Capitolo quinto.
Di
quello che accadde il mattino successivo, della colazione e della
chiacchierata di Marcenda con l’ingegner de Campos e con il giovane
dottore italiano
Il
mattino coglie il giovane dottore già in piedi davanti allo specchio
del bagno, impegnato a passare sapone e pennello lungo le curve del
viso per attendere al rito della rasatura. E se abbiamo detto rito,
rischiando di scivolare sul più classico dei luoghi comuni, non è
tanto perché il dottor Lupi riconosca a questo momento la solennità
di una funzione sacra, quanto perché lo ha sempre affrontato con la
medesima indolenza di un bambino costretto dai genitori a partecipare
ad una Messa, che non si vede l’ora che termini. Ma il nostro amico
è prima di tutto persona ligia ai costumi ed anche un po’
abitudinaria, e sa bene che un uomo con la barba lunga è sinonimo di
trasandatezza, ragion per cui mai ha pensato di venir meno a quello
che considera un suo dovere e che assolve diligentemente a giorni
alterni da otto o nove anni a questa parte con la cadenza di un
metronomo. Eppure, nonostante quello che abbiamo appena detto, si
direbbe che questa mattina sia nata diversa da quelle che l’hanno
preceduta e che oggi la parola rito accostata alla rasatura abbia per
la prima volta un sapore che è più vicino alla cerimonia che alla
seccatura. L’occhio allenato sa cogliere i segnali più
insignificanti, è per questo che ci è bastato osservare come il
dottor Lupi ha alzato lo sguardo verso lo specchio, l’attenzione
che ha dedicato al profilo riflesso nel vetro, per intuire che ci
doveva essere qualcosa di speciale nell’aria. Ha squadrato dapprima
la guancia destra, poi la sinistra, carezzandosi il viso con la mano
come se fosse la prima volta che lo guarda davvero, poi ha sollevato
un poco il mento per osservare più attentamente il il collo,
allontanandosi ed avvicinandosi come a prendere meglio le misure, con
quell’espressione seria di chi ha qualcosa che comincia a
frullargli nella testa. Strano, perché fino ad ora il giovane
dottore italiano non era mai cascato nel narcisismo, dedicando allo
specchio l’attenzione minima per rendersi presentabile, lasciando
che fossero altri a godere del piacere di indulgere in frivolezze
quali il controllare e ricontrollare la pettinatura fino a che anche
l’ultimo capello andasse al posto giusto o peggio ancora
l’aspergersi a piene mani di dopobarba, profumi o quant’altro.
Fino ad ora, dicevamo, perché quando questa mattina il dottor Lupi
ha messo mano al rasoio con la sicurezza di chi aveva preso una
decisione irrevocabile, quella di non procedere lungo le curve del
viso con l’usuale fretta, rasando a tappeto la barba su tutto il
volto, ma di risparmiare un filo di barba e baffi per farli crescere
con cura e pazienza fino a quando non assumeranno la dignità di
pizzetto. Non è un barbone incolto come quello di Jusep Campalans,
ciò che il nostro giovane amico ha in testa, che anche volendo il
dottor Lupi non sembra fornito di un’altrettanto folta peluria sul
viso per poterselo permettere, ma un filo di baffi da far scendere
lungo le guance per unirsi al pizzo, come Ramon Jimenez. Attenzione
però, che la citazione del poeta di Moguer e del pittore catalano
non deve autorizzare il lettore a ritenere che la decisione del
giovane dottore italiano sia condizionata in qualche misura dai
commensali conosciuti alla cena di ieri sera, noi siamo certi che nel
momento in cui ha deciso di modificare il profilo del suo volto il
nostro amico non voleva assomigliare né all’una né all’altra
delle persone cha abbiamo appena nominato, diverso invece è dire se
il pensiero che ha armato la sua mano possa avere a che fare con
qualcun’altra delle persone che sedevano allo stesso tavolo.
Pensiero forse malizioso e sul quale preferiamo non pronunciarci dato
che probabilmente in questo momento neppure il giovane dottore
conosce le ragioni che stanno dietro una scelta apparentemente così
banale come quella di lasciarsi crescere il pizzetto, le ragioni
dell’intelletto intendiamo dire, che se decidessimo di scandagliare
le ragioni del cuore, quelle che reggono le briglia della fantasia,
il discorso rischierebbe di complicarsi un po’ troppo.
