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domenica 19 maggio 2024

António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori



António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori
(trad. Rita Destri)
Einaudi editore, 1999 – I ed. 1996

Cos'è la vita? Il racconto che ne fa ciascuno di noi, più le note a margine dei personaggi minori. Gli spettri.

Libro importante nella bibliografia di Lobo Antunes, Il manuale degli inquisitori si presenta al lettore con una prosa più "pulita", meno baroccheggiante e più musicale rispetto a quella dei romanzi del ciclo di Benfica. Quello che rimane immutato sono invece i salti temporali, che si ripetono a volte anche nel corso della stessa frase, perché quando la memoria si inceppa passato e presente sono così vicini sulla linea del tempo da potersi scambiare di posto senza problema. Altra costante è la polifonia, anche se qui la trama è organizzata secondo uno schema rigoroso: cinque parti affidate alla voce dei protagonisti arricchite dal commento di personaggi minori che, come succede in gran parte della produzione dell'autore lisbonese, raccontano la disgregazione di una famiglia e quella di una nazione, temi che finiscono per intrecciarsi con un uso sapiente di metonimie e altre figure retoriche.
E così, in mezzo a una selva di comprimari, caratterizzati dalla loro povertà emotiva e che ai sentimenti antepongono istinti, bisogni e doveri, spicca la figura di João: figlio perenne, personalità mai sbocciata perché schiacciata dal padre, un inane intento a costruire una barca che non navigherà mai, l'uomo che guarda la vita scorrere, che assiste passivo e indifferente a quello che succede intorno a lui. E poi Titina, la governate fedele e accuditiva, che si sente rivestita di un ruolo importante nella famiglia e invidia le attenzioni che il padrone dedica alle altre donne. E ancora, Paula, un ragazza senza amore che sogna briciole di felicità che non ha mai avuto e non avrà mai e Milá, un'altra vittima del padrone che cerca in lei la moglie che lo ha abbandonato e soprattutto lui, Francisco, il potente padre-padrone del quale assistiamo alla rovinosa caduta raccontata in parallelo a quella dello Estado novo portoghese, un'anima nera che finisce spezzata in due "come se metà di me fosse quello che credo io e gli altri credevano che fosse e l'altra metà ciò che di fatto era". 
Il manuale degli inquisitori è uno splendido romanzo, tanto semplice nella struttura quanto raffinato nei meccanismi che la sostengono, a iniziare dall'importanza che nella narrazione assume l'assenza (di Isabel, madre di João), che diventa uno dei motori della trama, per proseguire a quella del non detto e che emerge dai comportamenti dei personaggi, fino ad arrivare al ruolo dello scrittore (l'inquisitore) che ha il compito di dar voce ai personaggi attraverso i loro resoconti. 

domenica 29 ottobre 2023

Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes



Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Tornare a Lobo Antunes equivale a volgere la prua verso un porto sicuro, a immergersi ancora una volta nella fitta architettura che lo scrittore portoghese ha affinato nel corso della sua lunga produzione letteraria per ascoltare l'ennesima storia fatta di ricordi. Dipinto, sinfonia… è facile finire per scomodare immagini che caratterizzano altre espressioni artistiche quando si decide di parlare di un libro di questo autore, tanto le sue parole sono capaci di scatenare suggestioni che rompono i confini del romanzo per scivolare fuori dalla pagina arrivando fino a schizzare dentro di noi.
Cicogne e caravelle ci accolgono all'interno di un libro nel quale la cronologia è un termine vuoto, perché il tempo non è quello scandito dal ticchettio dell'orologio ma quello che prende forma all'interno della mente, una nuvola di fumo nella quale presente e passato si mescolano per dare forma ai pensieri. Protagonista assoluto è il ricordo, sfumato di nostalgia e compassione: Lobo Antunes punta la macchina da presa su gesti, persone e oggetti per togliere la polvere del tempo passato e con l'autorevolezza del demiurgo resuscita le ombre dall'oblio soffiandovi sopra nuova vita, per ascoltarle parlare e generare quei legami, pensieri, gesti che muovono la lenta ruota della trama.
Dizionario del linguaggio dei fiori è un altro romanzo polifonico, con la trama ridotta a poco più di un pretesto per raccontare tante storie, un fiume con mille affluenti, una cicogna che apre le ali e vola nel cielo terso di Lisbona mentre sotto scorre il tempo, immobile come il Tago e come i treni "minuscoli molto in basso, in lontananza, che partono da chissà dove per nessuna destinazione che è la loro sorte".

