Prendete una cartina geografica dell’Europa, armatevi di penna e righello e collegate con un tratto di biro Atene a Copenaghen. A questo punto congiungete la capitale greca e quella danese a Cabo S. Vicente, la punta più meridionale del Portogallo. Avrete ottenuto un bel triangolo, le cui bisettrici, centimetro più centimetro meno si incontreranno all’altezza della città ligure della Spezia.
La Spezia non è uno di quei posti dove si arriva per caso, chi va lì lo fa perché decide di andarvi. Certi (pochi) ci possono finire per motivi di lavoro, i più perché attratti dai panorami delle Cinque Terre, di Lerici o Portovenere; ecco, io invece alla Spezia ci sono andato per curiosità, per capire se ci fosse un senso nelle cose, per vedere che razza di posto fosse quello che il fato o chi per lui si era divertito a porre al centro di quello che chiamo Il Mio Triangolo Magico, quello formato dalle due città in cui sono cresciuto (Atene e Copenaghen, appunto) ed il luogo per me più carico di pathos: Cabo S. Vicente, la porta dell’Europa.
Capita così che in un sabato qualunque mi trovi seduto in uno dei tanti bar che stanno dietro alla passeggiata a mare, ad oziare leggendo il giornale, una di quelle mattine che si trascinano con l’indolenza delle stagioni di passaggio, quando non è più estate ma non ancora autunno, e mi trovi ad assistere ad una delle più assurde conversazioni che io ricordi. E’ un amico italiano a spiegarmi il motivo dell’animazione che sta prendendo forma al tavolino a fianco del nostro.
- E’ cominciato tutto quindici giorni fa, - mi dice - quando qualcuno ha letto sul giornale che il Don Chisciotte era stato giudicato da non so quale giuria internazionale il libro più bello di tutti i tempi. Sai come vanno queste cose, uno dice una cosa, un altro risponde con una battuta e via così. In sostanza sembra che i protagonisti del contenzioso siano quei due signori che vedi seduti uno in fronte all’altro. Quello più giovane con gli occhiali tondi ed un filo di barba è quello che sostiene la grandezza del romanzo di Cervantes mentre l’altro, quel signore dai capelli bianchi e dalla voce baritonale non sembra dello stesso avviso. Fin qui niente di strano, - spiega il mio amico - ad ogni latitudine il bar è da sempre luogo di discussioni anche accese (anche se raramente di argomento letterario) il punto è che sembra che durante la conversazione di due settimane fa il signore meno giovane si sia lasciato un po’ prendere la mano, dicendo qualcosa che forse avrebbe fatto meglio a non dire, qualcosa a proposito del fatto che lui insegnava lettere al Liceo Classico da più di vent’anni ed aveva certo più autorità per discutere di un argomento del genere di quanta ne avesse il suo interlocutore, geometra comunale. Ovvio che il giovanotto non potesse lasciar correre e replicasse per le rime. In breve: la discussione si era spostata sul personale. Ad aggiungere ancora un po’ di pepe alla cosa, sembra che qualcuno avesse pensato bene di coinvolgere un avvocato lì presente, più noto come habitué dei bar del centro che del foro spezzino, il quale, tanto per fare il brillante e darsi un po’ di tono, avrebbe invitato i due a rinfoderare gli artigli e prepararsi argomenti validi per una pubblica discussione che avrebbe dovuto aver luogo esattamente due settimane dopo, naturalmente al suo cospetto di giudice imparziale.
Ed eccoci allora seduti ad un tavolino di un anonimo bar della Spezia sotto un pallido sole del mezzogiorno settembrino, pronti ad assistere ad un’insolita contesa sulla rilevanza o meno del Don Chisciotte nella storia della letteratura di tutti i tempi. Quella che segue è la descrizione quasi fedele di come si sono svolti i fatti, non tanto perché io sia dotato di una memoria prodigiosa, ma perché la straordinarietà della situazione mi suggerì di mettere in funzione il piccolo registratore che mi accompagna nei miei viaggi. Sì, lo so che non sta bene registrare la gente a sua insaputa, ma converrete che il mio è stato un peccato veniale: troppo ghiotta era la situazione perché uno curioso come me potesse lasciar perdere…
La Spezia non è uno di quei posti dove si arriva per caso, chi va lì lo fa perché decide di andarvi. Certi (pochi) ci possono finire per motivi di lavoro, i più perché attratti dai panorami delle Cinque Terre, di Lerici o Portovenere; ecco, io invece alla Spezia ci sono andato per curiosità, per capire se ci fosse un senso nelle cose, per vedere che razza di posto fosse quello che il fato o chi per lui si era divertito a porre al centro di quello che chiamo Il Mio Triangolo Magico, quello formato dalle due città in cui sono cresciuto (Atene e Copenaghen, appunto) ed il luogo per me più carico di pathos: Cabo S. Vicente, la porta dell’Europa.
