"È
solo dopo, quando bambini non si è più, che si capisce come vanno davvero le
cose."
Bambini bonsai è uno strano racconto nel quale si intrecciano le voci di una prima persona e quella di Pepe, il protagonista della storia. Siamo all'interno di una favola
sull’infanzia ambientata in un futuro prossimo quasi distopico, nel quale gli
animali si sono estinti, il clima è cambiato, il mare è una superficie oleosa e
sui resti del cimitero genovese di Staglieno sorge una specie
di baraccopoli. All’inizio il bambino è una specie di pupazzo
carnoso costretto a stare dentro un secchio
d’acqua per il rischio di disidratarsi; il padre, un androide con
parti sostituite da protesi meccaniche, è un uomo fallito perso nella bottiglia
di carrubo e nei sogni musicali e sottomesso alla moglie, una donna dominante e lontana, una bellissima
spagnola sempre pronta a civettare con chiunque.
La figura di adulto con la quale Pepe ha un rapporto privilegiato è zia
Incarnazione, che gli regala modellini di animali e soprattutto la scatola con
il ritratto della bimba dagli occhi di albicocca, regalo che apre a Pepe le
porte del sogno e della fantasia.
Sarà
una grande pioggia a segnare il punto di svolta nella vita del ragazzino, pioggia come rito di passaggio che porta i bambini staccarsi dagli adulti per entrare nella vita
vera come protagonisti. Rito di passaggio anomalo però, perché gli adulti la
temono e si rintanano al chiuso incapaci di fronteggiarla, rivelandosi i veri
immaturi della situazione.
Inutile
riassumere ulteriormente la trama, meglio lasciare al lettore il piacere di
scoprire la teoria di personaggi che animano le pagine del libro: la
piccola Primavera, Petronilla (una specie di Alice nel Paese delle Meraviglie) con
la sua variopinta compagnia di amici e Sofia, soprattutto. Da gustare sono
anche gli episodi poetici e surreali dei quali Zanotti dissemina il percorso: i
sogni premonitori di Pepe, i suoi strani incontri, il lamento del mare morente,
l’utilizzo fantasioso degli animali nelle metafore, i denti di memoria...
Bambini bonsai è stata una lettura sorprendente. La descrizione
fedele del mondo poetico e insieme crudele dei bambini, una parabola moderna
sull’Eden perduto dell’infanzia e sulla rinuncia dolorosa ai sogni che comporta
il passaggio all’età adulta ("mi ero
illuso che crescere significasse solo accumulare cose nuove. Ma ecco che dovevo
aprire gli occhi. Prendere atto che a ogni nuova tappa occorre rinunciare ai
privilegi di quella precedente").
Se ripenso oggi a
quel periodo me lo ricordo tutto affollato di fantasmi, simulacri, nebbie di
immagini. Del resto cosa c’è di concreto nell’infanzia? Persino gli adulti non
sono altro che un sogno che si fa da bambini: è solo dopo, quando bambini non
si è più, che si capisce come vanno davvero le cose, e che non c’è poi tutta
questa differenza.
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