lunedì 1 maggio 2023

Le navi – António Lobo Antunes

 


Le navi – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Opera del 1988, Le navi risulta un tassello importante nella bibliografia di Lobo Antunes perché ci permette di tratteggiarne l'evoluzione stilistica. Si tratta di un romanzo nel quale domina il gongorismo ricco di metafore tipico della prima parte della produzione letteraria dello scrittore portoghese, perfetto per descrivere l'atmosfera decadente, di crisi, del periodo post-coloniale. Siamo, per capirci, in una fase che precede di pochi anni la prosa più centrata sulla costruzione della frase che sulla parola, che caratterizza la trilogia di Lisbona (della quale anticipa l'aspetto polifonico), una scrittura che subirà un'ulteriore evoluzione nei romanzi successivi fino a diventare sempre più cerebrale e complessa nel tentativo di avvicinare e riprodurre sulla carta i processi cerebrali del pensiero in opere come Arcipelago dell'insonnia, Sopra i fiumi che vanno, Non è mezzanotte chi vuole.
Pur affrontando le stesse tematiche di In culo al mondo, Le navi riesce a non sentire il peso di quel grande romanzo, concentrandosi su sfumature diverse e permeando le pagine di un'aura di disincanto che spesso si dilata in un sorriso amaro. L'intento dell'autore è infatti quello di fare un seguito de I Luisiadi di Camões ma in chiave caricaturale, con una carnevalizzazione (per citare Bachtin) dei personaggi realizzata dando ai reduci dell'impresa coloniale i nomi di Diogo Cão, Vasco da Gama, Pedro Álvares Cabral, Dom Sebastião… mostri sacri della storia e della cultura lusitana e trasformandoli in personaggi fuori dal tempo, naufraghi nelle loro vite, abitanti di un presente che faticano a riconoscere.
Le navi è uno sberleffo al potere, alle contraddizioni su cui è costruita l'identità nazionale e all'ambizione di quelli partiti alla conquista del mondo sulle Caravelle e poi sulle navi dirette in Angola e ritrovatisi davanti a un fallimento che ha coinvolto i destini di una nazione. Ci parla della sensazione di inevitabilità e di disfacimento che pervade i pensieri di una popolazione che sognava l'impero e la ricchezza e poi si è svegliata straniera in casa propria, superata dal corso degli eventi, cambiata e costretta a sopravvivere in una realtà che non riconosce più.

sabato 2 aprile 2022

Non è mezzanotte chi vuole – António Lobo Antunes



«a che serve il passato, non siamo sicuri se sia esistito o se ci abbiano fornito immagini che immagazziniamo nella speranza di ottenere quel che si chiama vita»

Un altro grande romanzo polifonico, un altro nodo dell'ordito che Lobo Antunes tesse instancabilmente da oltre quarant'anni, un'altra opera che chiama il lettore a dialogare con lo scrittore per superare la realtà e andare per mano in un altrove nel quale fatti, sogni, memoria e suggestioni hanno pari dignità.
Una trama essenziale: una donna che torna nella casa al mare di quando era bambina, un fine settimana che è una resa dei conti con passato e presente. Non è mezzanotte chi vuole è una lunga ellissi, un soliloquio che mescola i piani temporali, un vento caldo che avvolge i ricordi.
Nominare lo cose, richiamare i gesti antichi, raccontare i fatti per farli rivivere.
Le storie di Lobo Antunes hanno lo stesso sapore del sangue delle ferite che ti provocavi da bambino, lo stesso dolore dolce, il gusto struggente della malinconia.
Una scrittura ipnotica, che tiene insieme tutto e contemporaneamente si espande in mille direzioni. Le ripetizioni, continue, sono come la risacca del mare, onde lunghe che carezzano la riva sussurrando parole che subito cancellano per ripetere un attimo dopo. Un flusso, una musica, andare e venire che imita il ritmo della vita, provando a riprodurre i meccanismi con cui la nostra mente associa pensieri, fantasie e ricordi elevando il romanzo a unico metro in grado di misurare la verità.

