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domenica 3 maggio 2020

I fantasmi – César Aira



Lo scrittore è un fingitore.

Un caldissimo ultimo dell'anno a Buenos Aires. Un grattacielo in costruzione con appartamenti destinati all'alta borghesia argentina nel quale lavora un gruppo di operai cileni che si apprestano a festeggiare il Capodanno con le loro famiglie. E dei fantasmi, nudi e coperti di calce, che si aggirano per l'edificio invisibili agli argentini ma non ai cileni, che però non danno loro particolare importanza.
La struttura di questo romanzo, il primo del "ciclo urbano" di Aira, non si scosta dal canovaccio che segue solitamente questo scrittore: c'è la vita quotidiana, sulla quale piove improvvisamente un elemento dissonante, un ostacolo che produce uno scontro tra reale e fantastico originando uno scarto improvviso dalla strada maestra. La trama è obbligata così a procedere su una strada nuova, con risvolti tutti da decifrare.

Attenzione a sottovalutare Aira, perché si rischia di perdersi il meglio. Attenzione perché lui è un fingitore (parafrasando Pessoa): fa di tutto per sembrare ordinario e nascondere la parte più interessante. Scrittura semplice, trame surreali, romanzi brevi che pubblica a raffica… il perfetto ritratto dello scrittore pop.
Eppure non è così. Non c'è ironia nei suoi romanzi o perlomeno l'ironia è la patina di cui, a volte, sono rivestiti, una patina che è necessario grattar via per entrare davvero nelle pieghe della storia ed iniziare ad interrogarsi sui simboli e sulle metafore con cui dissemina le trame dei suoi libri.
In questo caso, ad esempio, il cantiere potrebbe essere una metafora della scrittura e il bivio al quale si trova davanti la Patri per partecipare alla festa dei fantasmi potrebbe rappresentare l'equivalente della scelta dolorosa e inconciliabile tra sentire e pensare, tra il mondo della fantasia e quello della realtà.
Attenzione lettore: non sottovalutare César Aira.

sabato 20 luglio 2019

César Aira – Il marmo



Il bombarolo.
C'è un uomo seduto sopra un blocco di marmo con i pantaloni abbassati che non ricorda come mai si trova lì. E allora scrive. Per ricordare, o forse solo per "preservare la felicità del momento". Il marmo è il racconto di come quest'uomo cercherà di mettere ordine nella sua memoria, un viaggio assurdo ed imprevedibile che a partire da una serie di cianfrusaglie ricevute al posto del resto in un supermercato ci porterà dentro ad una specie di video-game, dove ogni singolo oggetto costituirà un aiuto per procedere verso un livello successivo, in un'avventura tanto strampalata quanto affascinante.
Si parte dal marmo, simbolo di solidità e quindi, per astrazione, di certezza, ma ecco che ci troviamo subito davanti ad uno scarto rispetto alla strada principale: marmo è anche "la parola che la nomina", e siamo già su un piano metanarrativo.
Inutile star qui a raccontare tutte le avventure che capiteranno in sorte al protagonista del racconto, quello che ci interessa è avvertire il lettore di non fidarsi troppo del tono semplice, colloquiale, della narrazione: Aira gioca a confondere le acque e l'understatement è solo apparente. La stessa affermazione dell'autore argentino, che in più interviste ha detto di scrivere solo una pagina al giorno e di non correggere mai quanto scritto il giorno precedente, sembra sostenere l'idea che le sue opere abbiano una trama lineare e che i suoi libri prendano forma man mano che li stiamo leggendo. In realtà le cose stanno ben diversamente. Il marmo  è molto di più di una storia divertente e dietro la maschera del gioco cela un sottotesto importante e quanto mai attuale perché questo è un libro che riflette sulla memoria e sulle sue crepe: falsi ricordi, "confabulation", confusione tra fatti e supposizioni… un attacco in piena regola al castello delle nostre certezze che si spinge fino a mettere in discussione la realtà per come la conosciamo, arrivando a definirla "una grande coincidenza".
César Aira è un bombarolo in incognito, un surrealista arrivato fino a noi con l'incarico di abbattere quei confini dentro ai quali sguazziamo felici, un 'suprematista' dell'immaginazione che si prende gioco del nostro piccolo mondo:
"Mentre saltavamo nel vuoto si è avuta la dimostrazione che il supermercato era un mezzo, non un fine. La sua realtà era indiscutibile, ma non si esauriva in sé stessa. Era soltanto la soglia di accesso ad altre realtà, funzionale a queste."