E’
mattina, abbiamo già detto, ed anche Marcenda Sampaio è in piedi
davanti allo specchio del bagno a mirare e rimirare il suo bel visino
con più attenzione del solito. Niente di male, è una giovane di
venticinque anni che fra poco dovrà salire a fare colazione con
persone conosciute solo la sera prima e con le quali non ha ancora
confidenza, normale che voglia presentarsi in ordine, logico che si
soffermi un po’ più del solito sul contorno degli occhi per
cercare di scoprire e poi cancellare i segni di una notte fatta di
risvegli frequenti, niente da eccepire se si sforza di nascondere con
un po’ di crema un foruncolo infinitesimale spuntato proprio nel
bel mezzo della fronte. Eppure la nostra impressione, ci sia
perdonato l'azzardo, è che oggi la signorina Sampaio indugi più del
solito nella cura della sua persona, anche nell’aggiustarsi quella
ciocca di capelli, nello sforzarsi di farla cadere con finta
nonchalance, nel cercare di dare l’apparenza di casualità ad un
gesto che è invece calcolato e voluto. Oggi la ragazza dal collo
lungo e sottile si guarda nello specchio cercando di capire che
impressione farà alle persone che incontrerà a colazione, oggi
Marcenda si culla nella speranza infantile di potersi vedere con gli
occhi di un altro. Ci spiace deludere una ragazza così carina, ma
tra i nostri compiti di voce narrante c’è anche quello di
ricordare che nella realtà a nessuno è concesso il privilegio di
indossare i panni di un altro, e che dobbiamo accontentarci di vivere
nella nostra pelle tenendoci tutti i dubbi e le incertezze su cosa
gli altri vedranno quando ci guarderanno. Ci spiace frustrare le
ambizioni della ragazza portoghese rammentando che è inutile riporre
tanta fiducia nello specchio, ci darà solo risposte ingannatrici,
perché quando lo interroghiamo non lo facciamo solo con gli occhi ma
anche con un sacco di altre cose che abbiamo dentro di noi, sogni,
ricordi, speranze, paure, ansie, un pentolone incandescente di
emozioni che finirà per farci vedere come enorme un brufoletto che
gli altri neppure noteranno o giudicare elegante e vezzoso un
ricciolo che scende sul volto ma che in realtà è più da donna
matura che da ragazza, un ricciolo che magari crediamo di aver scelto
perché ci fa più belle mentre in realtà abbiamo deciso di
lasciarlo cadere in quel modo perché ci ricorda nostra madre. E se
qualcuno ha dei dubbi su quello che stiamo dicendo, gli suggeriamo di
registrare su di un nastro la propria voce e poi di riascoltarla, ci
saprà dire cosa ne pensa, se era quella la voce con cui credeva di
aver sempre parlato o se piuttosto ne è rimasto stupito, per non
dire deluso. In fondo è sempre la stessa storia della trave e della
pagliuzza, possiamo giudicare gli altri con lucidità, ma quando si
parla di noi la montagna da scalare diventa un po’ troppo ostica.
Anche se per qualcuno può essere risultata noiosa, la digressione
sullo specchio e sulle aspettative di Marcenda è servita se non
altro per permettere alla ragazza di uscire dal bagno dopo aver
ultimato le operazioni del trucco, non sperate di vederla già fuori
dalla sua cabina però, che al tempo che ha dedicato alla cura della
persona dovremmo ora sommare quello necessario per la scelta
dell’abito, camicia bianca e gonna azzurra si direbbe a giudicare
dalla mise che ha preparato sul letto, ma è lecito supporre che la
decisione definitiva di Marcenda arriverà solo dopo due o tre prove
davanti allo specchio, sempre lui, giudice supremo e quanto mai
umorale. Quando la nostra volubile amica avrà finalmente deciso cosa
indossare, dovremo calcolare ancora un altro po’ di tempo per la
vestizione, considerando quanto può essere difficoltosa per una
persona come lei, costretta ad utilizzare una sola mano aiutandosi
come può con il polso dell’altra, e fortuna, se di fortuna si può
parlare, che non è stata la mano destra a subire la paralisi. Se a
tutto ciò aggiungiamo che la ragazza dal collo lungo e sottile ha
già dato dimostrazione di non essere proprio ligia al rispetto degli
orari, ecco spiegato come sia possibile che l’imponente pendola
della nave batta le nove e mezzo nel momento esatto in cui Marcenda,
finalmente, attraversa la hall centrale dell’Higland Monarch.