giovedì 6 gennaio 2022

Sopra i fiumi che vanno – António Lobo Antunes


Rubando tempo alla morte

Ennesimo tassello nel processo di decostruzione della trama di Lobo Antunes. In Sopra i fiumi che vanno è la forma che regge il romanzo: un lungo flusso di coscienza, lo scorrere dei ricordi, fiumi che trasportano pensieri, fatti, cose, persone, dolore. La storia è una costruzione a posteriori e poco importante di per sé, il risultato è un'opera estrema, priva di punti di riferimento.
Obiettivo dell'autore è trasferire sulla pagina non gli avvenimenti ma quello che rappresentano per il bambino che li vive e quello che sono per l'uomo che li racconta: dire l'indicibile, creare un ambiente dal quale il lettore può attingere per provare a "sentire" quello che sentono i protagonisti.
Inutile provare a spiegare, qui siamo dentro a una specie di delirio febbrile, davanti a un'eruzione di ricordi veri e inventati che mescolano passato e presente. In un magma incandescente Un territorio nuovo, un'idea di letteratura "estrema" alla quale è necessario avvicinarsi senza pre-concetti.
C'è un grande fuoco che arde al centro della fucina di Lobo Antunes, tra le fiamme che guizzano inquiete sembra di vedere balenare tracce di Schulz e Kiš e dei romanzi sulla memoria del secondo Novecento, nei pezzi incandescenti che l'artista forgia con cura pare di riconoscere il ricordo di Joyce e di Faulkner e del romanzo modernista… ma à inutile utilizzare le analogie per provare a descrivere l'opera dello scrittore portoghese: le analogie sono solo suggestioni, ombre che deformano le cose.
Non esiste una bussola per orientarsi in questo romanzo, in Sopra i fiumi che vanno è necessario immergersi per lasciarsi travolgere dalla corrente e guidare dalle voci che illuminano il buio cercando di rubare il tempo alla morte in un viaggio che vale la pena di essere vissuto.
"Quello che conta è il libro come un tutto, e ciò che conta di più non sono nemmeno le parole scritte, ma quello che sta tra le parole, gli spazi bianchi. A parte questo, il libro non è qualcosa che deve essere letto, è un oggetto che ascolta. Siamo noi lettori che parliamo con lui. Il libro è qualcosa che mettiamo contro un orecchio per udire il rumore del mondo. Il mio compito è solo scrivere, non fornire spiegazioni, soprattutto perché non le possiedo. Non ho soluzioni, né chiarimenti, né rimedi. Ho solo libri".

[da un'intervista di António Lobo Antunes al premio Nonino 2014]


domenica 11 ottobre 2020

Lo splendore del Portogallo – António Lobo Antunes

 


Il migliore sulla piazza

 

Lo splendore del Portogallo rappresenta uno degli apici della bibliografia di Lobo Antunes, una perfetta macchina per catturare il vento della memoria, uno strumento in grado di restituirci la storia di una famiglia di ex coloni portoghesi in Angola attraverso folate di ricordi, immagini, brandelli di dialoghi, riflessioni dei protagonisti.

Materiali difformi, frammenti disarticolati che prendono significato nel corso del racconto e vanno a formare tessere di un mosaico che pian piano prende vita nell'immaginazione del lettore.

Quella di Lobo Antunes è una scrittura avvolgente e lo stile è quello a cui ci ha abituato negli altri romanzi: frasi lunghissime con la maiuscola che apre il paragrafo e il punto che spesso compare solo alla fine, sovrapposizione dei piani temporali, uso di reiterazioni che danno un ritmo quasi ipnotico al racconto, portandolo verso un territorio che sembra quello sospeso tra sonno e veglia, alternanza delle voci narranti che di sovente si sovrappongono anche nello stesso paragrafo lasciando al lettore il compito di identificare chi sta parlando cercando di riconoscerlo dalle sue parole (compito non semplice, considerando che spesso lo scrittore segue due o più tracce contemporaneamente). Aggiungo che spesso nei dialoghi la voce narrante pensa ad altro rispetto a ciò che sta dicendo e a volte nel corso del racconto nascono idee repentine che portano il corso della narrazione in un'altra direzione…

