Con questo libro Falco dimostra di
essere uno scrittore coraggioso. Non è semplice, soprattutto in
Italia, confrontarsi con la misura del racconto: saper aprire e
chiudere l'obiettivo della macchina fotografica, accennare i grossi
temi ed approfondire particolari minimi, far intuire senza dire... E
poi il tema: raccontare l'attualità comporta il rischio di scivolare
nei luoghi comuni, nel dire cose scontate. Bene, per quel che mi
riguarda, con “l'ubicazione del bene” Folco ha superato
brillantemente la prova, costruendo una raccolta di racconti
equilibrata, efficace e dolorosa.
Sono storie di gente che prova a
cambiare la propria vita ritagliandosi un'autonomia lavorativa, con
il risultato di finire schiacciata dal peso della realtà, storie di
solitudini, di calma apparente dietro la quale si consumano drammi
domestici. Storie dove i rapporti umani nascono dal bisogno di
frequentarsi per via dei figli, non dalla voglia di condividere, vite
che si incontrano e si uniscono quasi per caso per poi dividersi
senza un motivo. Gli uomini e le donne che abitano questi racconti
sono contemporaneamente vittime e colpevoli per quello che succede,
non è quasi mai possibile tracciare linee nette di divisione, sono
uomini e donne sostanzialmente egoisti, che non vogliono o non
riescono ad interessarsi all'altro perché nessuno si sforza
veramente di capire, ma si limita a semplificare le situazioni per
poter tornare a concentrarsi sui propri bisogni. Nessuna possibilità
di conciliazione o di incontro perché le persone parlano lingue
diverse.
Le storie che Folco, novello
Yeats, racconta fanno tanto più male perché sono vere, perché sono
le storie che costruiscono la nostra quotidianità e nessuno può
chiamarsi fuori.
Esclusi i presenti, s'intende.