sabato 5 aprile 2014

un giorno, e non finì la frase. Capitolo quinto


Capitolo quinto.
Di quello che accadde il mattino successivo, della colazione e della chiacchierata di Marcenda con l’ingegner de Campos e con il giovane dottore italiano

Il mattino coglie il giovane dottore già in piedi davanti allo specchio del bagno, impegnato a passare sapone e pennello lungo le curve del viso per attendere al rito della rasatura. E se abbiamo detto rito, rischiando di scivolare sul più classico dei luoghi comuni, non è tanto perché il dottor Lupi riconosca a questo momento la solennità di una funzione sacra, quanto perché lo ha sempre affrontato con la medesima indolenza di un bambino costretto dai genitori a partecipare ad una Messa, che non si vede l’ora che termini. Ma il nostro amico è prima di tutto persona ligia ai costumi ed anche un po’ abitudinaria, e sa bene che un uomo con la barba lunga è sinonimo di trasandatezza, ragion per cui mai ha pensato di venir meno a quello che considera un suo dovere e che assolve diligentemente a giorni alterni da otto o nove anni a questa parte con la cadenza di un metronomo. Eppure, nonostante quello che abbiamo appena detto, si direbbe che questa mattina sia nata diversa da quelle che l’hanno preceduta e che oggi la parola rito accostata alla rasatura abbia per la prima volta un sapore che è più vicino alla cerimonia che alla seccatura. L’occhio allenato sa cogliere i segnali più insignificanti, è per questo che ci è bastato osservare come il dottor Lupi ha alzato lo sguardo verso lo specchio, l’attenzione che ha dedicato al profilo riflesso nel vetro, per intuire che ci doveva essere qualcosa di speciale nell’aria. Ha squadrato dapprima la guancia destra, poi la sinistra, carezzandosi il viso con la mano come se fosse la prima volta che lo guarda davvero, poi ha sollevato un poco il mento per osservare più attentamente il il collo, allontanandosi ed avvicinandosi come a prendere meglio le misure, con quell’espressione seria di chi ha qualcosa che comincia a frullargli nella testa. Strano, perché fino ad ora il giovane dottore italiano non era mai cascato nel narcisismo, dedicando allo specchio l’attenzione minima per rendersi presentabile, lasciando che fossero altri a godere del piacere di indulgere in frivolezze quali il controllare e ricontrollare la pettinatura fino a che anche l’ultimo capello andasse al posto giusto o peggio ancora l’aspergersi a piene mani di dopobarba, profumi o quant’altro. Fino ad ora, dicevamo, perché quando questa mattina il dottor Lupi ha messo mano al rasoio con la sicurezza di chi aveva preso una decisione irrevocabile, quella di non procedere lungo le curve del viso con l’usuale fretta, rasando a tappeto la barba su tutto il volto, ma di risparmiare un filo di barba e baffi per farli crescere con cura e pazienza fino a quando non assumeranno la dignità di pizzetto. Non è un barbone incolto come quello di Jusep Campalans, ciò che il nostro giovane amico ha in testa, che anche volendo il dottor Lupi non sembra fornito di un’altrettanto folta peluria sul viso per poterselo permettere, ma un filo di baffi da far scendere lungo le guance per unirsi al pizzo, come Ramon Jimenez. Attenzione però, che la citazione del poeta di Moguer e del pittore catalano non deve autorizzare il lettore a ritenere che la decisione del giovane dottore italiano sia condizionata in qualche misura dai commensali conosciuti alla cena di ieri sera, noi siamo certi che nel momento in cui ha deciso di modificare il profilo del suo volto il nostro amico non voleva assomigliare né all’una né all’altra delle persone cha abbiamo appena nominato, diverso invece è dire se il pensiero che ha armato la sua mano possa avere a che fare con qualcun’altra delle persone che sedevano allo stesso tavolo. Pensiero forse malizioso e sul quale preferiamo non pronunciarci dato che probabilmente in questo momento neppure il giovane dottore conosce le ragioni che stanno dietro una scelta apparentemente così banale come quella di lasciarsi crescere il pizzetto, le ragioni dell’intelletto intendiamo dire, che se decidessimo di scandagliare le ragioni del cuore, quelle che reggono le briglia della fantasia, il discorso rischierebbe di complicarsi un po’ troppo.
