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sabato 14 agosto 2010

Strani incontri: Xenia Dubinina



Petrozavodsk, Carelia. Una sera qualunque di un febbraio di tre anni fa.
La neve che cade generosa e il freddo che ci avvolge tra le sue spire non appena le porte dell'hotel Severnaya si chiudono alle nostre spalle, sono motivi sufficienti per spegnere ogni curiosità e spingerci ad entrare nel primo ristorante che ci troviamo davanti.
Succede che gli unici posti liberi nel Karelskaya Gornitsa siano quelli ad un tavolo che ospita già
un cliente. E' una signora bionda, sulla cinquantina, china a scrivere su un taccuino. Xenia Dubinina, dirà in un inglese scolastico come il nostro, dopo esserci presentati.

Xenia è un'impiegata del ministero della Tutela e Curatela, ma soprattutto una scrittrice.
Capelli biondi ed occhi azzurri che guizzano curiosi dietro un paio di occhiali, parla lentamente, quasi a scegliere con attenzione le parole più adatte. E' appassionata di jazz nordico (mi cita Tord Gustavsen e Lars Winther, Rasmus H Thomsen e James Uhart) ma il suo sguardo si accende soprattutto quando parla di poesia. Tra i suoi preferiti ci sono Stephen Dunn e Leonard Jacob, ma mi sorprende anche per la conoscenza del nostro Federico Federici. Mi parla di Elena Andreevna Schwartz, Zynaida Sherbakova, Natalja Tuttuyeva, Peter Semenov e Ivan Savin, nomi che mi appunto più per curiosità che per convinzione. Difficile che un domani la loro notorietà possa spingersi molto al di là dei confini di questa regione. E' il suo taccuino ad incuriosirmi, le dico, e così finiamo per parlare un pò di quello che sta scrivendo, una silloge sulla difficoltà di comunicare.
Come diceva Watzlavick è impossibile non comunicare - dice - ma è altrettanto vero che è anche impossibile comunicare "bene", tutto parte da lì. Il linguaggio non è sufficiente, non riesce ad esprimere completamente quello che vogliamo comunicare, si presta a troppi equivoci, ad essere frainteso. Spesso quello che intendiamo noi non è quello che gli altri capiscono.
E' una visione un pò triste - azzardo.
Non saprei, - risponde Xenia - dipende da come si guardano le cose. Forse è solo stimolante. Se è impossibile far capire agli altri quello che vediamo, e quello che sentiamo, usando il linguaggio tradizionale, si tratterà di cercare altre forme di comunicazione.
Come la musica? - le chiedo.
Già, ma non solo. Come la pittura, la scultura... l'arte in genere. E la poesia.
Ma la poesia usa il linguaggio! - faccio osservare alla mia amica.
Solo in apparenza. - mi corregge - La poesia va oltre il linguaggio. E' anche metafora, usa le parole in maniera diversa, le libera, le fa diventare altro. Per me è il modo migliore di comunicare. Ecco, la poesia è come un fiume carsico.

Succede poi che i casi della vita ci portino di nuovo a Petrozavodsk.
La volta successiva incontriamo Xenia al Kaffe Haus vicino al Severnaya, dove ci racconta i progressi del suo lavoro (ora la silloge ha anche un titolo, Dialoghi afasici). La volta dopo siamo ospiti in un ristorante tipico che affaccia sul lago Onega, con un incredibile gruppo canoro di cinque ragazzi che cantano a cappella e sembrano appena usciti da "Happy days" a far da sfondo surreale alla nostra conversazione.
Ora posso dire che Xenia è un'amica, ci sentiamo abbastanza spesso, e seguiamo da lontano la sua avventura letteraria.

