memoria e sulla parola che tiene viva la memoria, perché è la parola che come una bacchetta magica nomina oggetti, persone, animali, gesti, odori e così li fa rivivere nel ricordo.

sabato 27 settembre 2014

José Saramago – Le intermittenze della morte


Da un Saramago che ha appena spento ottantatre candeline non credo sia lecito attendersi sperimentazioni letterarie o cambiamenti di registro rispetto alla sua produzione più recente e infatti Le intermittenze della morte è un buon libro "di scuola", perfettamente in linea con il carattere "saramaghiano" più classico. 
La scrittura è quella tipica e densa che contraddistingue il maestro di Azinhaga dagli anni Ottanta (da Una terra chiamata Alentejo in poi), fatta di uno stile "orale", periodi lunghissimi, quasi senza a capo, ortografia limitata alle virgole e a pochissimi punti, uso delle maiuscole per distinguere chi sta parlando. 
Canonica la forma e consueto anche il contenuto: come ne La zattera di pietra, Cecità e Saggio sulla lucidità, anche qui l'assunto iniziale del libro è il classico cosa succederebbe se, l'evento inaspettato da cui consegue tutto il resto. 
Il problema è che da qui in poi l'uso di cliché mi è sembrato un po' eccessivo. 
Cito a caso: la frase che apre il libro (il giorno seguente non morì nessuno) è anche quella che lo chiude, come ne La morte di Ricardo Reis, i bersagli contro cui si scaglia l'autore sono tutto sommato i soliti (società, Chiesa, politica), la storia è ambientata in un luogo sconosciuto e in un tempo non precisato, mancano i nomi dei personaggi, come spesso succede nei libri di Saramago anche qui c'è un cane... e se vogliamo forse c'è scarsa originalità anche nel riproporre la coppia Eros/Thanatos. 
Peccati veniali ci mancherebbe, il libro è interessante e si legge volentieri, ho apprezzato la consueta ironia dell'autore, le allegorie, la pietas. 
Consuete, appunto.