E’ mattina, abbiamo già detto, ed anche Marcenda Sampaio è in piedi davanti allo specchio del bagno a mirare e rimirare il suo bel visino con più attenzione del solito. Niente di male, è una giovane di venticinque anni che fra poco dovrà salire a fare colazione con persone conosciute solo la sera prima e con le quali non ha ancora confidenza, normale che voglia presentarsi in ordine, logico che si soffermi un po’ più del solito sul contorno degli occhi per cercare di scoprire e poi cancellare i segni di una notte fatta di risvegli frequenti, niente da eccepire se si sforza di nascondere con un po’ di crema un foruncolo infinitesimale spuntato proprio nel bel mezzo della fronte. Eppure la nostra impressione, ci sia perdonato l'azzardo, è che oggi la signorina Sampaio indugi più del solito nella cura della sua persona, anche nell’aggiustarsi quella ciocca di capelli, nello sforzarsi di farla cadere con finta nonchalance, nel cercare di dare l’apparenza di casualità ad un gesto che è invece calcolato e voluto. Oggi la ragazza dal collo lungo e sottile si guarda nello specchio cercando di capire che impressione farà alle persone che incontrerà a colazione, oggi Marcenda si culla nella speranza infantile di potersi vedere con gli occhi di un altro. Ci spiace deludere una ragazza così carina, ma tra i nostri compiti di voce narrante c’è anche quello di ricordare che nella realtà a nessuno è concesso il privilegio di indossare i panni di un altro, e che dobbiamo accontentarci di vivere nella nostra pelle tenendoci tutti i dubbi e le incertezze su cosa gli altri vedranno quando ci guarderanno. Ci spiace frustrare le ambizioni della ragazza portoghese rammentando che è inutile riporre tanta fiducia nello specchio, ci darà solo risposte ingannatrici, perché quando lo interroghiamo non lo facciamo solo con gli occhi ma anche con un sacco di altre cose che abbiamo dentro di noi, sogni, ricordi, speranze, paure, ansie, un pentolone incandescente di emozioni che finirà per farci vedere come enorme un brufoletto che gli altri neppure noteranno o giudicare elegante e vezzoso un ricciolo che scende sul volto ma che in realtà è più da donna matura che da ragazza, un ricciolo che magari crediamo di aver scelto perché ci fa più belle mentre in realtà abbiamo deciso di lasciarlo cadere in quel modo perché ci ricorda nostra madre. E se qualcuno ha dei dubbi su quello che stiamo dicendo, gli suggeriamo di registrare su di un nastro la propria voce e poi di riascoltarla, ci saprà dire cosa ne pensa, se era quella la voce con cui credeva di aver sempre parlato o se piuttosto ne è rimasto stupito, per non dire deluso. In fondo è sempre la stessa storia della trave e della pagliuzza, possiamo giudicare gli altri con lucidità, ma quando si parla di noi la montagna da scalare diventa un po’ troppo ostica. Anche se per qualcuno può essere risultata noiosa, la digressione sullo specchio e sulle aspettative di Marcenda è servita se non altro per permettere alla ragazza di uscire dal bagno dopo aver ultimato le operazioni del trucco, non sperate di vederla già fuori dalla sua cabina però, che al tempo che ha dedicato alla cura della persona dovremmo ora sommare quello necessario per la scelta dell’abito, camicia bianca e gonna azzurra si direbbe a giudicare dalla mise che ha preparato sul letto, ma è lecito supporre che la decisione definitiva di Marcenda arriverà solo dopo due o tre prove davanti allo specchio, sempre lui, giudice supremo e quanto mai umorale. Quando la nostra volubile amica avrà finalmente deciso cosa indossare, dovremo calcolare ancora un altro po’ di tempo per la vestizione, considerando quanto può essere difficoltosa per una persona come lei, costretta ad utilizzare una sola mano aiutandosi come può con il polso dell’altra, e fortuna, se di fortuna si può parlare, che non è stata la mano destra a subire la paralisi. Se a tutto ciò aggiungiamo che la ragazza dal collo lungo e sottile ha già dato dimostrazione di non essere proprio ligia al rispetto degli orari, ecco spiegato come sia possibile che l’imponente pendola della nave batta le nove e mezzo nel momento esatto in cui Marcenda, finalmente, attraversa la hall centrale dell’Higland Monarch. Nessun problema però, questa volta la signorina Sampaio non si metterà a correre lungo il corridoio delle cabine, ieri sera il signor Burton le ha detto che la colazione verrà servita dalle otto alle dieci, quindi sa di fare tranquillamente in tempo. Per fortuna che una colazione non è una cena e non ci sono obblighi così rigidi di orario, ragion per cui l’idea di essere ancora una volta l'ultimo dei commensali a prendere posto a tavola non la preoccupa più di tanto. E se Marcenda non tradisce nessuna apprensione per il ritardo, non v’è ragione che lo si faccia noi, è per questo che ci concederemo il lusso di perdere ancora qualche minuto per descrivere meglio la nave sulla quale stiamo viaggiando.