domenica 16 maggio 2010

Strani incontri: S.A. Samoilov


Se volete lasciarvi alle spalle la San Pietroburgo da cartolina non dovete far altro che scendere da uno di quei pullman che scaricano i turisti in piazza Sant’Isacco ed abbandonare la compagnia che – dopo aver fotografato da ogni angolazione il monumento a Nicola I – starà già raggiungendo la Cattedrale. Voi, invece, vi dirigerete nella direzione opposta, verso il Palazzo Mariinskj, attraverserete quasi senza accorgervene il Sinij Most e in breve vi troverete immersi in un dedalo di stradine comprese tra i canali Moika e Griboedova che a mio avviso rappresentano l’anima più vera della città.
E’ facile perdersi in mezzo a quei palazzi tutti uguali, sentirsi schiacciati dall’aspetto cupo di quelle facciate fumose che sembrano ancora impregnate dell’aria densa e febbrile di Delitto e Castigo. Strade cupe e silenziose che scorrono tortuose come fiumi carsici, per sfociare all’improvviso in quell’esplosione di luci, voci e colori che è piazza Sennaja.
E’ in una di quelle vie che l’ho incontrato, qualche mese fa.
Eravamo alla ricerca di qualcosa di originale da acquistare, quando mia moglie ha visto quel negozietto di antiquariato nascosto sotto il livello della strada. Lui era un signore alto e robusto che indossava un completo grigio ed un dolcevita nero che gli dava un’aria da esistenzialista, i capelli erano neri e tagliati cortissimi e gli occhi piccoli e scuri come il carbone, che ti fissavano dritto e sembravano volerti frugare dentro. Abbiamo girato un po’ nel suo negozio, curiosando tra oggetti d’epoca e stampe ingiallite, ma quando abbiamo trovato quello che ci sarebbe piaciuto acquistare, un samovar dell’Ottocento, abbiamo scoperto che era troppo caro per le nostre tasche. Prima di uscire ho notato una pila di libri ancora avvolti nel cellophane sul bancone, attratto dalla copertina (una suggestiva veduta di un canale di San Pietroburgo) ho chiesto all’amica russa che ci accompagnava di domandare di che libri si trattasse. S.A. Samoilov ha risposto che erano una raccolta di racconti scritti da lui, i racconti della Moika. Tanto per buttare lì qualcosa ho chiesto se visto l’affinità del titolo ci fosse qualche analogia con i racconti di San Pietroburgo di Gogol e lui, con un mezzo sorriso di cortesia ha risposto di no, che casomai suoi racconti erano più vicini a certe storie di Amy Hempel a Mary Robison. All’epoca non conoscevo quelle scrittrici, ma questo ho preferito tacerlo, limitandomi a restituire al mio interlocutore un sorriso interlocutorio. Per farla breve: ce ne siamo andati acquistando una copia dei racconti della Moika, non prima di essercela fatta autografare dall’autore.
Avevo completamente dimenticato l’incontro con S.A. Samoilov  quando a Pasqua ho ricevuto una mail con gli auguri da Natasha, contenente anche una sua traduzione in italiano di uno dei racconti della Moika. La nostra amica scriveva che nel frattempo il libro aveva vinto un premio letterario per cui si era meritato anche la citazione su un giornale locale e S.A. Samoilov aveva avuto il suo quarto d’ora di celebrità, comparendo in televisione per una breve intervista.


[…] Non gli piaceva trovarsi a conversare con altre coppie. Era una di quelle situazioni che definiva “a rischio di instabilità variabile”. Non sapeva bene perché, ma non si trovava a suo agio. Non riusciva ad essere rilassato, le considerava situazioni dinamiche, dove doveva per forza succedere qualcosa. Aveva sviluppato una strana teoria per la quale in queste circostanze la cosa migliore per lui era quella di mettersi a fare il buffone. Situazione a rischio di instabilità medio-basso, la definiva. Tutti contro uno andava benissimo, nessuna tensione, tutti che si divertivano. Sicuramente meglio - molto meglio - delle situazioni a rischio di instabilità alta, che erano quelle in cui nel bel mezzo di una discussione la donna dell’altra coppia si schierava al suo fianco. Non importava di cosa si parlasse, se di un argomento serio e scherzoso, questo genere di situazioni lui le viveva male. Partiva per la tangente, cominciava ad immaginare scenari e sviluppi futuri che lo avrebbero invariabilmente portato a letto con la moglie o la fidanzata dell’amico di turno, che non avrebbe potuto resistere al suo fascino.
Dimenticavo, probabilmente la situazione più tranquilla sarebbe stata quella in cui tutti parlavano del più e del meno senza che nessuno dovesse per forza innamorarsi di qualcun altro. Ovvio che ci avesse pensato, ma era una situazione che aveva scartato perché non riproducibile nella realtà. Lui non poteva non stare al centro, non era concepibile una discussione dove non fosse lui a menare le danze, non nel suo mondo. […]

[S.A. Samoilov: "Un uomo all'altezza"]