Il mio anno di riposo e oblio – Ottessa Moshfegh
(trad. Gioia Guerzoni)
Feltrinelli editore (I ed. 2018)
Romanzo interessante. Il tema trattato, il disagio esistenziale di una ragazza WASP, bellissima e ricca all'alba del nuovo millennio, sembra la sceneggiatura di un film hollywoodiano e presenta almeno due rischi evidenti: manca di originalità e presta il fianco a semplificazioni e facili cadute nei luoghi comuni (che comunque nel romanzo ci sono, soprattutto nella descrizione dei personaggi secondari). La bravura di Moshfegh consiste nel saper operare una scelta narrativa coraggiosa e controcorrente: il sonno come medicina per superare i traumi e resettare un'esistenza ingarbugliata, mettere la sordina ai sentimenti, scendere per un giro dalla giostra della vita per poi ripartire in maniera diversa. Ma non è tutto qui, con una scrittura essenziale priva di lampi particolari, sostenuta da venature di humor nero che provano a renderla meno scarna, l'autrice riesce a tratteggiare una protagonista dalla personalità complessa, ricca di sfaccettature, che sfugge alle schematizzazioni e si rivela capace di interpretare un ruolo di Bartleby contemporaneo in maniera credibile.
Allargando il ragionamento dal particolare all'universale, ne risulta un romanzo che rappresenta anche un invito a non fermarsi all'apparenza delle cose, alla semplicità che copre la complessità, alla velocità che nasconde la lentezza, al convenzionale che sopraffà l'individualismo.
"Il dolore non è l'unico banco di prova per crescere, mi dissi. Il sonno aveva funzionato. Mi sentivo morbida e calma e sentivo le cose. Era una bella sensazione."