Come abbiamo detto l’Highland Monarch è una delle imbarcazioni che fanno la spola tra i due capi dell’Oceano Atlantico per conto delle Regie Linee inglesi, come le sorelle Highland Chieftain ed Highland Brigade, uscite dai medesimi cantieri di Harland e Wolff a Belfast ed identiche in tutto e per tutto a lei. E’ una nave che stazza millequattrocento tonnellate, che può sviluppare una velocità di quindici nodi ed è in grado di accogliere centocinquanta passeggeri in prima classe, settanta in seconda e quasi cinquecento in terza. Dalle cabine si accede direttamente al ponte di coperta, anche detto ponte di re Giorgio V, lungo il quale si incontrano la lavanderia, il parrucchiere, la farmacia e l’ambulatorio medico. Salendo al piano superiore c’è il ponte dei saloni, o ponte di re Edoardo VII, con la sala da pranzo, un bar, il salone delle feste ed anche una piccola ma attrezzata biblioteca, ancora più su si raggiunge il ponte di passeggiata, o ponte della regina Vittoria, che da poppa a prua da accesso al lido, al ponte degli sport dove è ospitata anche una piscina ed al ponte del sole. Fatta questa breve precisazione che ci permetterà di orientarci meglio nei nostri spostamenti sulla nave, torniamo a Marcenda, che raggiungiamo proprio mentre sta per fare il suo ingresso in sala da pranzo.
La sala pranzo al mattino sembra più grande, c’è poca gente ai tavoli e molto meno confusione, il chiacchiericcio insistente di ieri sera è un ricordo lontano che fa apprezzare di più l’atmosfera rilassata della colazione. Questa mattina anche il giovane dottore sembra meno ingessato e più a suo agio rispetto a come ci era apparso ieri sera, almeno a giudicare da come parla fitto fitto con l’ingegner de Campos. Marcenda è giunta alle loro spalle ed approfittando del fatto di non essere stata ancora notata dai due può apprezzare come anche il tono di voce del dottor Lupi sia più sicuro rispetto a quell’incerto titubare che aveva esibito al momento della presentazione al cospetto degli altri commensali, C’era questo gatto che cercava di uscire di casa ed io che cercavo di impedirglielo, sta dicendo il dottore italiano, un sogno stranissimo, con lui alla ricerca di un varco tra le mie gambe e la parete ed io impegnato a cercare di chiuderglielo ogni volta, siamo andati avanti così per un po’, fino a quando l’ho costretto in un angolo, e quando lui si è reso conto di non avere più spazio si è lasciato prendere in braccio, sembrava tranquillo, ma appena l’ho stretto al petto mi ha graffiato, chissà che cosa vorrà dire, che significato può avere un sogno di questo tipo, Anch’io sogno, interviene allegramente Marcenda, sbucando alle spalle dei due e prendendo posto a tavola senza perdersi in saluti di maniera, sogno quasi tutte le sere però il mattino seguente non ricordo quasi mai i sogni che ho fatto, è un peccato. A questo punto ci permettiamo un breve inciso per avvertire il lettore che le parole di Marcenda non sono proprio veritiere, il fatto è che la ragazza portoghese più che non ricordare i sogni preferisce non raccontarli, almeno per quanto riguarda uno di essi. Ci riferiamo a quello fatto il giorno successivo alla morte della madre, quando sognò che dopo avere stretto un’infinità di mani a parenti e conoscenti che le porgevano le condoglianze, sentì che piano piano la mano perdeva la sensibilità, poi si faceva sempre più pesante sino a non riuscire più a sollevarla. Sarebbe stato un sogno strano o magari anche bizzarro ma niente più, se non fosse che il mattino seguente la manina della ragazza era davvero addormentata, priva di sensibilità, morta. E poco importa che si trattasse della sinistra invece che della destra.