Nessun problema però, questa volta la signorina Sampaio non si
metterà a correre lungo il corridoio delle cabine, ieri sera il
signor Burton le ha detto che la colazione verrà servita dalle otto
alle dieci, quindi sa di fare tranquillamente in tempo. Per fortuna
che una colazione non è una cena e non ci sono obblighi così rigidi
di orario, ragion per cui l’idea di essere ancora una volta
l'ultimo dei commensali a prendere posto a tavola non la preoccupa
più di tanto. E se Marcenda non tradisce nessuna apprensione per il
ritardo, non v’è ragione che lo si faccia noi, è per questo che
ci concederemo il lusso di perdere ancora qualche minuto per
descrivere meglio la nave sulla quale stiamo viaggiando.
Come
abbiamo detto l’Highland Monarch è una delle imbarcazioni che
fanno la spola tra i due capi dell’Oceano Atlantico per conto delle
Regie Linee inglesi, come le sorelle Highland Chieftain ed Highland
Brigade, uscite dai medesimi cantieri di Harland e
Wolff a Belfast
ed identiche in tutto e per tutto a lei. E’ una nave che stazza
millequattrocento tonnellate, che può sviluppare una velocità di
quindici nodi ed è in grado di accogliere centocinquanta passeggeri
in prima classe, settanta in seconda e quasi cinquecento in terza.
Dalle cabine si accede direttamente al ponte di coperta, anche detto
ponte di re Giorgio V, lungo il quale si incontrano la lavanderia, il
parrucchiere, la farmacia e l’ambulatorio medico. Salendo al piano
superiore c’è il ponte dei saloni, o ponte di re Edoardo VII, con
la sala da pranzo, un bar, il salone delle feste ed anche una piccola
ma attrezzata biblioteca, ancora più su si raggiunge il ponte di
passeggiata, o ponte della regina Vittoria, che da poppa a prua da
accesso al lido, al ponte degli sport dove è ospitata anche una
piscina ed al ponte del sole. Fatta questa breve precisazione che ci
permetterà di orientarci meglio nei nostri spostamenti sulla nave,
torniamo a Marcenda, che raggiungiamo proprio mentre sta per fare il
suo ingresso in sala da pranzo.
La
sala pranzo al mattino sembra più grande, c’è poca gente ai
tavoli e molto meno confusione, il chiacchiericcio insistente di ieri
sera è un ricordo lontano che fa apprezzare di più l’atmosfera
rilassata della colazione. Questa mattina anche il giovane dottore
sembra meno ingessato e più a suo agio rispetto a come ci era
apparso ieri sera, almeno a giudicare da come parla fitto fitto con
l’ingegner de Campos. Marcenda è giunta alle loro spalle ed
approfittando del fatto di non essere stata ancora notata dai due può
apprezzare come anche il tono di voce del dottor Lupi sia più sicuro
rispetto a quell’incerto titubare che aveva esibito al momento
della presentazione al cospetto degli altri commensali, C’era
questo gatto che cercava di uscire di casa ed io che cercavo di
impedirglielo, sta dicendo il dottore italiano, un sogno stranissimo,
con lui alla ricerca di un varco tra le mie gambe e la parete ed io
impegnato a cercare di chiuderglielo ogni volta, siamo andati avanti
così per un po’, fino a quando l’ho costretto in un angolo, e
quando lui si è reso conto di non avere più spazio si è lasciato
prendere in braccio, sembrava tranquillo, ma appena l’ho stretto al
petto mi ha graffiato, chissà che cosa vorrà dire, che significato
può avere un sogno di questo tipo, Anch’io sogno, interviene
allegramente Marcenda, sbucando alle spalle dei due e prendendo posto
a tavola senza perdersi in saluti di maniera, sogno quasi tutte le
sere però il mattino seguente non ricordo quasi mai i sogni che ho
fatto, è un peccato. A questo punto ci permettiamo un breve inciso
per avvertire il lettore che le parole di Marcenda non sono proprio
veritiere, il fatto è che la ragazza portoghese più che non
ricordare i sogni preferisce non raccontarli, almeno per quanto
riguarda uno di essi. Ci riferiamo a quello fatto il giorno
successivo alla morte della madre, quando sognò che dopo avere
stretto un’infinità di mani a parenti e conoscenti che le
porgevano le condoglianze, sentì che piano piano la mano perdeva la
sensibilità, poi si faceva sempre più pesante sino a non riuscire
più a sollevarla. Sarebbe stato un sogno strano o magari anche
bizzarro ma niente più, se non fosse che il mattino seguente la
manina della ragazza era davvero addormentata, priva di sensibilità,
morta. E poco importa che si trattasse della sinistra invece che
della destra.