Una prosa respingente? No, piuttosto una prosa difficile, che richiede attenzione ma che la ripaga con gli interessi. Lobo Antunes è stato psichiatra e credo che la sua formazione professionale non sia indifferente allo stile letterario che ha costruito e affinato nel corso degli anni e che sembra ricalcare in chiave letteraria i complessi meccanismi della mente. Tutta la sua ricerca ruota intorno al tema del ricordo, personale ma anche nazionale; la memoria è fatta di immagini che non hanno successione lineare né gradi di importanza ma sono fotografie che si sovrappongono, alcune messe a fuoco perfettamente e altre - la maggior parte - sfuocate, fotografie che ritraggono momenti importanti dell'esistenza ma anche fatti minimi, apparentemente insignificanti, che per ragioni più emotive che logiche hanno lasciato una traccia duratura.

Il passato è il punto di osservazione scelto da Lobo Antunes per parlarci degli uomini, e Lo splendore del Portogallo è un libro duro, pervaso da un costante senso di fatalismo, che tratta dello sfacelo di una famiglia sullo sfondo dello sfacelo dell'impero coloniale portoghese in Africa, un libro sulla mancanza di amore, sul cinismo e sull'avidità.

Il passato è il tempo nel quale le cose sono accadute e il presente è il tempo del ricordo. La riconciliazione che cerca Carlos, il protagonista del libro, con la famiglia e con se stesso è impossibile perché tutto è già successo e ora non rimane più spazio per nulla. Non è possibile riavvolgere il nastro e riscrivere la storia ma solo farla rivivere con la memoria senza comprensione o compassione, forse solo pena.

 

Heróis do mar, nobre povo,

Nação valente, imortal,

Levantai hoje de novo

O esplendor de Portugal!

 

(A Portoguesa)

 

sabato 23 novembre 2019

António Lobo Antunes – La morte di Carlos Gardel



"Le persone come il mio amico sono immortali, non finiscono, dureranno fintanto che ci sia qualcuno che le apprezzi sulla faccia della terra."

Terzo ed ultimo romanzo del "ciclo di Lisbona", La morte di Carlos Gardel rappresenta l'ennesima prova di bravura di un grandissimo artigiano della parola scritta.
Libro di sentimenti trattenuti, parole non dette, molti ricordi e pochi dialoghi. Una scrittura densa, avvolgente, frasi che cadono sulla pagina e poi si allargano a macchia d'olio innescando un'apnea di pensieri e di immagini che si intersecano saltando avanti e indietro sulla linea del tempo. Lobo Antunes padroneggia perfettamente una macchina narrativa che ha prima inventato e poi affinato nei particolari: si parte dalle piccole cose, dettagli a cui affida il compito di suscitare idee che rimandano a momenti recenti o lontani nel tempo che a loro volta ne richiamano altri. E poi ancora: la pluralità di voci, episodi raccontati da più punti di vista a delineare meglio la trama, anche se non a chiarirla definitivamente.
Una scrittura che procede per 'accumulazioni', un fiume che nella sua corsa verso il mare trascina con sé tutto quello che incontra lungo il suo passaggio. Il ritmo della narrazione è incalzante, ipnotico, con le voci narranti che si alternano e poi si sovrappongono, chiarendo oppure confondendo il lettore ma sempre spingendolo un po' più dentro la lettura perché lo scopo con Lobo Antunes, il mio scopo, non è quello di comprendere tutta la trama ma respirarne le  parole, viverne le atmosfere.
La morte di Carlo Gardel è un libro di memorie: ricordi di un nonno che non parla con nessuno, perso nei suoi solitari con le carte, di donne e uomini che abbandonano le famiglie, che se ne vanno semplicemente perché non ce la fanno più, ricordi di ex mariti, di tizi con la brillantina e le labbra dipinte, di faggi che tossiscono, di olmi che chiamano e di guinzagli senza cane.
Monete, teiere d'argento, tazze di porcellana e mille altri oggetti comuni, odori, colori e sensazioni che la penna di Lobo Antunes recupera dalla memoria e richiama a vivere sono i veri protagonisti di questo libro perché se la morte di Nino è inevitabile sin dalle prime pagine, la morte del passato invece può essere rimandata grazie al potere della parola. Un inganno, certo, ma forse non è un inganno anche la letteratura che traducendo tradisce la realtà?