Potremmo continuare la narrazione dando conto delle parole dell’ingegnere de Campos e di quelle in risposta del dottor Lupi, ma se ci limitassimo ad esporre come si sviluppa la conversazione ci sembrerebbe di tralasciare qualcosa, di attenerci fedelmente al nostro ruolo di testimoni dei fatti senza però descrivere la situazione nella maniera più completa. A volte il non detto ha la medesima importanza di quello che si dice, se non di più, e se è vero che le parole sono l’unico tramite che la nostra mente ha per esprimersi, è anche vero che a volte quello che succede nelle profondità del nostro animo, i sentimenti, le emozioni, i sogni e quant’altro, si esprime verbalmente solo in un secondo momento, quando cioè anche l’intelletto ha metabolizzato questo materiale ed ha ritenuto di poterne dare comunicazione all’esterno. Prima, quando il cervello o chi per lui non ha ancora messo ordine e dato il via libera alla voce, quello che si muove scompostamente nell’animo si manifesta attraverso segnali non verbali, che l’occhio esperto può riconoscere in certi movimenti quasi impercettibili delle spalle, nella leggera ma fastidiosa sudorazione delle mani e ancora nel giocherellare nervoso con le posate e in molte altre maniere che, ne siamo certi, il dottor Lupi non mancherà di farci conoscere. Sì, è del giovane dottore italiano che parliamo, per dire, se non fosse ancora sufficientemente chiaro, che nonostante la loro frequentazione sia così recente, o forse proprio per questo, la presenza della signorina Sampaio ha il potere di metterlo in imbarazzo più di quanto dicano le parole. E perché lei voleva impedire a quel povero gattino di uscire di casa, chiede l’ingegner de Campos con il tono di cortesia tipico di chi è poco o nulla interessato all’argomento ma visto che non si può sottrarre alla chiacchierata si diverte se non altro a mettere in difficoltà l’interlocutore, Credo che volessi proteggerlo, forse temevo che uscendo di casa potesse correre qualche pericolo, O piuttosto voleva impedirgli di fuggire, magari quello che cercava di fare in sogno era imprigionarlo e reprimere la sua naturale vocazione alla libertà, continua l’ingegnere compiaciuto per la facilità con la quale riesce a mettere in imbarazzo il giovane dottore. Non saprei, è la risposta di un dottor Lupi un po’ sorpreso da un affondo così diretto ed insieme preoccupato di che idea Marcenda può farsi di lui, certo, è possibile che la mia preoccupazione di proteggerlo fosse eccessiva, ma il punto è un altro, è il significato globale del sogno che mi sfugge. Ci perdoni il lettore se ci prendiamo la libertà di inserire una nuova digressione, ma visto che il nostro amico ci sembra un po’ in difficoltà vogliamo concedergli una pausa di riflessione, utile anche a spiegare come a volte sia sufficiente la presenza di una bella ragazza per trasformare quella che in apparenza doveva essere una innocente chiacchierata mattutina uguale a mille altre in una specie di partita a scacchi, se non altro questo è quello che succede nella testa del giovane dottore italiano che a dire il vero il meno giovane ingegnere portoghese non sembra per nulla interessato a giocarla questa partita. Il gatto è un simbolo di libertà, interviene Marcenda lasciandosi coinvolgere dal gioco, potrebbe rappresentare la sua parte più istintiva, quella meno razionale che cerca di emergere, di rendersi visibile, Vedo che anche lei concorda con il nostro giovane dottore, osserva l’ingegner de Campos, sul fatto che dietro ogni sogno ci debba sempre essere un significato, io in tutta franchezza devo confessare che per quanto affascinanti non condivido le vostre supposizioni, Veramente questa non è una mia teoria, il fatto che i sogni siano il nostro inconscio è il dottor Freud a dirlo, si difende il dottor Lupi rinfrancato dall’aver trovato una citazione dotta con cui fare argine alle argomentazioni dell’ingegner de Campos, e se noi riusciamo a