Potremmo
continuare la narrazione dando conto delle parole dell’ingegnere de
Campos e di quelle in risposta del dottor Lupi, ma se ci limitassimo
ad esporre come si sviluppa la conversazione ci sembrerebbe di
tralasciare qualcosa, di attenerci fedelmente al nostro ruolo di
testimoni dei fatti senza però descrivere la situazione nella
maniera più completa. A volte il non detto ha la medesima importanza
di quello che si dice, se non di più, e se è vero che le parole
sono l’unico tramite che la nostra mente ha per esprimersi, è
anche vero che a volte quello che succede nelle profondità del
nostro animo, i sentimenti, le emozioni, i sogni e quant’altro, si
esprime verbalmente solo in un secondo momento, quando cioè anche
l’intelletto ha metabolizzato questo materiale ed ha ritenuto di
poterne dare comunicazione all’esterno. Prima, quando il cervello o
chi per lui non ha ancora messo ordine e dato il via libera alla
voce, quello che si muove scompostamente nell’animo si manifesta
attraverso segnali non verbali, che l’occhio esperto può
riconoscere in certi movimenti quasi impercettibili delle spalle,
nella leggera ma fastidiosa sudorazione delle mani e ancora nel
giocherellare nervoso con le posate e in molte altre maniere che, ne
siamo certi, il dottor Lupi non mancherà di farci conoscere. Sì, è
del giovane dottore italiano che parliamo, per dire, se non fosse
ancora sufficientemente chiaro, che nonostante la loro frequentazione
sia così recente, o forse proprio per questo, la presenza della
signorina Sampaio ha il potere di metterlo in imbarazzo più di
quanto dicano le parole. E perché lei voleva impedire a quel povero
gattino di uscire di casa, chiede l’ingegner de Campos con il tono
di cortesia tipico di chi è poco o nulla interessato all’argomento
ma visto che non si può sottrarre alla chiacchierata si diverte se
non altro a mettere in difficoltà l’interlocutore, Credo che
volessi proteggerlo, forse temevo che uscendo di casa potesse correre
qualche pericolo, O piuttosto voleva impedirgli di fuggire, magari
quello che cercava di fare in sogno era imprigionarlo e reprimere la
sua naturale vocazione alla libertà, continua l’ingegnere
compiaciuto per la facilità con la quale riesce a mettere in
imbarazzo il giovane dottore. Non saprei, è la risposta di un dottor
Lupi un po’ sorpreso da un affondo così diretto ed insieme
preoccupato di che idea Marcenda può farsi di lui, certo, è
possibile che la mia preoccupazione di proteggerlo fosse eccessiva,
ma il punto è un altro, è il significato globale del sogno che mi
sfugge. Ci perdoni il lettore se ci prendiamo la libertà di inserire
una nuova digressione, ma visto che il nostro amico ci sembra un po’
in difficoltà vogliamo concedergli una pausa di riflessione, utile
anche a spiegare come a volte sia sufficiente la presenza di una
bella ragazza per trasformare quella che in apparenza doveva essere
una innocente chiacchierata mattutina uguale a mille altre in una
specie di partita a scacchi, se non altro questo è quello che
succede nella testa del giovane dottore italiano che a dire il vero
il meno giovane ingegnere portoghese non sembra per nulla interessato
a giocarla questa partita. Il gatto è un simbolo di libertà,
interviene Marcenda lasciandosi coinvolgere dal gioco, potrebbe
rappresentare la sua parte più istintiva, quella meno razionale che
cerca di emergere, di rendersi visibile, Vedo che anche lei concorda
con il nostro giovane dottore, osserva l’ingegner de Campos, sul
