"La
coerenza non la voglio più. Coerenza vuol dire mutilazione."
Il mio scrittore preferito è
brasiliano ma è nato in Ucraina.
Il mio scrittore preferito è una
scrittrice.
Il mio scrittore preferito è
Clarice Lispector.
Scrive sempre la stessa storia, una
storia di solitudine, un'introspezione letteraria sempre nuova e sempre uguale,
una discesa nelle profondità dell'Io. È
un percorso tra zolfo e incenso, un furioso attorcigliarsi alla ricerca della
natura dell'uomo e delle cose. Un viaggio affascinante eppure impossibile, perché
destinato ad arrestarsi sulla soglia della conoscenza.
Clarice Lispector è una scrittrice
cerebrale. Il suo ambito di ricerca è limitato, limitatissimo: parte dall'oggetto
e si ferma al pensiero dell'oggetto. Alla parola spetterà poi il compito di
tradurre quel pensiero ma Lispector si ferma allo stadio precedente, a quello
che avviene dentro alla persona, a quel calderone nel quale si agitano idee,
sentimenti, esperienze contrastanti e che poi, solo poi, si esprimeranno in qualche
modo. È in quel calderone che Lispector ha scelto di gettarsi, novello Ulisse
che decide di imbarcarsi in un'impresa irrealizzabile ma alla quale non sa sottrarsi.
E così, anche questi racconti non
fanno altro che inserirsi nella scia delle altre opere della grande scrittrice
brasiliana. Non tutti, ovviamente, sono di pari valore, spesso globalmente
rimangono al disotto del livello eccelso dei romanzi, anche perché il limite imposto
dalla forma racconto impedisce loro quell'approfondimento esasperato che è il
marchio di fabbrica di Clarice Lispector. Nonostante ciò, immergersi nel mare
della sua prosa rimane per me un'esperienza unica, che ogni volta mi confonde e
mi inebria perché mi stimola ad arrampicarmi sugli stessi specchi, a seguirla su
un terreno che sembra crollare ad ogni passo.
Parliamo, di nuovo, di un viaggio,
di una discesa degli abissi dell' anima:
"Adesso so tutto su coloro
che cercano di sentire per sapere che sono vivi. – scrive in Ossessione – Intrapresi anch'io questo
viaggio pericoloso, così povero per la nostra terribile ansia. E quasi sempre
deludente. Imparai a far vibrare la mia anima e so che, mentre ciò accade, nel
più profondo del proprio essere si può restare vigili e freddi, appena a
osservare lo spettacolo che abbiamo creato per noi stessi."
Per aggiungere più avanti:
"avevano risvegliato in me la
sensazione che nel mio corpo e nel mio spirito palpitasse una vita più profonda
e più intensa di quella che vivevo.".
Si scende sempre più giù, alla
ricerca della natura più vera, alla ricerca di un assoluto inconoscibile eppure
irrinunciabile.
"Lui mi aveva permesso di
intravedere il sublime e aveva imposto che anch'io mi bruciassi nel fuoco
sacro".
E siamo solo a pagina 30 di oltre
500…
Il cammino che intraprendono i
personaggi di questi racconti è un percorso iniziatico irto di ostacoli. Devono
saper schivare le passioni e contemporaneamente non fare troppo affidamento
sulla razionalità, recuperare la parte più istintuale del loro essere e
continuare a cercare senza mai arrendersi, spogliandosi delle false convinzioni
e delle verità transitorie di cui si sono vestiti durante il percorso,
consapevoli che la strada deve essere percorsa da soli e che anche le parole
non sono in grado di aiutarli in questa impresa.
Un cammino impervio, lungo il
quale, prima o poi, tutti i personaggi finiscono per arrestarsi. Perché è
difficile accettare la solitudine, perché i sentimenti, l'amore, l'odio, la
sofferenza, il possesso…li portano fuori strada, perché credono di essere
arrivati quando invece sono ancora lontani dalla meta, perché si accontentano
di un succedaneo di verità e non vogliono o non sanno andare più in profondità.
Un cammino che è un lento
apprendistato nel quale la conquista della consapevolezza è solo una tappa, per
quanto importante, lungo il percorso di avvicinamento all'essenza delle cose,
un viaggio nel quale non sempre realtà fa rima con verità e la verità e sempre
un po' più in là di dove la cerchiamo, nascosta nel cuore delle cose, un cuore
al quale ci si può avvicinare solo spogliandosi degli strumenti tradizionali
che usiamo per arrivare alla conoscenza. "Era solo bravo a 'comprendere'.
– dice Angela Pralini ne La partenza del
treno – Quella sua intelligenza che la affogava". E ancora: "Ad
Angela Pralini venivano pensieri talmente profondi che non c'erano parole per
esprimerli. Non era vero che si poteva formulare solo un pensiero alla volta: a
lei ne venivano molti che si incrociavano l'uno con l'altro ed erano vari. Per
non parlare dell' 'inconscio' che esplode dentro di me, che tu lo voglia o
meno." E prosegue: "La coerenza non la voglio più. Coerenza vuol dire
mutilazione. Voglio il disordine. Riesco a intuire solo attraverso una veemente
incoerenza. Per meditare mi sono prima distolta da me stessa, e allora
percepisco il vuoto. È nel vuoto che passa il tempo."