leggerli scopriamo un po’ più di noi stessi, Mah, questo è tutto da vedere, per me i sogni sono sogni e basta, capisco la voglia di sapere di più, di trascendere, che è tipica dell’animo umano, ma credo che questa trovata dell’interpretazione dei sogni si regga su un errore logico, Cosa vuol dire esattamente, domanda il dottor Lupi, Voglio dire che anche assumendo per vero che il sogno appartiene all’inconscio, a qualcosa che risiede nelle profondità del nostro spirito, non comprendo perché mai si cerchi di darne spiegazione usando strumenti come la logica, il ragionamento, che mi risultano essere propri della coscienza, Ma perché quelli sono gli unici strumenti che abbiamo a disposizione, non ce ne sono dati di diversi, risponde il giovane dottore, che a questo punto della partita firmerebbe immediatamente per una patta, Il mio pensiero è che l’interpretazione dei sogni e questa psicoanalisi alla quale lei mi pare così interessato non siano altro che uno dei tanti modi che l’uomo mette in atto nel suo folle tentativo di arrivare a comprendere l’assoluto, di travalicare i suoi limiti e spingersi oltre il mondo fisico, c’è chi adopera per questo scopo la religione, chi la scienza, che si spinge sino ad utilizzare l’alchimia, figuriamoci se mi scandalizza il fatto che ci sia qualcuno che inventa nuove maniere, per parte mia non posso altro che dire, prego, si accomodi, c’è ancora tanto posto, l’unica cosa che chiedo è che mi sia permesso dissentire e guardare a tutti questi tentativi con spirito scettico, E la poesia allora, dice il giovane dottore con l’espressione di quello che crede di aver trovato la battuta arguta in grado di farlo uscire dall’angolo nel quale l’aveva confinato l’eloquenza del suo interlocutore, anche la poesia, anche la sua poesia, non è forse un modo di trascendere, un tentativo di andare oltre, Non vorrei deluderla ancora, replica con un sorrisetto l’ingegnere, mi creda che apprezzo sinceramente la tenacia e la passione con le quali espone le sue idee e non trovo nessun divertimento nel raffreddare tanto entusiasmo, ma innanzitutto devo rammentarle che come ho gia avuto modo di dire alla cena di ieri sera la poesia è per me un verbo che ormai si coniuga solo al passato, quanto poi all’averla utilizzata per esplorare un oltre oscuro, devo confessare che se è successo io non me ne sono mai accorto, dato che più che guardare fuori con i miei versi ho sempre cercato di guardare dentro di me, di esplorare il mio animo, che come vede è qualcosa di un po’ diverso da quello che lei immaginava, Eppure, ribatte il dottor Lupi, perdoni la mia insistenza, lei è il poeta dell’Ode Marittima, quello che scriveva di voler esplorare tutto, di voler partire alla ventura, andare verso Lontano, verso Fuori, verso la Distanza astratta, Ha detto bene, mio giovane amico, scrivevo. Ma scrivevo anche altre cose e visto che lei ha appena citato un mio passo mi permetta di risponderle con altri versi di tutt’altro tenore, Come ho potuto pensare, sognare quelle cose? Quanto sono lontano da quel che sono stato poco fa! Isterismo delle sensazioni, da queste, ora le contrarie! Come vede se ci mettiamo a fare le pulci alle mie liriche verrà fuori un guazzabuglio tale dal quale non se ne esce, e badi bene che io per primo ammetto di non essere stato un campione di coerenza, ma sinceramente non me ne curo, che non è mai stata questa la mia prima preoccupazione, d’altra parte la conclusione alla quale sono approdato dopo tanto indagare è che nessuno, mi creda, sa ciò che veramente sente, e se che quello che dico le può apparire disarmante me ne dispiace, ma questo è il mio pensiero, in fondo la poesia è stata per me solo un modo di esprimere emozioni, un modo di cantare senza musica, come mi rimproverava il mio amico Ricardo Reis, lui che nelle sue liriche era invece al servizio dell’Idea. Difficile replicare ad una arringa come quella dell’ingegner de Campos che quanto ad abilità