giovedì 8 dicembre 2022

domenica 6 novembre 2022

Museo animale – Carlos Fonseca

La vita, un Infinite Jest.

Storie nelle storie. Museo animale è un'opera notevolissima che guarda a Bolaño, Piglia e forse anche a Cortázar. Un romanzo a strati, archivio di materiali eterogenei che Fonseca governa con scrittura precisa, sebaldiana, inserendo ampie digressioni in una trama caratterizzata, tra l'altro, da una buona "profondità" dei personaggi, spesso caratterizzati da un articolato percorso di vita nel quale si mescolano vero e falso in maniera da non lasciare mai al lettore l'impressione di comprenderli nella loro interezza, così che continuano a suggerire nuove possibilità alla trama.
Storie nelle storie. Tra le pagine di questo libro si perde e ci si ritrova come in un labirinto: storie collegate tra loro, che muovono le une dalle altre, aprendo nuove direzioni senza mai garantire al lettore la loro veridicità. Una narrazione centrifuga, che disorienta ed attrae, un viaggio alla ricerca di un mistero che si moltiplica lungo la strada e che in fondo è soli un pretesto per dipanare i temi cari dell'autore.
Qui si parla di camuffamento e fake news, del ruolo dell'arte e della storia, qui si parla di bellezza e distruzione, della ricerca di identità e delle ossessioni. Qui si parla, come in tutti in grandi romanzi, della vita. Qui si costruiscono mondi.
Storie nelle storie. Storie di gente che ha già scelto la sconfitta e non per questo ha smesso di cercare. Storie di gente che decide di intraprendere un percorso tanto folle, provocatorio e ricco di incognite, quanto affascinante. Storie di naufraghi della vita che seguono un sogno e ne fanno un'idea, sapendo che alla fine della strada non troveranno nulla ma che ne sarà valsa comunque la pena perché cos'è la vita? «un progetto che gli uomini si proponevano per perdere tempo, per nascondere il fatto che le fatiche degli uomini sono inutili, magnifiche ma inutili come le belle piume del fagiano».
La vita è un sogno e «il sogno doveva essere così, un lungo scherzo al quale arrendersi, rassegnati al fatto che solo alla fine capiremo qualcosa.»
Forse.

domenica 16 ottobre 2022

Il peso delle cose – Marianne Fritz

 


Un militare, Wilhelm, che torna dalla guerra per assolvere alla promessa fatta a un commilitone caduto al fronte: sposare Berta, la ragazza dalla quale il defunto aspetta un figlio. Il matrimonio, un nuovo figlio e poi il dramma, la pazzia di Berta, il suo ricovero in un ospedale psichiatrico e il matrimonio di Wilhelm con Wilhelmine, amica della ex-moglie. A questo si riduce la trama de Il peso delle cose, ben poco ma più che sufficiente per fare di questo libro uno di quelli che si definiscono romanzi perfetti, di quelli che si estendono non tanto longitudinalmente quanto in profondità.
Non una parola in più o una in meno, personaggi perfettamente definiti attraverso descrizioni precise come chiodi piantati nella pagina. Berta Faust è «sempre con la testa altrove, mai nel presente», «È l'interiorità. L'interiorità mi manca. Sono troppo superficiale, troppo rivolta all'esterno». Wilhelm, "il sorridente", lo chauffeur, il "vieni-qui", «credeva in tutto e in niente, dubitava di tutto e di niente, era un sognatore nato e non sognava. In breve, era un degno rappresentante della sua nazione». Wilhelmine è una donna dinamica, il contrario di Berta, «per tutto aveva la risposta necessaria» e per lei «ogni cosa ha il suo ordine e il suo posto stabilito».
Oltre che da una precisa caratterizzazione dei personaggi, affidata anche a frasi che ripetono continuamente («qualcosa deve succedere», dice spesso Wilhelmine, «ecco, ecco» è il "mantra" bartlebiano di Berta), il romanzo è attraversato da collegamenti più o meno espliciti, come la musica (l'insegnate di violino, il Danubio blu e il nome di fantasia, Donaublau, della cittadina che fa da sfondo all'azione) e da oggetti che rivestono un ruolo fondamentale nell'economia del racconto, come la catenella con la madonnina di latta.
E poi c'è il non detto, che rimane sullo sfondo ma pesante come un macigno: la Seconda Guerra mondiale, ma soprattutto la società austriaca del tempo, con il suo carico di indifferenza e perbenismo.
Sì, Il peso delle cose è a suo modo un romanzo perfetto, anche perché non spiega ma si limita a descrivere, ci accompagna sull'orlo dell'abisso e ci mostra l'orrore, la solitudine e il vuoto senza esprimere giudizi. Vediamo con gli occhi di Berta, la donna che cerca di proteggere se stessa e i figli dal peso delle cose, soffriamo con lei il fardello di una situazione troppo grande e ineluttabile che sappiamo finirà per schiacciarla.
«Il 14 gennaio 1963 Berta Schrei eliminò dalla sua vita il marito, la parola e il suo spaesamento», così inizia l'ultima pagina del libro. Una frase che in realtà è solo il primo colpo di pala nel terreno, il punto nel quale Marianne Fritz inizia a scavare per una ricerca che la porterà a scrivere migliaia di pagine intraducibili, un progetto sperimentale, uno studio "matte e disperatissimo" con il quale si condannerà alla stessa sconfitta di Berta.