Capita così che in un sabato qualunque mi trovi seduto in uno dei tanti bar che stanno dietro alla passeggiata a mare, ad oziare leggendo il giornale, una di quelle mattine che si trascinano con l’indolenza delle stagioni di passaggio, quando non è più estate ma non ancora autunno, e mi trovi ad assistere ad una delle più assurde conversazioni che io ricordi. E’ un amico italiano a spiegarmi il motivo dell’animazione che sta prendendo forma al tavolino a fianco del nostro.
- E’ cominciato tutto quindici giorni fa, - mi dice - quando qualcuno ha letto sul giornale che il Don Chisciotte era stato giudicato da non so quale giuria internazionale il libro più bello di tutti i tempi. Sai come vanno queste cose, uno dice una cosa, un altro risponde con una battuta e via così. In sostanza sembra che i protagonisti del contenzioso siano quei due signori che vedi seduti uno in fronte all’altro. Quello più giovane con gli occhiali tondi ed un filo di barba è quello che sostiene la grandezza del romanzo di Cervantes mentre l’altro, quel signore dai capelli bianchi e dalla voce baritonale non sembra dello stesso avviso. Fin qui niente di strano, - spiega il mio amico - ad ogni latitudine il bar è da sempre luogo di discussioni anche accese (anche se raramente di argomento letterario) il punto è che sembra che durante la conversazione di due settimane fa il signore meno giovane si sia lasciato un po’ prendere la mano, dicendo qualcosa che forse avrebbe fatto meglio a non dire, qualcosa a proposito del fatto che lui insegnava lettere al Liceo Classico da più di vent’anni ed aveva certo più autorità per discutere di un argomento del genere di quanta ne avesse il suo interlocutore, geometra comunale. Ovvio che il giovanotto non potesse lasciar correre e replicasse per le rime. In breve: la discussione si era spostata sul personale. Ad aggiungere ancora un po’ di pepe alla cosa, sembra che qualcuno avesse pensato bene di coinvolgere un avvocato lì presente, più noto come habitué dei bar del centro che del foro spezzino, il quale, tanto per fare il brillante e darsi un po’ di tono, avrebbe invitato i due a rinfoderare gli artigli e prepararsi argomenti validi per una pubblica discussione che avrebbe dovuto aver luogo esattamente due settimane dopo, naturalmente al suo cospetto di giudice imparziale.
Ed eccoci allora seduti ad un tavolino di un anonimo bar della Spezia sotto un pallido sole del mezzogiorno settembrino, pronti ad assistere ad un’insolita contesa sulla rilevanza o meno del Don Chisciotte nella storia della letteratura di tutti i tempi. Quella che segue è la descrizione quasi fedele di come si sono svolti i fatti, non tanto perché io sia dotato di una memoria prodigiosa, ma perché la straordinarietà della situazione mi suggerì di mettere in funzione il piccolo registratore che mi accompagna nei miei viaggi. Sì, lo so che non sta bene registrare la gente a sua insaputa, ma converrete che il mio è stato un peccato veniale: troppo ghiotta era la situazione perché uno curioso come me potesse lasciar perdere…
[Lars W. Vencelowe: "di una strana discussione ascoltata in un bar del centro"]
3 commenti:
beh ? e ci lasci cosi ?
Hai ragione, ma in un post posso mettere solo l'inizio di un racconto, non tutta la storia. Ho visto che altri blog permettono di proseguire la lettura su altre pagine, ma sul mio ancora non sono riuscito a farlo.
LWV.
Oh, no! E il resto?
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