fatto che dietro ogni sogno ci debba sempre essere un significato, io
in tutta franchezza devo confessare che per quanto affascinanti non
condivido le vostre supposizioni, Veramente questa non è una mia
teoria, il fatto che i sogni siano il nostro inconscio è il dottor
Freud a dirlo, si difende il dottor Lupi rinfrancato dall’aver
trovato una citazione dotta con cui fare argine alle argomentazioni
dell’ingegner de Campos, e se noi riusciamo a leggerli scopriamo un
po’ più di noi stessi, Mah, questo è tutto da vedere, per me i
sogni sono sogni e basta, capisco la voglia di sapere di più, di
trascendere, che è tipica dell’animo umano, ma credo che questa
trovata dell’interpretazione dei sogni si regga su un errore
logico, Cosa vuol dire esattamente, domanda il dottor Lupi, Voglio
dire che anche assumendo per vero che il sogno appartiene
all’inconscio, a qualcosa che risiede nelle profondità del nostro
spirito, non comprendo perché mai si cerchi di darne spiegazione
usando strumenti come la logica, il ragionamento, che mi risultano
essere propri della coscienza, Ma perché quelli sono gli unici
strumenti che abbiamo a disposizione, non ce ne sono dati di diversi,
risponde il giovane dottore, che a questo punto della partita
firmerebbe immediatamente per una patta, Il mio pensiero è che
l’interpretazione dei sogni e questa psicoanalisi alla quale lei mi
pare così interessato non siano altro che uno dei tanti modi che
l’uomo mette in atto nel suo folle tentativo di arrivare a
comprendere l’assoluto, di travalicare i suoi limiti e spingersi
oltre il mondo fisico, c’è chi adopera per questo scopo la
religione, chi la scienza, che si spinge sino ad utilizzare
l’alchimia, figuriamoci se mi scandalizza il fatto che ci sia
qualcuno che inventa nuove maniere, per parte mia non posso altro che
dire, prego, si accomodi, c’è ancora tanto posto, l’unica cosa
che chiedo è che mi sia permesso dissentire e guardare a tutti
questi tentativi con spirito scettico, E la poesia allora, dice il
giovane dottore con l’espressione di quello che crede di aver
trovato la battuta arguta in grado di farlo uscire dall’angolo nel
quale l’aveva confinato l’eloquenza del suo interlocutore, anche
la poesia, anche la sua poesia, non è forse un modo di trascendere,
un tentativo di andare oltre, Non vorrei deluderla ancora, replica
con un sorrisetto l’ingegnere, mi creda che apprezzo sinceramente
la tenacia e la passione con le quali espone le sue idee e non trovo
nessun divertimento nel raffreddare tanto entusiasmo, ma innanzitutto
devo rammentarle che come ho gia avuto modo di dire alla cena di ieri
sera la poesia è per me un verbo che ormai si coniuga solo al
passato, quanto poi all’averla utilizzata per esplorare un oltre
oscuro, devo confessare che se è successo io non me ne sono mai
accorto, dato che più che guardare fuori con i miei versi ho sempre
cercato di guardare dentro di me, di esplorare il mio animo, che come
vede è qualcosa di un po’ diverso da quello che lei immaginava,
Eppure, ribatte il dottor Lupi, perdoni la mia insistenza, lei è il
poeta dell’Ode Marittima, quello che scriveva di voler esplorare
tutto, di voler partire alla ventura, andare verso Lontano, verso
Fuori, verso la Distanza astratta, Ha detto bene, mio giovane amico,
scrivevo. Ma scrivevo anche altre cose e visto che lei ha appena
citato un mio passo mi permetta di risponderle con altri versi di
tutt’altro tenore, Come ho potuto pensare, sognare quelle cose?