domenica 2 ottobre 2022

Capelvenere – Mikhail Shishkin



Oltre il postmoderno (verso il postrealismo?)

Capelvenere è un grande e raffinato romanzo polifonico articolato su tre macro-storie, quella raccontata dall'interprete che traduce le parole dei migranti che arrivano in un ufficio svizzero, il diario della cantante lirica Bella Dmitrievna e quella di una coppia in crisi, tre storie che costituiscono la trama sulla quale si intrecciano i fili di un ordito ricchissimo espresso con una pluralità di stili, generi letterari e citazioni davanti alle quali il lettore rischia di sentirsi come un guscio di noce in balia delle onde. Trovare la rotta diventa un imperativo per non affogare nelle pagine di Shishkin e seguire le voci dei personaggi è la strada che può aiutarci ad entrare un po' alla volta in sintonia con il romanzo.
Si parla di guerra, di ricordi, di ricerca della bellezza e della felicità e soprattutto – tema ricorrente dell'autore russo – dell'importanza della parola, del potere della narrazione. "Le persone diventano le cose che raccontano", dice uno dei protagonisti: le storie per essere vere, per esistere, devono essere raccontate. Non importa chi sia il narratore, non importa chi siano i personaggi, né che le storie abbiano una logica o che si sviluppino secondo un andamento temporale preciso, perché la parola permette anche di sfuggire alla tirannia del tempo ("liberi di ritornare in qualsiasi punto in qualsiasi momento. E la libertà più dolce è la libertà di ritornare dove sei stato felice").
La parola diventa ancora più importante perché non sappiamo vedere: "noi siamo ciechi dalla nascita, non vediamo niente e non riusciamo a cogliere il nesso degli eventi, l'unità delle cose, come le talpe". Scrivere "perché rimanga almeno qualcosa", perché ciò di cui non si scrive è condannato all'oblio. Scrittura quindi con funzione non solo di testimonianza ma anche salvifica, perché le parole hanno il compito di traghettare i fatti verso "il mare dell'immortalità".

Links
http://www.culturactif.ch/livredumois/mars07shishkin.htm
http://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2019/05/Violazione-dei-confini-del-postmodernismo-Capelvenere-di-Michail-%C5%A0i%C5%A1kin.pdf

 

domenica 25 settembre 2022

Amras – Thomas Bernhard

 


Amras è la periferia della cittadina che ospita la torre nella quale albergano due fratelli sopravvissuti al tentato suicidio del loro nucleo familiare, concluso con la morte dei genitori. Torre come rifugio e come metafora, luogo nel quale i due riflettono sulla vita, ognuno partendo dal proprio punto di vista: Walter da quello dell'artista e l'altro fratello, la voce narrante, da quello dell'uomo di scienza.
I pensieri a cui da voce Bernhard nascono dal buio di un'introspezione attorcigliata su se stessa in maniera patologica; influenzati ed esasperati dalla malattia della madre e dai problemi economici del padre, non contemplano ipotesi di speranza o di salvezza. L'infanzia perduta, la vita vista come un processo di marcescenza che culmina con la morte, l'educazione scolastica che si incarica di distruggere la ricerca di una comunione con la natura verso la quale i due fratelli vorrebbero tendere… Non c'è spazio fuori da sé e l'uomo è costretto a rifugiarsi in se stesso, a vivere all'interno per l'incapacità e impossibilità di comunicare con il mondo, finendo per camminare in un territorio molto vicino alla follia, dove realtà e immaginazione si confondono.
"Siamo stati, già molto presto, respinti da tutto, in cerca di riparo, tutta la vita sempre solo rinchiusi nel nostro ilozoismo."
Famiglia, società, rapporto dell'uomo con la natura… pur essendo questo solo il secondo romanzo di Bernhard, i temi sono già quelli che ne caratterizzeranno la produzione successiva, mentre lo stile è caratterizzato da una prosa "nervosa", con lettere e frammenti che intervallano la narrazione e ben interpretano l'idea di un'anima in frantumi, una scrittura ancora lontana da quella "ossessiva", contorta, fatta di frasi lunghe e ripetizioni continue che rappresenta il marchio di fabbrica dello scrittore austriaco.