domenica 30 giugno 2019

César Aira – Come diventai monaca



Un ballo in maschera

Come diventai monaca è uno stranissimo romanzo di formazione, che a partire da un ricordo banale, l'acquisto di un gelato alla fragola, mostra come le imprevedibili conseguenze di questo episodio condizioneranno l'esistenza futura del protagonista. Ad un punto di vista apparentemente innocente, quello del bambino, e ad uno stile narrativo semplice, fa da controcanto la maniera di rappresentarsi il mondo del ragazzino, tutt'altro che lineare.
L'autore stesso è il protagonista di questa surreale autobiografia "spuria", un bambino così consapevole della propria diversità al punto da immaginarsi con un'identità femminile. Viene in mente Gombrowicz nel leggere come il giovinetto viva appartato dagli altri, intento ad un gioco solitario che consiste nel  riprodurre il mondo esterno e le sue dinamiche secondo regole personali, gioco che finisce per diventare il suo unico scopo, mezzo che gli permette di trascendere la realtà per crearne una che sia solo sua.
La tesi sostenuta da Aira in questo romanzo e che ritorna anche in altre opere dello scrittore argentino, sembra essere quella dell'esistenza di due realtà, quella degli altri e la nostra: la vita sarebbe così il risultato dell'eterno conflitto tra come sono le cose e come ci appaiono. Conflitto impari, nel quale siamo destinati a soccombere perché la realtà è troppo forte per le nostre forze; anche in Come diventai monaca il giovane César non sfuggirà al suo destino così che quando la realtà verrà a prenderlo lui non farà nulla per resisterle, anzi si consegnerà spontaneamente a lei, consapevole (forse) della necessità di chiudere il cerchio.

domenica 3 aprile 2016

César Aira – Come imbalsamare animaletti mutanti





Lo scrittore è un falsificatore

Libretto curioso. A metà tra il divertissement e il progetto eversivo.
La storia di Varamo,  uno scrivano di terza categoria (una specie di Bernardo Soares pessoano) e di come una disavventura rappresentata dal pagamento con due banconote false entri nella sua vita per stravolgerla al punto da farlo diventare l’autore dell’ “osannato capolavoro della moderna poesia contemporanea, il canto del bambino vergine” (e va da sé come solo un autore sudamericano – César Aira è argentino – potesse partorire una trama del genere).
Come imbalsamare animaletti mutanti è un romanzo breve, raccontato con stile “colloquiale” che almeno nella prima parte ricorda Saramago per l’attenzione al lettore,  il renderlo partecipe di quello che succede al protagonista, di cosa egli pensa, di come analizza le cose nei particolari per immaginare i possibili scenari che ogni sua mossa potrebbe innescare.
Varamo è un abitudinario, consapevole del fatto che tutto quello che esce dalla routine rischia di disintegrare le fragili certezze sulle quali ha costruito la sua esistenza; la novità rappresentata dalle due banconote false è un pericolo, una porta sull’ignoto che lo costringe a confrontarsi con pensieri mai considerati fino a quel momento, a fare i conti con le sue insicurezze, ad improvvisare. In quest’ottica, anche l’hobby del protagonista (la sua via di fuga da un’esistenza in genere malinconica e insoddisfacente), imbalsamare piccoli animali, in realtà è meno stravagante di quanto possa sembrare: in fondo Varamo cercava solo di fermare l’attimo, “cristallizzare” il momento. Un po’ quello che stava facendo della sua vita.
Dalla metà in poi il racconto subisce un’accelerazione improvvisa. Da quando il protagonista della storia esce di casa per recarsi al caffè è tutta un’esplosione di fuochi d’artificio che si succedono senza continuità, alla quale si fatica a star dietro: le Voci che risuonano nella testa di Varamo quando passa in un punto preciso del percorso, un incidente stradale che coinvolge l’auto che trasporta il Ministro dell’Economia, la scoperta delle gare “di regolarità”, la casa delle Góngora, due sorelle creole che contrabbandano mazze da golf, la comparsa di Caricias, “l’ultima donna”, il quaderno con i codici cifrati per comunicare con le navi che trasportano la merce da contrabbandare ( o che vengono da Haiti per invadere Panama), l’identità tra denaro e discorso indiretto libero…
E poi l’incontro nel caffè con tre editori alla ricerca di qualcosa di originale da pubblicare. E cosa c’è di più originale dell’hobby di Varamo, di come imbalsamare animaletti mutanti? Poco importa la trama, quello che conta è il titolo, per riempire il libro saranno sufficienti annotazioni trascritte una di seguito all’altra, senza bisogno di elaborarle troppo.

Come imbalsamare animaletti mutanti è un libretto che prende in giro gli strumenti letterari: è metanarrativa, critica del discorso indiretto libero, messa in discussione dei meccanismi causa-effetto… Interessante e convincente è il modo di procedere di Aira nella sua analisi, la capacità di coniugare complessità e leggerezza, dando l’impressione di non prendersi mai troppo sul serio. Procede portando il ragionamento all’estremo, ad avvitarsi su se stesso fino a creare un vortice, un mulinello che rischia di inghiottire al suo interno personaggi della trama, autore e lettore… ma poi si ferma. Arriva sul bordo del precipizio ma si blocca un attimo prima di piombarci dentro, gioca con la vertigine, senza “intellettualismo”, saccenza o pedanteria ma casomai con curiosità.
Aira è un autore indubbiamente originale, che esplora il mondo mescolando verità e fantasia, applicando le leggi della logica all’immaginazione, per vedere l’effetto che fa, perché “lo scrittore è un falsificatore malgré lui che lasciava le sue tracce cifrate”.