domenica 23 giugno 2019

António Lobo Antunes – L'ordine naturale delle cose


Ognuno vola come può

Secondo romanzo del "ciclo di Benfica" ed ennesima prova di bravura di uno dei due Dioscuri (l'altro è Saramago)  della letteratura lusitana moderna. Lobo Antunes è una specie di Omero contemporaneo e la trilogia della quale questo libro fa parte una sorta di racconto epico delle trasformazioni del Portogallo novecentesco (paese «dove tutto ristagna e s'immobilizza nel tempo»), narrato con la consueta scrittura rigogliosa e ricca di metafore, qui arricchita da venature quasi surreali.
La Lisbona che emerge è lontana dalle immagini da cartolina, è una città grigia nella quale i protagonisti del libro galleggiano tra indifferenza ed egoismo. La trama scorre con un ritmo lento, intrecciando tra loro le esistenze di uomini e donne che vivono di espedienti (c'è anche un venditore di corsi di ipnotismo per corrispondenza), travolti dal corso della storia, incapaci di vivere nei tempi mutati e costretti a trascinarsi per le «strade dell'amarezza» nelle vie del quartiere di Alcântara sotto la cappa di un'atmosfera rarefatta, sospesa tra realtà ed invenzione («sospesi in una specie di limbo, a parlare di niente, circondati da tetti e alberi e gente immateriale, in una Lisbona immaginaria che digrada verso il fiume in un confuso affastellamento di vicoli inventati»).
La trama  si snoda come la tela di un ragno: discorsi diversi si intrecciano, ogni personaggio nel raccontarsi aggiunge qualcosa alla storia dell'altro, parole, musica (ma non comprensione), voci che tessono la storia del Portogallo del secolo trascorso e si organizzano in un romanzo polifonico caratterizzato da quei salti spazio-temporali e dai  cambi di prospettiva a cui Lobo Antunes ci ha abituato.
Si vive di disincanto, di amori non ricambiati, figli del bisogno e costruiti sull'acqua, si vive di ricordi che continuano a tornare a galla rifiutando di perdersi nelle nebbie della memoria. «Ognuno vola come può», dice uno dei protagonisti, ognuno è perso dentro la propria storia: chi continuando a credere di essere in miniera a Johannesburg, chi isolandosi nel silenzio in manicomio, chi dentro la malattia, chi cercando di costruirsi un progetto di vita zoppicante e provvisorio… si vive soli. I personaggi che incontriamo nel libro sono uomini e donne chiusi in un passato che non è mai passato davvero e che cercano di vivere come possono, chi immaginando di essere sottoterra e chi in cielo, perché l'importante è volare, non restare costretti dentro ad un presente angusto.
Il passato è come l'onda lunga che torna sempre ad accarezzare la riva: l'Africa coloniale, la Polizia Politica i tentativi di golpe… ricordi, che come nel Trattato delle passioni dell'anima costituiscono la sola certezza, l'unica cosa che ci resta, da custodire per non farli morire, e poco importa se siano belli o brutti.
L'ordine naturale delle cose è una lenta elegia, un lungo addio alla vita, al tempo passato che era il tempo dei personaggi di questo libro, quel tempo nel quale erano vivi, lontanissimo da un presente confuso che scivola via senza lasciare segno di sé.
«Così come cadono gli alberi io cado e cadendo cado come cadono lentamente e lievi le foglie e le ombre e io le sento piangere e parlare con me e non posso rispondere mentre cado perché se rispondessi cosa direi se non che sto crollando come crollarono un tempo mio padre mia madre mio marito improvvisamente silenziosi e immobili e bianchi come la luce in questa casa tanto bianca sui mobili bianchi gli specchi restituiscono il silenzio e le loro lacrime e domani saliranno con me lassù in cima e senza parole oltre a quelle del prete volgeranno il mio viso verso il sole.

domenica 2 giugno 2019

António Lobo Antunes – Trattato delle passioni dell'anima



Il passato è dove il presente ha inizio.