oratoria si posiziona parecchie spanne al di sopra del giovane dottore italiano, forse se fosse presente il signor Jimenez la conversazione potrebbe arricchirsi di un contributo importante e prendere nuova linfa, ma come si dice in questi casi con i se e con i ma non si fa la storia e visto che il poeta di Moguer non è della partita è esercizio perfettamente inutile immaginare scenari inesistenti. Se volessimo riassumere la discussione riprendendo l’esempio del gioco degli scacchi, potremmo dire che all’inizio l’incauto medico italiano si era cullato un po’ troppo nell’illusione di portare a casa una facile vittoria, così che il sopraggiungere delle prime difficoltà unito anche all’intervento di fattori estranei al gioco lo ha colto impreparato lasciando intravedere crepe vistose nel suo gioco da farlo ripiegare verso una precipitosa quanto infruttuosa difesa e proprio quando stava per proporre al suo avversario una patta magari non esaltante ma perlomeno onorevole, si è trovato servito sotto il naso uno scacco matto da non lasciare dubbi sui valori dei due giocatori in campo.
Mentre divagavamo un po’ con la fantasia, l’ingegner de Campos ha approfittato della pausa di silenzio del dottor Lupi, ancora impegnato ad arrampicarsi sugli specchi alla ricerca della mossa che non esiste, che quella che può salvare da uno scacco matto devono ancora inventarla, si è alzato, ha inforcato il monocolo ed ha salutato la compagnia augurando ai due giovani una buona giornata, dicendo che sarebbe andato a fare quattro chiacchiere con gli ufficiali di macchina dell’Highland Monarch. L’idea di rimanere solo con la signorina Sampaio è l’ultima cosa che il dottor Lupi vorrebbe in questo momento, la sua timidezza cronica associata alla consapevolezza di essere uscito con le ossa rotte dalla discussione con l’ingegner de Campos gli consiglierebbero di tagliare la corda prima possibile, ma purtroppo per lui, o per fortuna, ma questo sarà solo il resto della storia a dirlo, la ragazza portoghese dal collo lungo e sottile lo anticipa, tenendolo incollato ad una sedia che sembra bruciare sotto le sue terga con una domanda solo in apparenza banale, Ho visto che poco fa lei ha citato un passo di un’opera dell’ingegner de Campos e mi chiedevo se conoscesse anche qualcosa di quel sua amico, il dottor Reis, al quale accennava anche ieri sera a cena, Sì, qualcosa ho letto, risponde il giovane dottore, cercando di apparire disinvolto, ma in realtà vittima della sua solita ansia che gli fa immaginare troppi scenari contemporaneamente. In questo momento il dottor Lupi sta pensando che sarebbe meglio non essere mai salito su questa nave così da non trovarsi in una situazione così imbarazzante e nello stesso tempo pensa anche tutt’altro e prova nei confronti di Marcenda un qualcosa che per il momento è a metà tra la curiosità e l’interesse e lo spinge a cercare di offrire la miglior immagine possibile di sé, ma la sua mente è una vera e propria fucina per cui non si limita a questi due pensieri ma è pronta a forgiarne altri ancora, come quello di immaginarsi seduto al tavolo a fianco per potersi osservare e capire come sta comportandosi, e ci fermiamo qui che se continuassimo ad andare dietro ai sogni ed ai fantasmi del dottore italiano saremmo costretti a dedicargli un intero capitolo. Povera gioventù, ci viene da dire, vedendo quanto si senta a disagio il giovane Lorenzo e quanto poco motivato sia questo disagio, dato che noi sappiamo che, nonostante i suoi timori, per la ragazza portoghese non c’è stata nessuna partita di scacchi, nessuno ha vinto e nessuno ha perso ed anzi Marcenda ha apprezzato le argomentazioni del giovane italiano più di quanto lui possa supporre. Se fosse sempre così facile, se si potesse fare in modo da sgombrare dubbi e preoccupazioni immotivate permettendo a tutti di leggere nei cuori e nelle menti degli altri, ci viene facile pensare, ma ci fermiamo qui, la nostra è