Il ponte sulla Drina– Ivo Andrić
(trad. Bruno Meriggi)
Mondadori editore (I ed. 1945)
"La vita è un miracolo impenetrabile, perché si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda come il ponte sulla Drina."
Lo stile di Andrić è quello che ritroviamo in Kiš e in Pavić: il respiro delle terre slave, l'incrocio di culture e religioni diverse, storie che sembrano rubate dalle Mille e una notte, un calamo di reale e fantastico nel quale hanno intinto la penna scrittori di talento.
Un viaggio lungo quattrocento anni lungo la frontiera che divide l'Est dall'Ovest; il ponte di Višegrad come metafora di una linea che unisce storia e epica, Oriente e occidente, favolistica e romanzo, vecchi e giovani, mutamento e tradizione. Perché il ponte unisce, non divide. E resiste – sempre uguale a se stesso – al passare del tempo, mentre la vita scorre sotto le sue arcate come le acque del fiume Drina, a volte impetuosa, a volte lenta.
La grande capacità affabulatoria dell'autore si esprime non solo attraverso le decine di racconti di esistenze diverse che intreccia mescolando storia e leggenda con penna sicura, ma anche nel ritmo che riesce ad imprimere alla narrazione dimostrando di saper leggere perfettamente la storia. Fino agli eventi della seconda metà dell'Ottocento, infatti, il romanzo si caratterizza per una scrittura ampia, raccontando i momenti di conflitto e di sostegno reciproco tra le comunità turche, ebraiche e cristiane di Višegrad; è un equilibrio che sembra quasi cristallizzato, almeno fino al 1878, quando l'occupazione austriaca mette in moto il motore della storia. Fino ad allora i mutamenti erano stati soli politici ma dall'ultimo quarto del XIX secolo diventano anche sociali e si crea una linea di frattura destinata ad allargarsi sempre più. Se all'inizio il conflitto tra nuovo ed antico trova un equilibrio, con la vita esteriore che procede secondo i dettami del progresso e quella interiore che lavora nel silenzio, le nuove idee acquisteranno spazio sempre più rapidamente, precipitando la storia lungo un piano inclinato che culmina nel 1914, anno spartiacque tra due epoche.
Con un ritmo che diventa stringente, Andrić interpreta in maniera splendida la velocità del cambiamento, identificando nella ferrovia prima e nella stampa poi i principali vettori del nuovo che avanza e nella generazione dei "giovani ribelli" il protagonista della nuova era. Sono ragazzi istruiti, che portano le idee di libertà e dignità dell'individuo in un ambiente che era vissuto per centinaia d'anni all'interno di una bolla. La parola come succedaneo dell'azione, l'idea come succedaneo della realtà: è una generazione ricca di illusioni e che vuole cambiare il mondo, ma si sa che di buone intenzioni… L'accelerazione impressa agli avvenimenti si rivelerà un Moloch ingovernabile, principi, valori e punti di riferimento che vigevano da secoli saranno rimpiazzati da disordine e confusione, che culmineranno con la tragica caccia al serbo.
"nella vita non c'è niente di risolto, niente si risolve, né esiste la possibilità di soluzioni complete, ma tutto è difficile e ingarbugliato."
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