Quanto sono lontano da quel che sono stato poco fa! Isterismo delle
sensazioni, da queste, ora le contrarie! Come vede se ci mettiamo a
fare le pulci alle mie liriche verrà fuori un guazzabuglio tale dal
quale non se ne esce, e badi bene che io per primo ammetto di non
essere stato un campione di coerenza, ma sinceramente non me ne curo,
che non è mai stata questa la mia prima preoccupazione, d’altra
parte la conclusione alla quale sono approdato dopo tanto indagare è
che nessuno, mi creda, sa ciò che veramente sente, e se che quello
che dico le può apparire disarmante me ne dispiace, ma questo è il
mio pensiero, in fondo la poesia è stata per me solo un modo di
esprimere emozioni, un modo di cantare senza musica, come mi
rimproverava il mio amico Ricardo Reis, lui che nelle sue liriche era
invece al servizio dell’Idea. Difficile replicare ad una arringa
come quella dell’ingegner de Campos che quanto ad abilità oratoria
si posiziona parecchie spanne al di sopra del giovane dottore
italiano, forse se fosse presente il signor Jimenez la conversazione
potrebbe arricchirsi di un contributo importante e prendere nuova
linfa, ma come si dice in questi casi con i se e con i ma non si fa
la storia e visto che il poeta di Moguer non è della partita è
esercizio perfettamente inutile immaginare scenari inesistenti. Se
volessimo riassumere la discussione riprendendo l’esempio del gioco
degli scacchi, potremmo dire che all’inizio l’incauto medico
italiano si era cullato un po’ troppo nell’illusione di portare a
casa una facile vittoria, così che il sopraggiungere delle prime
difficoltà unito anche all’intervento di fattori estranei al gioco
lo ha colto impreparato lasciando intravedere crepe vistose nel suo
gioco da farlo ripiegare verso una precipitosa quanto infruttuosa
difesa e proprio quando stava per proporre al suo avversario una
patta magari non esaltante ma perlomeno onorevole, si è trovato
servito sotto il naso uno scacco matto da non lasciare dubbi sui
valori dei due giocatori in campo.
Mentre
divagavamo un po’ con la fantasia, l’ingegner de Campos ha
approfittato della pausa di silenzio del dottor Lupi, ancora
impegnato ad arrampicarsi sugli specchi alla ricerca della mossa che
non esiste, che quella che può salvare da uno scacco matto devono
ancora inventarla, si è alzato, ha inforcato il monocolo ed ha
salutato la compagnia augurando ai due giovani una buona giornata,
dicendo che sarebbe andato a fare quattro chiacchiere con gli
ufficiali di macchina dell’Highland Monarch. L’idea di rimanere
solo con la signorina Sampaio è l’ultima cosa che il dottor Lupi
vorrebbe in questo momento, la sua timidezza cronica associata alla
consapevolezza di essere uscito con le ossa rotte dalla discussione
con l’ingegner de Campos gli consiglierebbero di tagliare la corda
prima possibile, ma purtroppo per lui, o per fortuna, ma questo sarà
solo il resto della storia a dirlo, la ragazza portoghese dal collo
lungo e sottile lo anticipa, tenendolo incollato ad una sedia che
sembra bruciare sotto le sue terga con una domanda solo in apparenza
banale, Ho visto che poco fa lei ha citato un passo di un’opera
dell’ingegner de Campos e mi chiedevo se conoscesse anche qualcosa
di quel sua amico, il dottor Reis, al quale accennava anche ieri sera
a cena, Sì, qualcosa ho letto, risponde il giovane dottore, cercando
di apparire disinvolto, ma in realtà vittima della sua solita ansia
che gli fa immaginare troppi scenari contemporaneamente. In questo
momento il dottor Lupi sta pensando che sarebbe meglio non essere mai
salito su questa nave così da non trovarsi in una situazione così
imbarazzante e nello stesso tempo pensa anche tutt’altro e prova
nei confronti di Marcenda un qualcosa che per il momento è a metà
tra la curiosità e l’interesse e lo spinge a cercare di offrire la
miglior immagine possibile di sé, ma la sua mente è una vera e
propria fucina per cui non si limita a questi due pensieri ma è
pronta a forgiarne altri ancora, come quello di immaginarsi seduto al
tavolo a fianco per potersi osservare e capire come sta
comportandosi, e ci fermiamo qui che se continuassimo ad andare
dietro ai sogni ed ai fantasmi del dottore italiano saremmo costretti
a dedicargli un intero capitolo. Povera gioventù, ci viene da dire,
