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sabato 4 maggio 2019

Emanuele Trevi – Qualcosa di scritto




Con Qualcosa di scritto  Trevi affronta Petrolio, l’opera incompiuta di Pasolini, e lo fa dicendo fin da subito che a suo avviso si tratta di un libro spartiacque per la storia della letteratura che da quel momento in poi subirà un vistoso cambiamento di prospettiva:
“Fino alla fine, insomma, P.P.P. lavorò da perfetto rappresentante dell’età moderna, senza sapere che era uno degli ultimi. […]
Finché è durata, la modernità ha convinto tutti di essere eterna. Ogni generazione alzava l’asticella, come un saltatore che si mette alla prova, e trovava la maniera di scavalcarla. Poi, all’improvviso, proprio nel periodo in cui lo scartafaccio di Petrolio aspetta nell’ombra il suo momento, questa prodigiosa macchina si arresta – forse per sempre. Non che la letteratura «muoia», come da più di cent’anni si sperava o si temeva (o tutte e due le cose insieme). Rimane – ahimè – più viva e vegeta che mai: semmai restringe drasticamente, una volta per tutte, le sue potenzialità e le sue prerogative. […]
A metà degli anni Ottanta, lo scrittore più significativo della sua epoca è sicuramente Raymond Carver. Artista tutt'altro che modesto rappresenta alla perfezione lo straordinario cambiamento che si è verificato. Nei suoi libri, noi assistiamo allo sconcertante spettacolo di una letteratura che non pensa più nulla. L’unico compito che lo scrittore si assegna è quello di essere uno storyteller. L’unico mondo di cui parla, è quello che conosce empiricamente – la porzione di gabbia che gli è toccata in sorte. L’unica sua speranza, è che quelle storie piacciano a un buon numero di lettori.”
Insomma: Trevi ci va giù duro, tanto per mettere le cose in chiaro su come la pensa.
Di più: in Qualcosa di scritto, Petrolio travalica l'ambito del romanzo, finendo per costituire una sorta di "iniziazione", il libro sacro del culto del dio Pier Paolo Pasolini, al quale veniamo introdotti dalla figura della sacerdotessa pazza Laura Betti.
Entriamo in una dimensione mistica che comprende anche un pellegrinaggio ad Eleusi: Petrolio si dilata fino a diventare un "rito", un tentativo di andare oltre la realtà nella quale viviamo e il doppio (la metamorfosi sessuale, ma anche il binomio violenza/pietà) diventa lo strumento per avventurarsi in territori inesplorati alla ricerca della visione suprema:
"P.P.P. ha scoperto l’orrenda verità che si nasconde dietro le apparenze, e bussa alle porte dei suoi simili per comunicare le sue scoperte prima che arrivi qualcuno a farlo fuori. Bisogna insistere sul modo della conoscenza, che è corporeo prima che intellettuale, ed è la diretta conseguenza di uno stile di vita, non di un sistema di pensieri e definizioni. L’intellettuale, lo scrittore, in genere è un individuo che possiede un corpo come tutti gli altri, e ne può godere come tutti gli altri, ma al momento di conoscere, conosce solo con la sua mente, mentre P.P.P. butta nella mischia ogni centimetro, ogni grammo della sua carne."

domenica 28 aprile 2019

Emanuele Trevi – Sogni e favole: un apprendistato



Come un sasso nell'acqua

Questo libro mi ha fatto subito pensare all'immagine del sasso che da bambini gettavamo nell'acqua e a come osservavamo affascinati le onde concentriche che generava la sua caduta.
Un andamento a spirale che si nota già a partire dalla scrittura, che non è quello che sembra, nel senso che il libro parte come un romanzo, ma un romanzo "ibrido", che si allarga man mano verso altri generi letterari, come il saggio e l'(auto)biografia.
Ma è un sonetto del Metastasio il nucleo forte, il "sasso" che da il là alla formazione dei cerchi nell'acqua: si tratta di versi che fanno riferimento a come l'immedesimazione dell'autore sul suo mondo interiore generi in lui emozioni vere e che si espandono in anelli sempre più ampi coinvolgendo non solo lo scrittore ma anche il lettore e i suoi sentimenti, in una carrellata che collega Metastasio, Puskin, James, Kafka e Pessoa.
Quelle di Trevi sono riflessioni che partono dalla solitudine dell'uomo e si allargano al suo bisogno di finzione, di qualcosa che lo aiuti a sopportare la realtà, anzi a crearne un "credibile surrogato". C'è necessità di storie – dice l'autore – di una narrazione in cui credere, di indossare maschere che sappiamo essere una menzogna ma che pure ci servono a vivere, a conferirci un'identità, perché "dietro questa apparente infinità di maschere c'è un vuoto uniforme, uno smarrimento universale, nessuno si orienta, nessuno se la cava veramente".
La narrazione, la poesia, la pittura, la fotografia (il ritratto) rappresentano così altrettante finzioni, ma necessarie, perché è solo attraverso l'Arte che l'uomo può aspirare al passaggio dal particolare all'universale, all'assoluto, "quella porzione irriducibile di vita concreta che si sottrae ad ogni forma di genericità, che vale solo per chi la vive, e che fa di ogni essere umano il primo e l'ultimo della sua specie, senza colleghi, senza fratelli, senza nessuno dietro cui ritirarsi al momento decisivo, quello in cui tutte le regole si dissolvono nell'eccezione che sei tu, solo tu."
Si torna così al punto di partenza, alla solitudine dell'uomo, che chiude l'ennesimo cerchio di un viaggio colto e ricco di spunti di riflessione.