Primo romanzo della trilogia di Benfica, Trattato delle passioni dell'anima stilisticamente si allontana un po' dal "gongorismo" delle prime opere di Lobo Antunes (penso soprattutto alla prosa ricca e a tratti ridondante di In culo al mondo) per orientare la ricerca più sulla struttura del libro e sull'architettura della frase che sulla parola in sé. Il risultato è un romanzo polifonico, nel quale alle voci dei protagonisti si alternano anche quelle degli altri personaggi impegnati a raccontare ognuno la propria storia, il proprio punto di vista, in un andamento della trama che ricorda il va e vieni ipnotico della la risacca. Lobo Antunes chiede al lettore dedizione assoluta e poi lo confonde con un tourbillon di voci che vanno avanti e indietro nel tempo, con un alternarsi e sovrapporsi di piani temporali e psicologici che danno vita ad uno splendido romanzo sulla memoria e sulla perdita degli affetti, un affresco che mette a confronto il Portogallo del latifondismo, ancora legato all'Ottocento, con quello delle lotte sociali e del terrorismo, la transizione traumatica dalle certezze di un mondo patriarcale legato alla tradizione rurale del paese agli squilibri sociali dello stato moderno, con la sua navigazione a vista in un mare di interessi, piccole e grandi nefandezze, assenza di legalità e di moralità.

mercoledì 20 febbraio 2019

Mi scusi se le parlo così


Mi scusi se le parlo così ma sono così stufo di sentirmi solo, così stufo della farsa tragica e ridicola della mia vita, dell’hamburger dello snack–bar e della donna delle pulizie che fa la cresta sulle ore e sul detersivo. Così stufo che a volte, sa com’è, ho una gran voglia di allontanare da me l’inquieto disordine del quale mi nutro con nausea come certi animali dell’immondizia, e ho voglia di fischiettare’ allo specchio una contentezza senza macchia. Avrei voglia di vomitare nel water lo sconforto della morte quotidiana: che trasporto nello stomaco come una pietra di acido, che mi si ramifica nelle vene e mi scivola attraverso le membra in un flusso oleato di terrore, avrei voglia di ritornare, pettinato e sano, alla linea di partenza dove un circolo di volti compassionevoli e affabili mi attende, la famiglia i fratelli gli amici, le figlie, gli sconosciuti che si aspettano da me ciò che, per timidezza o vanità, non ho saputo dargli e offrire loro la lucidità priva di risentimento e il calore privo di cinismo di cui, finora, non sono mai stato capace. Avrei voglia di espellere questi defunti rigidi installati sulle mie sedie in un’attesa pallida e tenace, mia madre che passa indifferente accanto a me pensando ad altro, mio padre che alza dalla poltrona uno sguardo che attraversa senza vedermi, i fratellini avvolti nei loro complicati gomitoli interiori impossibili da districare, avrei voglia di espellere i pianoforti verticali coperti da damaschi i cui Chopin mi prendono nella tela di malinconie da narciso, avrei voglia di Isabel, della realtà di Isabel, della realtà indipendente da me di Isabel, dei denti di Isabel, del riso di Isabel, dei seni di Isabel come musi di cerbiatta sotto la camicia da uomo, delle sue mani sopra le mie natiche quando facevamo l’amore, e delle palpebre che tremavano e vibravano come se fossero state trafitte da uno spillo crudele su un foglio di protocollo. Può spegnere la luce: non ne ho più bisogno. Quando penso a Isabel mi passa la paura del buio, un chiarore di ambra riveste gli oggetti con la serenità complice dei mattini di luglio che mi pareva sempre disponessero davanti a me, con il loro sole infantile, i materiali necessari per costruire qualcosa di ineffabilmente piacevole, e per me sempre indecifrabile. Isabel che sostituiva ai miei sogni paralizzati il suo pragmatismo dolcemente implacabile, riparava le fessure della mia esistenza col rapido fil di ferro di due o tre decisioni di sbalorditiva semplicità, e poi, ritornata all’improvviso bambina, si coricava su di me, mi prendeva il viso fra le mani e mi diceva Lascia che ti baci, con una vocetta supplicante che mi sconvolgeva. Penso di averla persa come perdo tutto, di averla scossa via da me con il mio umore incostante, le mie collere improvvise, le mie esigenze assurde, questa angosciata sete di tenerezza che respinge l’affetto e rimane a pulsare dolorante nel muto appello pieno di spine di un’ostilità priva di senso. E mi ricordo, con commozione e rapimento, la casa dell’Algarve circondata da fichi e cicale, il tiepido cielo notturno pennellato dall’alone lontano del mare, la calce delle pareti quasi fosforescente nel buio, e la violenta e non formulata passione delle mie carezze che sembravano arrestarsi senza soluzione a qualche centimetro dal suo viso, e si dissolvevano infine in una carezza indefinita.