vedendo quanto si senta a disagio il giovane Lorenzo e quanto poco
motivato sia questo disagio, dato che noi sappiamo che, nonostante i
suoi timori, per la ragazza portoghese non c’è stata nessuna
partita di scacchi, nessuno ha vinto e nessuno ha perso ed anzi
Marcenda ha apprezzato le argomentazioni del giovane italiano più di
quanto lui possa supporre. Se fosse sempre così facile, se si
potesse fare in modo da sgombrare dubbi e preoccupazioni immotivate
permettendo a tutti di leggere nei cuori e nelle menti degli altri,
ci viene facile pensare, ma ci fermiamo qui, la nostra è solo una
battuta, nessuno ci prenda sul serio che neppure noi crediamo a
quello che abbiamo appena detto, dato che i primi a non saper
interpretare i nostri pensieri siamo noi stessi, noi che un secondo
dopo esserci convinti di aver finalmente capito cosa vogliamo siamo
già pronti a tradire la nostra stessa volontà con comportamenti che
mai avremmo immaginato di poter mettere in atto. Credo che ci sia
qualche libro del dottor Reis anche in biblioteca, aggiunge il dottor
Lupi, per completare la risposta alla domanda di Marcenda, Mi
piacerebbe leggere le sue poesie, ma ancora non mi oriento bene su
questa nave ed ho paura di perdermi, se non ha altri impegni le
spiacerebbe accompagnarmi, dice la signorina dal collo lungo e
sottile con un tono così dolce ed un’aria così fragile che
nessuno potrebbe dirle di no, tanto meno il nostro amico italiano. Al
lettore puntiglioso che vorrà osservare come poco fa abbiamo dato
conto di una breve descrizione della nave dalla quale si capisce come
la biblioteca sia proprio sullo stesso ponte sul quale è situata la
sala da pranzo e che probabilmente Marcenda vi deve anche essere
passata davanti più di una volta, risponderemo che la sua malizia è
fuori luogo dato che la biblioteca è più in fondo, dopo il bar e la
sala delle feste, in un angolino poco visibile ai più, e che anche
se vi sono parecchie indicazioni su come raggiungerla, forse la
ragazza portoghese non vi ha fatto caso, o forse sì, ma questo non
deve scandalizzare nessuno che ci sembra del tutto normale che
Marcenda abbia piacere di passare un po’ di tempo in compagnia di
qualcuno della sua età, che lasciare la propria terra per
intraprendere un viaggio per nave di due settimane verso le Americhe
senza avere nessuno con cui parlare non è certo divertente,
soprattutto se si è una ragazza di soli venticinque anni. E’
strano, dice il dottor Lupi, cercando di imbastire una qualche
conversazione per vincere l’imbarazzo, parlando con l’ingegner de
Campos si ha l’impressione che sia molto diverso dall’autore
delle poesie, Non saprei cosa dire, dice Marcenda, io non conosco le
sue opere ma da quel poco che ho potuto osservare questa mattina mi
sembra una persona indecifrabile, che non vuole lasciarsi capire,
magari è timido, Timido l’ingegner de Campos risponde l’italiano,
non credo proprio, forse oscuro, al limite scontroso, ma non timido,
Probabilmente si comporta in questa maniera perché non vuole darci
confidenza, non ci considera al suo livello, o forse ha bisogno di
tempo per conoscerci meglio.
Questo
breve scambio di battute è servito se non altro ad accompagnare i
due giovani fin sulla soglia della biblioteca, varcata la quale
scorgono i coniugi Jimenez. Tanto per cambiare anche questo incontro
riesce a mettere a disagio il dottor Lupi, come se fosse stato
sorpreso a fare qualcosa di disdicevole, come se accompagnare una
coetanea in biblioteca dovesse presupporre chissà che cosa, in
realtà se solo riuscisse dominare un po’ la tensione si
accorgerebbe di come il poeta di Moguer e la sua signora si mostrano
cordiali e ben lieti di scambiare due parole con i due giovani, e
distanti mille miglia dal fare pensieri di qualsiasi genere, Che
bella sorpresa, dice la signora Zenobia accogliendoli con un sorriso
sincero, fa piacere vedere che anche le nuove generazioni non
disdegnano il piacere della lettura, e ditemi, se non sono
indiscreta, a che libri stavate pensando, Questa mattina abbiamo
fatto colazione con l’ingegner de Campos, spiega Marcenda, e di
nuovo è tornato fuori il nome del dottor Reis, proprio come alla
cena di ieri sera, così mi è venuta la curiosità di conoscere
