sabato 22 febbraio 2014

Quel che impararono gli allievi di Amalfitano


E cos'è che impararono gli allievi di Amalfitano? Impararono a recitare a voce alta. Mandarono a memoria le due o tre poesie che più amavano per ricordarle e recitarle nei momenti opportuni: funerali, nozze, solitudini. Capirono che un libro era un labirinto e un deserto. Che la cosa più importante del mondo era leggere e viaggiare, forse la stessa cosa, senza fermarsi mai. Che una volta letti gli scrittori uscivano dall'anima delle pietre, che era dove vivevano da morti, e si stabilivano nell'anima dei lettori come in una prigione morbida, ma che poi questa prigione si allargava o scoppiava. Che ogni sistema di scrittura è un tradimento. Che la vera poesia vive tra l’abisso e la sventura e che vicino a casa sua passa la strada maestra dei gesti gratuiti, dell’eleganza degli occhi e della sorte di Marcabruno. Che il principale insegnamento della letteratura era il coraggio, un coraggio strano, come un pozzo di pietra in mezzo a un paesaggio lacustre, un coraggio simile a un vortice e a uno specchio. Che leggere non era più comodo che scrivere. Che leggendo s’imparava a dubitare e a ricordare. Che la memoria era l’amore.

[R. Bolaño: "I dispiaceri del vero poliziotto"]

domenica 16 febbraio 2014

Sintesi e analisi

Il problema dei nostri tempi?
Tutto è sintesi, ma manca l'analisi.

(LWV)

sabato 15 febbraio 2014

Parole povere



Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo 
l'altro mette il portafoglio nero 
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro. 

Una sarchia la terra magra di un orto in salita 
la vestaglia a fiori tenui 
la sottoveste che si vede quando si piega. 

Uno impugna la motosega 
e sa di segatura e stelle. 

 Uno rompe l'aria con il suo grido 
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio 
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato 
e io c'ero, ero piccolino. 

Uno cade dalla bicicletta legata 
e quando si alza ha la manica della giacca 
strappata e prova a rincorrerci. 

Uno manda via i bambini e le cornacchie 
con il fucile caricato a sale. 

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera 
Isolina portami un caffè, dice. 

Uno bussa la mattina di Natale 
con una scatola di scarpe sottobraccio 
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato 
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando. 

 Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo 
mentre con l'occhio scoperto piange. 

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti 
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti. 

Una scrive su un involto da salumiere 
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello 
da mettere sulla sua catasta nel bosco 
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa. 

Uno prepara una saponetta al tritolo 
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima 
ma io non l'ho visto. 

Una dà un calcio a un gatto 
e perde la pantofola nel farlo. 

Una perde la testa quando viene la sera 
dopo una bottiglia di Vov. 

Una ha la gobba grande 
e trova sempre le monete per strada. 

Uno è stato trovato 
una notte freddissima d'inverno 
le scarpe nella neve i disegni della neve 
sul suo petto. 

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso 
ma d'inverno è bello quando si confondono 
l'alto con il basso, il bianco con il blu. 

Uno con parole proprie 
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta 
voi dicete sempre di livorare 
ma non dicete mai di venir a tirar paga 
ingegnere, ha detto. Ed è già 
il ricordo di un ricordare. 

Uno legge Topolino 
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio 
e si è fatto in casa una canoa troppo grande 
che non passa per la porta. 

Uno l'ho ricordato adesso adesso 
in questo fioco di luce premuta dal buio 
ma non ricordo che faccia abbia. 

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere 
la parola amen 
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu. 

E io dico che mi piace la parola amen 
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra 
e di pietà dentro il silenzio 
ma io non la metterei la parola amen 
perché non ho nessuna pietà di voi 
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri 
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

[Pierluigi Cappello: "Mandate a dire all'imperatore"]

sabato 8 febbraio 2014

Yasmina Reza - Felici i felici


Scene di vita della borghesia parigina alla ricerca della felicità. 
Sono le coppie le protagoniste di questo libro: coppie di coniugi, di amanti, di amici, coppie più o meno giovani che dialogano senza comunicare. Ognuno dei protagonisti sembra chiuso nel suo mondo, incapace o non interessato a capire veramente il prossimo e il primo episodio del libro dice già tutto. 
Il litigio di una coppia all'interno di un supermercato: l'origine delle divergenze che nasce da un episodio marginale, l'irrigidimento dei contendenti che pur sapendo che la lite può facilmente essere ricomposta preferiscono rimanere sulle loro posizioni, l'inevitabile escalation e poi lo scontro che termina con l'affermazione di uno sull'altro. Affermazione parziale, vittoria di Pirro in una guerra ancora tutta da combattere, in attesa di scrivere un nuovo capitolo dello scontro. Ed a chiosa dell'episodio una riflessione riferita ad una frase del figlio della coppia, “il segreto è ridurre al minimo le pretese di felicità”, che potrebbe anche essere il manifesto dell'intero romanzo. 
Le cose non sembrano andare meglio neppure per le coppie di amanti: in un mondo dominato dall'egoismo, dovo tutti perseguono esclusivamente la ricerca del proprio piacere, è inevitabile che ognuno chieda alla relazione qualcosa di diverso, qualcosa che l'altro non può dargli, perché ognuno ha un'idea diversa di felicità. E lo stesso vale per le coppie di anziani, che pure hanno condiviso una vita: “due persone vivono fianco a fianco e ogni giorno la loro immaginazione li allontana in modo sempre più definitivo”, dice uno di loro. 
Non posso affrontare una discussione seria con mia moglie. Farsi capire è una cosa impossibile. Non esiste. Soprattutto fra marito e moglie, basta una frase per essere messi sotto accusa” dice ad un certo punto uno dei protagonisti. Forse è vero o forse è solo una scusa per non provarci neppure, forse sono proprio i protagonisti del libro che scelgono deliberatamente di non affrontare discussioni serie, di vivere in superficie, senza mettersi in discussione (viene in mente la società liquida di Z. Bauman). In un contesto di questo tipo è logico che tutto sia “fraintendimento e torpore” e che si possa affermare “quello che voglio veramente non si può verbalizzare”. 
In "Felici i felici" Yasmina Reza delinea con la consueta scrittura in punta di penna una galleria di personaggi immaturi, annoiati, volubili, che funzionano solo quando riescono a prendere le cose alla leggera e che non provano il minimo interesse per le sorti degli altri. Superficiali che scambiano il piacere per la felicità, magari dicendosi che “per essere felici ci vuole un talento”, ennesima scusa per evitare di mettersi in discussione.