Un libro strano. Non è tanto la trama – per quanto ricca – il centro del racconto, quanto l'atmosfera che Harrison sa creare, un clima di attesa, straniamento, confusione. Come confusi sono i due protagonisti, persone che arrivate alla mezza età realizzano di non aver costruito nulla e ora non sanno dove dirigere le loro vite. Uno, Shaw, accetta il primo impiego che gli capita ("non un vero lavoro, quello che ultimamente hanno tutti"), l'altra, Victoria ("piena ma anche sprovvista di aspettative"), abbandona Londra per la campagna delle Midlands.
Anime alla deriva perse in un'architettura urbana che sembra svilupparsi senza un piano preciso, quasi ad elevare la provvisorietà a sistema, entrambi saranno destinati ad incontrare sul loro percorso personaggi bizzarri, con parti oscure che aprono sul mistero ed entrambi affronteranno queste situazioni come esperienze normali, senza approfondire più di tanto, senza provare davvero a capire chi siano quegli uomini-pesce, creature atlantidee che fanno capolino dietro ogni loro incontro.
Toccherebbe a Shaw e Victoria il compito di tirare le reti che l'autore ha calato nel romanzo e portare alla luce il significato, ma loro non lo fanno e proprio in questa postura rinunciataria sta un degli aspetti importanti del libro. Viene da pensare che forse Shaw e Victoria siamo noi, abitanti di questi strani anni, incapaci di indagare la realtà che abbiamo davanti o forse troppo confusi per provare a farlo. Prigionieri nella nostra bolla, incapaci di condividere e aprirci all'altro, eppure condannati ad andare avanti ("gli sembrava sempre di non avere colto un messaggio d'importanza cardinale", scrive Harrison a proposito di Shaw. E più avanti, riferendosi ad un altro personaggio: "era un uomo in cerca di motivazioni: non le trovava mai eppure agiva).
Andare avanti, perché non si può fare altrimenti; così i personaggi di Harrison (noi) si rassegnano a fare i passeggeri di un autobus che non sanno dove conduca e da chi sia guidato, limitandosi a guardare ogni tanto fuori dal finestrino concedendosi qualche sospiro, a volte di rimpianto, spesso per abitudine.
Anime alla deriva perse in un'architettura urbana che sembra svilupparsi senza un piano preciso, quasi ad elevare la provvisorietà a sistema, entrambi saranno destinati ad incontrare sul loro percorso personaggi bizzarri, con parti oscure che aprono sul mistero ed entrambi affronteranno queste situazioni come esperienze normali, senza approfondire più di tanto, senza provare davvero a capire chi siano quegli uomini-pesce, creature atlantidee che fanno capolino dietro ogni loro incontro.
Toccherebbe a Shaw e Victoria il compito di tirare le reti che l'autore ha calato nel romanzo e portare alla luce il significato, ma loro non lo fanno e proprio in questa postura rinunciataria sta un degli aspetti importanti del libro. Viene da pensare che forse Shaw e Victoria siamo noi, abitanti di questi strani anni, incapaci di indagare la realtà che abbiamo davanti o forse troppo confusi per provare a farlo. Prigionieri nella nostra bolla, incapaci di condividere e aprirci all'altro, eppure condannati ad andare avanti ("gli sembrava sempre di non avere colto un messaggio d'importanza cardinale", scrive Harrison a proposito di Shaw. E più avanti, riferendosi ad un altro personaggio: "era un uomo in cerca di motivazioni: non le trovava mai eppure agiva).
Andare avanti, perché non si può fare altrimenti; così i personaggi di Harrison (noi) si rassegnano a fare i passeggeri di un autobus che non sanno dove conduca e da chi sia guidato, limitandosi a guardare ogni tanto fuori dal finestrino concedendosi qualche sospiro, a volte di rimpianto, spesso per abitudine.