qualcuna delle sue poesie e il dottor Lupi è stato così gentile ad
accompagnarmi qui in biblioteca, Bene, dice Ramon Jimenez rivolto al
dottore italiano, e cosa dice il nostro amico portoghese, Niente di
particolare, risponde un po’ sulla difensiva il giovane, si parlava
di sogni, Sì, interviene Marcenda intuendo che il pensiero del suo
giovane accompagnatore necessita di qualche chiarimento, il dottor
Lupi ha raccontato un suo sogno e mentre noi cercavamo la chiave per
poterlo interpretare l’ingegner de Campos sosteneva che i sogni
sono sogni e basta, senza nessun rapporto con la realtà,
Bell’argomento, osserva Jimenez, i sogni sono stati da sempre
argomento capace di scatenare fiumi di discussioni, E’ vero,
interviene sua moglie, già gli Egizi sostenevano che dai sogni si
può interpretare la realtà, Per non parlare dei Greci, aggiunge
Jimenez, credo che la più grande autorità in materia sia stata un
tale Artemidoro di Daldi che deve aver esaminato qualcosa come
cinquemila sogni tentando un’interpretazione per ognuno di essi, a
me piace immaginare che siamo come un cocchio trainato da cavalli che
rappresentano l’immaginazione, il cocchiere è la razionalità che
ha il compito di tenere le briglia ben salde per impedire che la
fantasia vada dove vuole, alla notte, quando il cocchiere dorme, i
cavalli però sono liberi di correre dove vogliono, di portare a
correre la carrozza nei sentieri del sogno, Temo che la tua
interpretazione non abbia nulla di scientifico, osserva sorridendo
Zenobia, Lo so bene, dice Ramon Jimenez ricambiando il sorriso, non
ho questa pretesa e se devo dire la verità non mi stupisce neppure
che l’ingegner de Campos abbia liquidato questo argomento così
stimolante con una battuta, è abbastanza tipico del personaggio.
Come si dice in questi casi, ognuno misura le cose con il suo metro,
e se poco fa il dottor Lupi notava più di una incongruenza tra
l’Alvaro de Campos scrittore e l’Alvaro de Campos uomo, di colpo
queste incongruenze spariscono nella valutazione di Ramon Jimenez,
probabilmente perché il poeta di Moguer conosce il collega
portoghese e la sua opera meglio del dottore italiano, in parte anche
perché ognuno di noi è portato a vedere e giudicare l’altro
attraverso la lente deformante dei suoi occhi che non gli permette di
conoscerlo fino in fondo per come è realmente ma solamente per
l’opinione che di lui si è fatto. A questo punto il dottor Lupi
ritiene di aver esaurito il suo compito, in fondo la ragazza
portoghese è stata accompagnata in biblioteca come aveva chiesto e
l’incontro con i coniugi Jimenez può anche essere considerato un
colpo di fortuna dato che lasciarla lì da sola avrebbe potuto essere
considerato scortese, problema che ora non si pone più, ragion per
cui ne può approfittare per accomiatarsi con qualche frase di rito,
dando appuntamento agli altri per il pranzo ma in realtà non vedendo
l’ora di essere solo per ripensare con calma a tutto quello che è
successo in questa mattinata.
Anche
noi ci fermiamo qui, non ritenendo necessario raccontare per filo e
per segno gli avvenimenti successivi all’uscita di scena nel
giovane italiano, ci limiteremo solamente a dire come nel corso della
mattinata trascorsa in biblioteca Marcenda è rimasta colpita non
tanto dalla lettura delle liriche di Ricardo Reis quanto da un nome
di donna che in esse ricorreva con una certa frequenza. Lidia è
questo nome, che alla ragazza dal collo lungo e sottile ricorda
un’altra Lidia, una cameriera del Bragança, l’albergo di Lisbona
dove aveva conosciuto il dottor Reis. Marcenda si sorprende ad
immaginare che per qualche motivo quelle Odi potessero essere
dedicate proprio a lei, che razza di pensiero, dedicare delle poesie
ad una cameriera, impossibile, sicuramente erano state scritte prima
che la conoscesse, eppure. Eppure non è convinta, questo pensiero è
un tarlo fastidioso che continua a ronzare nella sua testa ed ogni
volta che prova a scacciarlo torna a bussare più forte, sarà quello
che chiamano intuito femminile, quel non so che che rende le donne un
po’ streghe, eppure Marcenda avverte che tra il dottor Reis e
quella Lidia del Bragança deve essere successo qualcosa e prova uno
strano sentimento, molto vicino alla gelosia.
Nessun commento:
Posta un commento