solo una battuta, nessuno ci prenda sul serio che neppure noi crediamo a quello che abbiamo appena detto, dato che i primi a non saper interpretare i nostri pensieri siamo noi stessi, noi che un secondo dopo esserci convinti di aver finalmente capito cosa vogliamo siamo già pronti a tradire la nostra stessa volontà con comportamenti che mai avremmo immaginato di poter mettere in atto. Credo che ci sia qualche libro del dottor Reis anche in biblioteca, aggiunge il dottor Lupi, per completare la risposta alla domanda di Marcenda, Mi piacerebbe leggere le sue poesie, ma ancora non mi oriento bene su questa nave ed ho paura di perdermi, se non ha altri impegni le spiacerebbe accompagnarmi, dice la signorina dal collo lungo e sottile con un tono così dolce ed un’aria così fragile che nessuno potrebbe dirle di no, tanto meno il nostro amico italiano. Al lettore puntiglioso che vorrà osservare come poco fa abbiamo dato conto di una breve descrizione della nave dalla quale si capisce come la biblioteca sia proprio sullo stesso ponte sul quale è situata la sala da pranzo e che probabilmente Marcenda vi deve anche essere passata davanti più di una volta, risponderemo che la sua malizia è fuori luogo dato che la biblioteca è più in fondo, dopo il bar e la sala delle feste, in un angolino poco visibile ai più, e che anche se vi sono parecchie indicazioni su come raggiungerla, forse la ragazza portoghese non vi ha fatto caso, o forse sì, ma questo non deve scandalizzare nessuno che ci sembra del tutto normale che Marcenda abbia piacere di passare un po’ di tempo in compagnia di qualcuno della sua età, che lasciare la propria terra per intraprendere un viaggio per nave di due settimane verso le Americhe senza avere nessuno con cui parlare non è certo divertente, soprattutto se si è una ragazza di soli venticinque anni. E’ strano, dice il dottor Lupi, cercando di imbastire una qualche conversazione per vincere l’imbarazzo, parlando con l’ingegner de Campos si ha l’impressione che sia molto diverso dall’autore delle poesie, Non saprei cosa dire, dice Marcenda, io non conosco le sue opere ma da quel poco che ho potuto osservare questa mattina mi sembra una persona indecifrabile, che non vuole lasciarsi capire, magari è timido, Timido l’ingegner de Campos risponde l’italiano, non credo proprio, forse oscuro, al limite scontroso, ma non timido, Probabilmente si comporta in questa maniera perché non vuole darci confidenza, non ci considera al suo livello, o forse ha bisogno di tempo per conoscerci meglio.
Questo breve scambio di battute è servito se non altro ad accompagnare i due giovani fin sulla soglia della biblioteca, varcata la quale scorgono i coniugi Jimenez. Tanto per cambiare anche questo incontro riesce a mettere a disagio il dottor Lupi, come se fosse stato sorpreso a fare qualcosa di disdicevole, come se accompagnare una coetanea in biblioteca dovesse presupporre chissà che cosa, in realtà se solo riuscisse dominare un po’ la tensione si accorgerebbe di come il poeta di Moguer e la sua signora si mostrano cordiali e ben lieti di scambiare due parole con i due giovani, e distanti mille miglia dal fare pensieri di qualsiasi genere, Che bella sorpresa, dice la signora Zenobia accogliendoli con un sorriso sincero, fa piacere vedere che anche le nuove generazioni non disdegnano il piacere della lettura, e ditemi, se non sono indiscreta, a che libri stavate pensando, Questa mattina abbiamo fatto colazione con l’ingegner de Campos, spiega Marcenda, e di nuovo è tornato fuori il nome del dottor Reis, proprio come alla cena di ieri sera, così mi è venuta la curiosità di conoscere qualcuna delle sue poesie e il dottor Lupi è stato così gentile ad accompagnarmi qui in biblioteca, Bene, dice Ramon Jimenez rivolto al dottore italiano, e cosa dice il nostro amico portoghese, Niente di particolare, risponde un po’ sulla difensiva il giovane, si parlava di sogni, Sì, interviene Marcenda