Penso a Isabel, e una specie di marea vibrante d’amore, indomita e vigorosa, mi sale dalle gambe fino all’inguine, mi indurisce i testicoli con ondate di desiderio, mi si spande nel ventre come se aprisse grandi ali colme nelle mie viscere in agitazione. Visitiamo di nuovo i rigattieri polverosi di Sintra alla ricerca di vecchi mobili entriamo nell’acquario azzurro del localino notturno dove per la prima volta, come incantato, ho toccato la sua bocca, ci inventiamo il fantastico futuro di una profusione di culle e di figli bruni, e mi sento felice, giustificato e felice, mentre abbraccio il suo corpo nella bassa marea delle lenzuola, con le pieghe che formano una susseguirsi di onde rifrante sulla spiaggia bianca del cuscino, dove le nostre teste, la sua scura, la mia chiara, si riuniscono in una fusione che possiede i germi strani di un miracolo. Può spegnere la luce: forse non resterò poi tanto solo in questa stanza enorme, forse Isabel o lei verrete a trovarmi uno di questi giorni, sentirò la voce al telefono, la voce scandita e precisa attraverso i fori di bachelite della cornetta, il ciao di Isabel o il suo ciao mi entreranno nell’orecchio come l’oleosità piacevole e tiepida delle gocce auricolari della mia infanzia, andrò o verrò a prendervi in ufficio, aspetterò in macchina fumando impazientemente e aggiustandomi il nodo della cravatta nello specchietto in punta di chiappe, forse Isabel, o lei, si siederà accanto a me nell’oscurità dell’automobile, mi sorriderà, infilerà la cassetta di Maria Bethània nello stereo, e mi passerà intorno al collo le sue solide braccia di tenerezza. Lascia che ti baci. Lasci che la baci mentre si veste, mentre si allaccia il reggiseno con gesti mancini che conferiscono alle sue scapole sporgenti l’aspetto delle ali di un pollo, mentre cerca gli anelli d’argento sul comodino con una ruga verticale e infantile sulla fronte, mentre lotta con la spazzola sulla resistenza ondulata dei capelli gli abbondanti capelli che con la mia calvizie invidio di invidia feroce e invincibile. Tutte le mattine mi chiedo quando comincerò a fare la scriminatura vicino all’orecchio, con un bel riporto, leggo attentamente e senza ironia gli annunci dei parrucchini sul giornale, accompagnati da foto di irsuti ex–calvi soddisfatti, sorridenti sorrisi pelosi da gorilla. Mi allontano dalle mie fotografie dell’anno scorso come una barca dal molo, e mi sembra di assomigliare a una bizzarra caricatura di me stesso deformata dalle rughe in una specie di smorfia. Lascia che ti baci: chi mai potrà voler baciare la parodia triste di ciò che sono stato, lo stomaco che si dilata, le gambe che si assottigliano, il sacco vuoto dei testicoli ricoperto di lunghi peli biondastri? Ripensandoci, non spenga la luce: chissà che questo mattino non nasconda una notte ancor più opaca di tutte le notti finora attraversate, la notte che abita nelle bottiglie di whisky, nei letti sfatti e negli oggetti dell’assenza, una notte con un cubetto di ghiaccio in superficie, tre dita di liquido ambrato e un silenzio insopportabile in fondo, una notte in cui mi perdo, inciampando da una parete all’altra, intontito dall’alcol, raccontando a me stesso il discorso della solitudine grandiosa degli ubriachi, per i quali il mondo è un riflesso di giganti contro cui ribellarsi è inutile. Non spenga la luce: quando se ne sarà andata la casa diventerà inevitabilmente più grande, e si trasformerà in una specie di piscina senz’acqua dove i suoni si amplificano ed echeggiano aggressivi, tesi, enormi, sbattendo con violenza contro il mio corpo come le maree dell’equinozio contro il muraglione della spiaggia, facendo rotolare su di me una schiuma fosca di sillabe. Ascolterò di nuovo il rumore del frigorifero che ronfa nel suo sonno da mammut, le gocce che gocciano dai rubinetti come le lacrime dei vecchi, grevi di rugginosa congiuntivite. Esiterò a scegliere la camicia, la cravatta, il vestito, e finirò per sbattere la porta di casa come se abbandonassi dietro di me una tomba intatta dove la morte fiorisce nei vasi di vetro e negli steli imputriditi dei crisantemi.

