Lo
scrittore è un fingitore.
Un caldissimo ultimo dell'anno a
Buenos Aires. Un grattacielo in costruzione con appartamenti destinati all'alta
borghesia argentina nel quale lavora un gruppo di operai cileni che si
apprestano a festeggiare il Capodanno con le loro famiglie. E dei fantasmi,
nudi e coperti di calce, che si aggirano per l'edificio invisibili agli
argentini ma non ai cileni, che però non danno loro particolare importanza.
La struttura di questo romanzo, il
primo del "ciclo urbano" di Aira, non si scosta dal canovaccio che
segue solitamente questo scrittore: c'è la vita quotidiana, sulla quale piove
improvvisamente un elemento dissonante, un ostacolo che produce uno scontro tra
reale e fantastico originando uno scarto improvviso dalla strada maestra. La
trama è obbligata così a procedere su una strada nuova, con risvolti tutti da
decifrare.
Attenzione a sottovalutare Aira,
perché si rischia di perdersi il meglio. Attenzione perché lui è un fingitore
(parafrasando Pessoa): fa di tutto per sembrare ordinario e nascondere la parte
più interessante. Scrittura semplice, trame surreali, romanzi brevi che
pubblica a raffica… il perfetto ritratto dello scrittore pop.
Eppure non è così. Non c'è ironia
nei suoi romanzi o perlomeno l'ironia è la patina di cui, a volte, sono
rivestiti, una patina che è necessario grattar via per entrare davvero nelle
pieghe della storia ed iniziare ad interrogarsi sui simboli e sulle metafore con
cui dissemina le trame dei suoi libri.
In questo caso, ad esempio, il
cantiere potrebbe essere una metafora della scrittura e il bivio al quale si
trova davanti la Patri per partecipare alla festa dei fantasmi potrebbe
rappresentare l'equivalente della scelta dolorosa e inconciliabile tra sentire
e pensare, tra il mondo della fantasia e quello della realtà.
Attenzione lettore: non
sottovalutare César Aira.
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