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sabato 21 luglio 2018

Bohumil Hrabal - Lezioni di ballo per anziani e progrediti



 Prisencolinensinainciusol

Gli scrittori:  ci sono i modernisti, i minimalisti, i realisti, i postmodernisti… e poi c’è Hrabal. Lui è uno scrittore a parte.
I libri di Hrabal: Una solitudine troppo rumorosa, Treni strettamente sorvegliati, Ho servito il re d’Inghilterra… e poi c’è Lezioni di ballo per anziani e progrediti, un libro a parte di uno scrittore a parte.
Uno stralunato monologo senza fiato e senza punti, un collage che mette insieme la trascrizione dei ricordi alcolici dello zio dell’autore (i Protocolli) con frammenti provenienti da un altro testo (I dolori del vecchio Werther) e altre storie ancora. Collage successivamente riveduto e corretto e dal quale sono state espunte diverse parti, tra le quali proprio quella che da il titolo al libro. Solo questo basterebbe a spiegare la bizzarria dell’opera.
Non un flusso di coscienza alla Joyce, come si potrebbe pensare, ma il tentativo di mettere su carta il parlato della gente comune, quel misto di banalità, opinioni, sbruffonerie e strafalcioni che costituiscono l’essenza della chiacchiera da bar o da strada. A questo proposito potremmo arrischiare un paragone, tanto ardito quanto irriverente, tra il lavoro di Michelangelo nello scolpire i Prigioni e quello di Hrabal nelle Lezioni di ballo: il primo procede per sottrazione, toglie marmo per liberare, per arrivare a realizzare la sua idea, lo scrittore ceco invece compie il percorso inverso procedendo per accumulazione, aggiungendo cioè personaggi e voci al coro fino a stordire il lettore.  
La storia prende le mosse dal protagonista che va a sbirciare nel giardino di un vicino dove “certe belle sventolone” sono intente a prendere il sole in costume da bagno, sventolone alle grazie delle quali non sembra immune neppure il curato del posto. Episodio minimo, ma pretesto per stappare la bottiglia dei ricordi e dei pensieri che saltano fuori con l’effervescenza di una schiuma troppo a lungo costretta al chiuso. Il protagonista, si diceva, è un settantenne, ex-calzolaio, ex-maltatore, ex soldato “dell’esercito più bello del mondo”, un tipo tronfio e dall’ego strabordante, un “adoratore del rinascimento europeo” che racconta le sue gesta con l’intento di mostrare come sia risultato “il vincitore” in ognuna delle sue imprese.
L’Austria Felix è la sua Arcadia, il mondo perduto al confronto del quale il presente è un piano inclinato verso una decadenza irreversibile; il punto di vista è quello della gente comune, che sogna in grande ma poi guarda alle piccole cose. Nei tempi attuali “gli ideali prendono a vacillare”, dice il protagonista, ma il fatto è che si tratta di ideali quanto meno discutibili…
I passaggi della narrazione sono legati tra loro da fili logici sottilissimi: a volte per analogia, a volte per contrasto, altre per semplice associazione d’idee. Difficile orientarsi in mezzo a una trama del genere, tra episodi surreali (come quelli dell’uomo con la mano di ferro e del raddrizzatore di nasi) e citazioni da libri immaginari come quello dei sogni di Anna Novakovna e quello del signor Batista sull’igiene sessuale. L’autore non risparmia nessuno e anche Cristo, Edison, i poeti Bondy e Havlíček finiscono trasformati in personaggi ordinari, che bevono e si comportano proprio come tutti gli altri.
In questo libro Hrabal diverte e si diverte, al punto che al lettore disorientato e frustrato nella sua ricerca di sottotesti e chiavi interpretative più o meno nascoste, non resterà altro che alzare bandiera bianca. Non è questa, a mio avviso, la strada per avvicinarsi a Lezioni di ballo. Provate invece ad accomodarvi in poltrona, magari in compagnia di un bel boccale di birra, e lasciatevi affascinare dal flusso affabulatorio del grande scrittore, dalle storielle di sbronze, risse, pisciate e sventolone  che agitano le pagine di questo libro e che spesso si concludono con morali improbabili. Vi assicuro che ne varrà la pena.

sabato 19 aprile 2014

Bohumil Hrabal - Una solitudine troppo rumorosa


Eccone un altro. 
Ogni tanto saltano fuori. 
 In mezzo a prati dove fioriscono capolavori ed opere dozzinali, buone cose e porcherie... ecco, ogni tanto, spuntare un libro “diverso”, difficile da definire. 
Uno di quei libri che arrivano diritti non alla testa, né al cuore, né allo stomaco, ma proprio lì, un lì che non so definire esattamente dove sia ma che esiste, perché leggendo Hrabal ti accorgi subito che qualcosa dentro di te è stato toccato, avverti una vibrazione particolare lì da qualche parte. 
Ci vorrebbe un gruppo apposta per questa roba qui, su Anobii, o magari c'è già. Penso a “roba” come “Che tu sia per me il coltello”, “La scuola degli sciocchi”, “Norwegian wood” e altro ancora..., libri per noi astigmatici della realtà, per noi che ogni tanto amiamo confonderci, per me che “quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari”, ma poi magari penso che questi sono libri che hanno smosso qualcosa lì dentro solo a me e non ad altri, per cui meglio lasciar perdere. 
Una solitudine troppo rumorosa, dicevo, è un libro speciale. Un libro sui libri e con i libri, nel quale il libri non sono un luogo dove rinchiudersi, ma un modo per aprire i confini, per vivere in un universo nel quale le cose, gli oggetti, gli animali hanno la stessa identità degli uomini, sono porte che si aprono su un altro mondo, quello che Henta, “artista e spettatore al tempo stesso”, ha dentro. Ciò comporta, fatalmente, che anche l'idea di umanità di Henta sia diversa da quella degli altri, di quelli che ha intorno. Umanità per Henta è avere un contatto non asettico ma fisico, quasi “carnale” con gli oggetti. Ed è un'umanità sorprendente, fatta anche di zingari che scattano fotografie con macchinette senza pellicola (perché “al mondo non dipende proprio nulla da come le cose finiscono, ma tutto è soltanto desiderio, volere, anelito”) e di professori di estetica alla ricerca di una “felicità diversa”. Ma non solo, Una solitudine troppo rumorosa è un libro che parla anche di surmolotti e delle loro lotte che si consumano nel sottosuolo, di pacchi di carta pressata che contengono verità, sogni ed illusioni, di una Grecia che non esiste come tale ma come luogo della mente (l'idea di Grecia che Hanta ha in testa), e di simboli, metafore e citazioni alte (da Gesù a Lao Tze, a Schopenauer), un libro dove distruggere è anche e soprattutto creare. 
Potere della scrittura: a proposito di Una solitudine troppo rumorosa Hrabal diceva “non ho tentato di scrivere null'altro se non che da noi un'epoca finiva e un'altra cominciava”, ecco, a me invece è arrivato molto di più, forse ciò che volevo sentirmi dire, ciò di cui avevo bisogno.