Visualizzazione post con etichetta ritsos. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ritsos. Mostra tutti i post

sabato 7 febbraio 2015

della folle aspirazione a fermare l'istante


Conosci quell'istante del crepuscolo estivo 
dentro la stanza chiusa; un tenue riflesso rosa 
obliquo sull'assito del soffitto; e la poesia 
incompiuta sul tavolo – due versi in tutto, 
promessa inadempiuta di un meraviglioso viaggio, 
d’una certa libertà, d’una certa autosufficienza, 
d’una certa (relativa, beninteso) immortalità. 

Fuori, per strada, di già l’invocazione della notte, 
le ombre leggere di dèi, uomini, biciclette, 
quando si svuotano i cantieri, e i giovani operai 
coi loro attrezzi, coi floridi capelli fradici, 
con qualche spruzzo di calce sugli abiti consunti, 
svaniscono nell'apoteosi dei vapori vespertini. 

 Otto colpi decisivi del pendolo, in cima alla scala, 
per tutta la lunghezza del corridoio – colpi inesorabili 
d’un martello imperioso, nascosto dietro il cristallo 
ombrato; e simultaneamente il rumore secolare 
di quelle chiavi che non è mai riuscito a stabilire 
con precisione se aprano o chiudano.

[Ghiannis Ritsos: 12 poesie per Kavafis - in "Poeti greci del Novecento"]

sabato 27 luglio 2013

Un albero



L'albero era cresciuto nella parte superiore del giardino,
alto, solitario, slanciato - la sua altezza forse
tradiva un'idea segreta di intrusione. Non diede mai
fiori né frutti, solo un'ombra lunga che divideva in due il giardino
e una misura inapplicabile agli altri alberi, carichi e curvi.
Ogni sera, quando il tramonto glorioso si spegneva,
uno strano uccello arancione si appollaiava silenzioso tra le sue fronde
come un unico frutto - una piccola campana d'oro
su un altissimo campanile verde. Quando tagliarono l'albero,
l'uccello vi volteggiava sopra con piccoli gridi feroci
disegnando cerchi nell'aria, disegnando nel tramonto
la forma inesauribile dell'albero; e quella piccola campana
sonava invisibile lassù, più alta dell'altezza dell'albero.

[Ghiannis Ritsos: "Il funambolo e la luna"]

domenica 7 ottobre 2012

Pomeridiano

Le galline piluccavano ancora per la strada. La vecchia moglie del capitano
sedeva sulla soglia reggendo il nipotino sulle ginocchia aperte. 
Un ragazzo trasportava un paniere. Le case
caotiche di fronte al tramonto, coi loro vecchi bauli,
i letti di ferro, i tavoli, i quadri. Un grammofono
suonava rauco in una stanza chiusa. Le lenzuola
avvolgevano in ampi quadrati la propria storia. Non si sentiva il mare.
Una grande mano invisibile sollevava le sedie
due palmi da terra. Come fanno gli uomini a vivere senza la poesia?

[Ghiannis Rotsos: "Il funambolo e la luna"]

sabato 11 agosto 2012

Sera grigia


Mi duole in petto la bellezza: mi dolgono le luci
nel pomeriggio arrugginito; mi duole
questo colore sulla nube – viola plumbeo
viola repellente; il mezzo anello della luna
che brilla appena – mi duole. Passò un battello.
Una barca; i remi; gli innamorati; il tempo.
I ragazzi di ieri sono invecchiati. Non tornerai indietro.
Serata grigia, luna sottile, – mi fa male il tempo

[Ghiannis Ritsos: "Il funambolo e la luna"]

sabato 7 luglio 2012

Quando

Quando si spegne il tramonto e si accende dentro di noi la vecchia 
lampada
e tutte le voci mutano dall'ira alla tristezza
e dal sobborgo se ne vanno i fruttivendoli ambulanti,
gli arrotini, le erbivendole, gli ombrellai, allora
dal pozzo della corte escono le lumache
in doppia fila, e sopra i pubblici orinatoi
resta il cielo di un blu profondo, completamente immobile,
inchiodato solo da una stella arrugginita.


[Ghiannis Ritsos: "Il funambolo e la luna"]

giovedì 11 dicembre 2008

Elena


Nessun senso, dunque, le cose e gli eventi; - così come le parole, benchè
con esse denominiamo alla meno peggio ciò che ci manca o ciò
che non abbiamo mai visto - le cose immateriali, come le chiamiamo, le cose eterne;-
parole innocenti, fuorvianti, consolatrici, equivoche sempre
nella loro affettata precisione; - che triste storia,
dare un nome a un'ombra, proferirlo durante la notte a letto
col lenzuolo sollevato fino al collo, e ascoltandolo illudersi, gli stolti,
che possediamo la sostanza, ch'essa ci possiede, che ci aggrappiamo al mondo.


[G. Ritsos: "Quarta dimensione"]