intuendo che il pensiero del suo giovane accompagnatore necessita di qualche chiarimento, il dottor Lupi ha raccontato un suo sogno e mentre noi cercavamo la chiave per poterlo interpretare l’ingegner de Campos sosteneva che i sogni sono sogni e basta, senza nessun rapporto con la realtà, Bell’argomento, osserva Jimenez, i sogni sono stati da sempre argomento capace di scatenare fiumi di discussioni, E’ vero, interviene sua moglie, già gli Egizi sostenevano che dai sogni si può interpretare la realtà, Per non parlare dei Greci, aggiunge Jimenez, credo che la più grande autorità in materia sia stata un tale Artemidoro di Daldi che deve aver esaminato qualcosa come cinquemila sogni tentando un’interpretazione per ognuno di essi, a me piace immaginare che siamo come un cocchio trainato da cavalli che rappresentano l’immaginazione, il cocchiere è la razionalità che ha il compito di tenere le briglia ben salde per impedire che la fantasia vada dove vuole, alla notte, quando il cocchiere dorme, i cavalli però sono liberi di correre dove vogliono, di portare a correre la carrozza nei sentieri del sogno, Temo che la tua interpretazione non abbia nulla di scientifico, osserva sorridendo Zenobia, Lo so bene, dice Ramon Jimenez ricambiando il sorriso, non ho questa pretesa e se devo dire la verità non mi stupisce neppure che l’ingegner de Campos abbia liquidato questo argomento così stimolante con una battuta, è abbastanza tipico del personaggio. Come si dice in questi casi, ognuno misura le cose con il suo metro, e se poco fa il dottor Lupi notava più di una incongruenza tra l’Alvaro de Campos scrittore e l’Alvaro de Campos uomo, di colpo queste incongruenze spariscono nella valutazione di Ramon Jimenez, probabilmente perché il poeta di Moguer conosce il collega portoghese e la sua opera meglio del dottore italiano, in parte anche perché ognuno di noi è portato a vedere e giudicare l’altro attraverso la lente deformante dei suoi occhi che non gli permette di conoscerlo fino in fondo per come è realmente ma solamente per l’opinione che di lui si è fatto. A questo punto il dottor Lupi ritiene di aver esaurito il suo compito, in fondo la ragazza portoghese è stata accompagnata in biblioteca come aveva chiesto e l’incontro con i coniugi Jimenez può anche essere considerato un colpo di fortuna dato che lasciarla lì da sola avrebbe potuto essere considerato scortese, problema che ora non si pone più, ragion per cui ne può approfittare per accomiatarsi con qualche frase di rito, dando appuntamento agli altri per il pranzo ma in realtà non vedendo l’ora di essere solo per ripensare con calma a tutto quello che è successo in questa mattinata.
Anche noi ci fermiamo qui, non ritenendo necessario raccontare per filo e per segno gli avvenimenti successivi all’uscita di scena nel giovane italiano, ci limiteremo solamente a dire come nel corso della mattinata trascorsa in biblioteca Marcenda è rimasta colpita non tanto dalla lettura delle liriche di Ricardo Reis quanto da un nome di donna che in esse ricorreva con una certa frequenza. Lidia è questo nome, che alla ragazza dal collo lungo e sottile ricorda un’altra Lidia, una cameriera del Bragança, l’albergo di Lisbona dove aveva conosciuto il dottor Reis. Marcenda si sorprende ad immaginare che per qualche motivo quelle Odi potessero essere dedicate proprio a lei, che razza di pensiero, dedicare delle poesie ad una cameriera, impossibile, sicuramente erano state scritte prima che la conoscesse, eppure. Eppure non è convinta, questo pensiero è un tarlo fastidioso che continua a ronzare nella sua testa ed ogni volta che prova a scacciarlo torna a bussare più forte, sarà quello che chiamano intuito femminile, quel non so che che rende le donne un po’ streghe, eppure Marcenda avverte che tra il dottor Reis e quella Lidia del Bragança deve essere successo qualcosa e prova uno strano sentimento, molto vicino alla gelosia. 

Nessun commento: