domenica 28 settembre 2025

Didascalie a foto d'epoca – Vladislav Otrošenko

 


Didascalie a foto d'epoca – Vladislav Otrošenko
(trad. Mario Caramitti)
Voland editore (I ed. 2007)


L’errore più grande che si possa commettere con Otrošenko è non prenderlo sul serio, riducendosi a una lettura superficiale della sua opera. Certo, gioca con il lettore, e anche le foto che lo ritraggono in questo libro, volutamente eccentriche, sembrano testimoniarlo; ma si tratta solo di una cortina di fumo dietro cui si cela uno scrittore autentico. Sta a noi non fermarci all'apparenza, entrare nel testo per scoprire che c'è molto di più di quello che appare.
Didascalie a foto d'epoca si presenta come un romanzo breve (kniga) costellato di storie sconnesse e paradossali, che sembrano scritte sotto l’influsso dell’ebbrezza. Si tratta di una cronaca familiare incentrata su una strana famiglia di tredici zii dalle basette lunghissime, figli di Annuška, una madre beata e passiva caratterizzata dal disinteresse per il mondo e dalle scarse capacità di comprensione, e Malach, un ometto immortale che vive in un bugigattolo all'interno di una casa sconfinata ("archetipo della Russia fantastica", nelle parole dello scrittore) che sembra estendersi per migliaia di chilometri.
Nonostante venga naturale accostarlo a un testo a metà tra il gogoliano e il realismo magico, la prosa di Otrošenko resta in realtà difficilmente classificabile. Nelle pagine dello scrittore cosacco si respira l’aria del basso Don: un’idea di spazi immensi dove tutto è possibile, un presente infinito in cui spazio e tempo perdono confini e si dilatano in una realtà letteraria che conferisce al racconto una dimensione straniante, capace di disorientare il lettore e risucchiarlo al suo interno. Così le vite descritte appaiono frammentarie, affidando al sogno (e, come nota lo stesso autore in un’intervista, alla dimensione del romanzo) il compito di ricomporle.
Didascalie a foto d’epoca è l’opera di uno scrittore solitario, che persegue con coraggio un’idea di letteratura in dialogo con l’asse di Puškin e Gogol’, alimentandolo con nuova linfa. Ma non solo: per certi versi Otrošenko sembra riprendere anche la scrittura frammentaria  di Pil'njak, trasferendola in una dimensione fantastica.  Anche la matrice mitico-arcaica alla quale attingono entrambi e l'uso sperimentale della lingua sostengono il paragone, pur trattandosi di scrittori collocati in contesti diversi e che privilegiano registi differenti.

venerdì 5 settembre 2025

Paginette – Antonio Pizzuto




Paginette – Antonio Pizzuto
Lerici editore (I ed. 1964)


Paginette rappresenta una tappa fondamentale nel percorso stilistico di Antonio Pizzuto, consolidando e approfondendo la ricerca iniziata con Ravenna. La scrittura di Pizzuto privilegia l’uso dell’imperfetto e dell’infinito storico, creando frasi che mettono in primo piano lo stile rispetto al contenuto. È la lingua, barocchissima e musicale, la vera protagonista, insieme alla costruzione della frase ricca di figure retoriche (paratassi, metafore, neologismi, sineddoche…).
Il contenuto della trama è un filo sottile, quasi secondario rispetto all’elaborazione stilistica. L'oggetto della narrazione è rappresentato dai piccoli frammenti di quotidianità: la vita di ringhiera diventa un microcosmo brulicante di personaggi, chiacchiere e azioni apparentemente insignificanti, un mondo che scorre tra corse per commissioni, amori giovanili e piccole incombenze quotidiane. Al centro di questo universo c’è Lumpi, protagonista instancabile e inquieto, che si muove tra le piccole vicende del suo quartiere. Lumpi e gli altri personaggi appaiono come figure sempre più rarefatte, quasi destinate a scomparire, prefigurando un progressivo dissolversi della presenza umana nella scrittura di Pizzuto.
Paginette è un testo importante, che ben rappresenta la filosofia del suo autore, quell'"anti-storicismo assoluto" che teorizza l'impossibilità di cogliere la realtà del fatti, affidando alla scrittura il compito di fermare l’inafferrabile, anche attraverso il gioco linguistico e stilistico dell'autore.


domenica 31 agosto 2025

I mondi reali – Abelardo Castillo

 



I mondi reali – Abelardo Castillo
(trad. Elisa Montanelli)
Del Vecchio editore (I ed. 1997)


Abelardo Castillo è un cuentista coi controfiocchi, uno dei grandi narratori argentini del secondo Novecento, accostabile – per influenza e intensità – a scrittori come Quiroga o Arlt. In Italia il suo nome circola poco al di fuori delle cerchie specialistiche, ma questa raccolta, pubblicata da Del Vecchio, offre l’occasione di riscoprirlo. I racconti scelti sono tutti di alto livello, con punte sublimi come Il Decurione, un testo capace di condensare in poche pagine la sua visione tragica del mondo.
La voce di Castillo è potente, riconoscibile sin dalle prime righe: nei suoi racconti risuonano echi di Kafka e Poe, ma soprattutto la lezione aspra e visionaria di Roberto Arlt, il suo vero fratello letterario. Da questi modelli trae non tanto suggestioni di stile, quanto un modo di guardare alla realtà come un campo minato di ossessioni, colpe e destini segnati. La scrittura è sorvegliata al millimetro: non una virgola fuori posto, non un aggettivo di troppo. Ogni frase si incastra con la successiva per costruire un congegno narrativo impeccabile, in cui tensione e fatalità si alimentano a vicenda. È una prosa che non indulge mai, che non cerca effetti facili, ma che conquista per rigore e precisione chirurgica.

Dialoghi secchi, pervasi di dolore e inevitabilità, portano i personaggi dei racconti verso il fondo del loro mare. I protagonisti di Castillo sono uomini e donne votati al fallimento: amanti che si tradiscono, adolescenti inquieti, perdenti senza redenzione. Una lunga teoria di anti-eroi che non hanno mai avuto una vera possibilità di vincere la partita con la vita. Il lettore li segue fino all’ultimo respiro con la consapevolezza che la letteratura qui non consola, ma si insinua nel pertugio tra realtà e sogno, spalancando un abisso.

venerdì 15 agosto 2025

Melvill – Rodrigo Fresán

 


Melvill – Rodrigo Fresán
(trad. Giulia Zavagna)
Mondadori editore (I ed. 2022)

La biografia romanzata di Allan Melvill, padre dell’autore di Moby Dick, è l’artificio letterario scelto da Fresán per parlarci della sua idea di letteratura. Un'opera in tre parti, ognuna delle quali raccontata da punti di vista diversi e con un registro originale.
La prima è narrata in terza persona da una voce esterna che potrebbe anche essere lo stesso Herman Melville e ci presenta Allan Melvill come un eroe tragico che rivive il suo passato, "lo splendore della sua sconfitta", dal letto di morte in cui giace alternando deliri a rari momenti di lucidità. Si parla del rapporto padre-figlio ma anche di come il ricordo del padre diventi centrale nello sviluppo futuro della vita del figlio. Si parla, soprattutto, di come la vita abbia bisogno della letteratura: di qualcuno che la "metta in parole", per tramandarla, certo, ma soprattutto per darle "un senso e una spiegazione e una ragion d'essere". Non solo: quando una biografia inventata viene messa sulla carta, diventa vera. Ecco il grande potere della letteratura.
Scrittura e lettura. Perché nella visione di Fresán autore e lettore hanno bisogno uno dell'altro, idea che lo avvicina a un altro gigante del postmoderno quale Vila-Matas.
E poi c'è il viaggio, reale e metaforico: altro tema fondante di questo libro. Il girovagare di Allan Melvill tra Manhattan, Albany e il Grand Tour europeo. Il viaggio dell'eroe alla ricerca di qualcosa fuori e dentro di lui e che per il figlio sarà quello del capitano Achab alla ricerca della sua balena. L'attraversamento a piedi dell'Hudson ghiacciato, che diventa viaggio tra le due rive della lucidità e della demenza.
A questo evento è dedicata la seconda parte dell'opera, Glaciologia, caratterizzata da un registro lirico, raccontata in prima persona da Allan Melvill, con uno stile che sembra evocare quello di Cărtărescu. È una parte ricca di metafore, a iniziare dall'analogia tra la difficoltà e il pericolo di camminare sul ghiaccio e scrivere qualcosa che non è mai stato scritto in precedenza. Qui Fresán si mostra al suo meglio, utilizzando una narrazione sospesa tra prima e seconda persona per esprimere il bisogno di Allan Melvill di essere contemporaneamente l’autore del romanzo della sua vita, ma anche soltanto un personaggio. Il bisogno cioè di essere sia dentro che fuori se stesso.
Peccato che, a mio avviso, Fresán non riesca a proseguire nel crescendo che ha costruito fino a questo punto, e che il romanzo si afflosci proprio nella parte conclusiva che risulta ridondante, stranamente ricca di toni mielosi e anche un po' prevedibile. Se la prima parte dell'opera era stata dedicata alla vita e la seconda al sogno, ora è il momento della morte. La chiusura del cerchio è affidata al richiamo dell'opera di Hermann Melville, con una carrellata di ricordi che va dalla madre per passare ai fratelli, ai figli, all'amico per poi concludersi con il padre, saldando così la fine con l'inizio.
Un finale non all'altezza che però non inficia l'alto livello di un'opera sul potere salvifico della letteratura. Peccato, però, perché avrebbe potuto essere altissimo.

sabato 10 maggio 2025

L'uomo che non voleva piangere – Stig Dagerman

 


L'uomo che non voleva piangere – Stig Dagerman
(trad. Fulvio Ferrari)
Iperborea editore (I ed. 1983)


Molti credono nel destino. Molti non credono in niente. Alcuni credono in tutto. Alcuni credono. Nessuno sa. Nessuno.

Enfant prodige delle lettere scandinave, Stig Dagerman ha una trentina d'anni, li avrà sempre. Scrittore dotato oltre misura, capace di spaziare indifferentemente dal romanzo al racconto senza perdere un briciolo della sua capacità di scrittura. Colpisce, data la giovane età, la conoscenza profonda degli strumenti narrativi: stile e tecnica mai fini a se stessi ma sempre al servizio della trama. Si sa: gli eroi son sempre giovani e belli…
Lo spazio letterario che lo scrittore svedese occupa è quello al confine tra simbolismo e realismo. Echi di Strindberg, Kafka, Faulkner, Camus… ma, appunto, echi. Perché Dagerman parla con la sua voce, scava dentro se stesso, negli abissi dell'uomo e si scontra con le contraddizioni, i muri e i buchi neri che ci contraddistinguono, senza riuscire ad accettarlo.
Una tensione tra realismo e abisso interiore che emerge anche nei racconti contenuti in questa antologia postuma. Materiale eterogeneo, nel quale è difficile trovare un trait d'union, ma materiale di altissimo livello. Non siamo davanti a scarti, abbozzi incompiuti o malriusciti, come spesso succede quando un autore diventa famoso dopo la sua morte, ma a racconti che ben rappresentano la scrittura di Dagerman, sia per la sensibilità che esprimono che per i temi che trattano.
In particolare, l'autore declina il tema dell’incomunicabilità attraverso una serie di situazioni-limite che ben incarnano tensioni profondamente umane. Spesso ad essere centrale non è lo sviluppo della trama, quanto un gesto, un dettaglio, un episodio, che diventa il centro intorno al quale gira la storia, capace di sviluppare una potente tensione psicologica.
Si va dall'incapacità di piangere (nel racconto che dà il titolo alla raccolta), che in realtà esprime il rifiuto di mostrare falsi sentimenti per essere come gli altri, alla ricerca di un'identità (Dov'è il mio maglione islandese?, Apri la porta, Rickard!) . Forti sono soprattutto le riflessioni sul perdono (e sull'idea di colpa), che caratterizzano, tra l'altro, l'intera opera dello scrittore svedese (si pensi a quel gioiello di analisi disperata e disperante che è Il nostro bisogno di consolazione). Così come quelle sulla solitudine, intesa come gabbia dalla quale è impossibile uscire ma della quale solo noi vediamo le sbarre (Mio figlio fuma una pipa di schiuma). E ancora: la compassione, la tensione costante tra speranza e disperazione (Il viaggio del sabato), fino alla tragica consapevolezza della morte degli ideali, dell'impossibilità di salvezza.
Come in un amaro epilogo, lo scrittore lascia che siano i suoi personaggi a dirci tutto, come in questo passaggio da L’ottavo giorno:
"Ma cos'è la libertà se non un luogo dove barattiamo i nostri sogni con qualcosa di peggio?"
Tutto crolla sotto i colpi dell'analisi lucida e spietata di Dagerman, Roma brucia e con lei l'autore dell'incendio.

Stig Dagerman è uno dei grandi autori del nostro Novecento.