[António Lobo Antunes "In culo al mondo"]

domenica 10 febbraio 2019

António Lobo Antunes – In culo al mondo


Viaggio al termine della notte

La guerra come spartiacque dell'esistenza dell'autore/protagonista e che separa un prima, quello della giovinezza e dell'innocenza, da un dopo che è consapevolezza del male.
In culo al mondo è l'elaborazione di questa esperienza: un lungo monologo in forma di dialogo con una lei che rimane silenziosa, il ripercorrere contorto le tappe della vita secondo lo schema tipico della narrazione di Lobo Antunes, fatto di sovrapposizione dei piani temporo/spaziali e cambi di voce narrante. Rispetto alle opere successive dell'autore portoghese qui c'è in più un uso ridondante della metafora e una prosa nella quale la frase mantiene ancora (almeno parzialmente) la sua articolazione. Prosa, al solito, baroccheggiante: la trama non si sviluppa secondo lo schema classico ma per sovrapposizione di immagini, pensieri, ricordi, allegorie… e le frasi lunghe incalzano il lettore con il loro ritmo vertiginoso, lasciandolo quasi senza fiato all'arrivo del punto.
A dirla così, In culo al mondo sembrerebbe un'opera fatta di molto mestiere e in parte è vero. Ma non c'è solo quello, perché la scrittura ricca, ricchissima, con la quale Lobo Antunes veste il romanzo nulla toglie all'onestà del pensiero dell'autore. Questo è uno di quei libri dolorosi e necessari che parlano dell'uomo, un viaggio al termine della notte e dentro la memoria. Un libro vero, un grande libro di un grande scrittore.

sabato 12 gennaio 2019

António Lobo Antunes – Arcipelago dell'insonnia



Con Arcipelago dell'insonnia Lobo Antunes si conferma ai vertici della letteratura contemporanea e la prosa originale con la quale sceglie di declinare l'arte del romanzo dimostra una volta di più quanta vitalità e potenzialità ci siano in questo genere narrativo.
Non si tratta di una lettura semplice: qui siamo al cospetto di un non allineato al pensiero unico, uno scrittore che ha un profondo rispetto per il ruolo attivo del lettore e che in virtù di ciò decide di non semplificargli il lavoro ma di chiedergli impegno e attenzione costanti. A cominciare dalla forma del romanzo e dall'uso personale delle strutture della frase: il punto compare solo a fine capitolo (mediamente dopo una novantina di pagine), c'è uno sfalsamento continuo delle voci e dei piani temporali, un alternarsi di prima e terza persona, discorsi interrotti a metà e parole che si sovrappongono ad altre cambiando il corso della narrazione… La sintassi risulta a tratti disarticolata perché mancano verbi, parole, connessioni, con il risultato che ci si trova davanti a frasi tronche che impediscono la piena comprensione ma lasciano intuire, immaginare.
La trama - la storia della famiglia portoghese al centro del romanzo - si svela così a brandelli, per frammenti, e mai completamente, questo perché Lobo Antunes non si propone di raccontare una storia in maniera classica, ma di dare al lettore un'atmosfera, come se volesse ricreare un ambiente simile a quella parte del cervello in cui riposano i ricordi, un calderone che ribolle in continuazione e dal quale pensieri, fatti e fantasie saltano fuori senza ordine, senza una regola precisa.
Arcipelago dell'insonnia è un grande romanzo corale, polifonico, che a tratti fa venire in mente L'urlo e il furore e a tratti Pedro Paramo, un libro abitato da "personaggi senza cornice" che vivono fuori dal tempo, con vivi e morti sospesi nella medesima dimensione. Un libro sulla memoria e sulla parola che tiene viva la memoria, perché è la parola che come una bacchetta magica nomina oggetti, persone, animali, gesti, odori e così li fa rivivere nel ricordo.