Vivo in campagna, svolgo la mia professione in città ma appena ne ho la possibilità mi piace dedicarmi alla cura dei campi, mi reggo su una gamba mentre l'altra sogna (come direbbe Strand), mi muovo in equilibrio costante tra mondo reale e mondo di fantasia. Amo la poesia.
Con queste premesse avrei dovuto apprezzare questo libro. Invece.
L'ho trovato incomprensibile, mi sono perso già dalla prima pagina e da lì in poi è stato tutto un rincorrere - a vuoto - il filo della matassa.
Non esagero: sono state sufficienti poche battute introduttive, quelle che avrebbero dovuto chiarirne gli intendimenti per confondermi le idee.
Ê successo esattamente alla quindicesima riga, quando Arminio ha introdotto il termine "paesologia", definendolo così: disciplina indisciplinata, raccoglie le voci del mondo, sente quel che vuol sentire, dice quello che vuol dire. Ecco, lì mi sono perso, anche perché poco più avanti, a ulteriore chiarimento, scrive che la paesologia denuncia l'imbroglio della modernità. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare [...] per costruire casa senza muri e senza tetti, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa. Boh.
Quello che ci capisco io è che la paesologia sarebbe una disciplina che non si riesce a definire (poco più avanti scrive che è una risposta a una domanda mai formulata e quindi mai ricevuta) e che si propone qualcosa di irrealizzabile. Ri-boh.
Poco male, il fatto è che questo libro non ha neppure una trama definita: si tratta di pensieri, riflessioni, articoli di giornali, riviste e siti internet riciclati e assemblati a costituire una specie di testo antologico, all'interno del quale il fil rouge sembrerebbe essere la critica del modello di sviluppo della nostra società.
I colpevoli sono, ovviamente, facilmente identificabili, anche con toni leggermente apodittici: Chi dobbiamo imputare per questo delirio della crescita infinita che sta distruggendo la Terra? - si domanda retoricamente Arminio - La mentalità capitalistica o il cristianesimo (ça va sans dire...). Perché il problema di quest'epoca, ci spiega, è teologico. Avremmo bisogno di una politica che abbia una dimensione mondiale e una dimensione locale, una capacità di vedere nello stesso tempo le questioni di una vallata e quelle di un continente, dobbiamo pensare come può pensare dio e come può pensare una mosca.
Una volta identificati i colpevoli dello status quo e delineati con altrettanta precisione gli obiettivi da raggiungere, rimane solo da trovare lo strumento e i modi per arrivare all'Arcadia che Arminio teorizza. Nessun problema, il nostro ha già pensato con la consueta chiarezza anche a questi dettagli. Io spero che l'anno nuovo veda la nascita di una sinistra radicalmente ecologista, una sinistra limpida che lavora per una democrazia profonda. - scrive in Divagazioni sull'anno nuovo - Altro che elezioni. Una democrazia radicalmente locale, costruita da comunità provvisorie che si formano in ogni luogo e che in ogni luogo discutono col centro sulla forma da dare alle cose. Una capillare manutenzione dal basso. La società si decide spezzando l'autismo corale, aggredendolo e costruendo luoghi in cui ci si mette in cerchio e si fa democrazia. Si sta insieme e si decide, si passa il tempo e si decide su come passare il tempo. Dobbiamo imparare a stare da soli e a farci compagnia. Dobbiamo scendere molto in fondo a noi stessi e rimanere ben saldi in superficie assieme agli altri. Abbastanza chiaro, no? Tutto e il suo contrario.
Alle affermazioni di Arminio mi verrebbe di rispondere con Venditti: No, compagni, amici, io disapprovo il passo, manca l'analisi e poi non c'ho l'elmetto. Sì perché è proprio l'analisi quella che mi sembra un po' debole.
Quello che voglio dire è che a volte capita di imbattersi in argomenti particolarmente complessi, meritevoli di analisi approfondita e per i quali difficilmente esistono soluzioni a portata di mano. In questo caso, forse, sarebbe meglio astenersi da dire banalità. Parlare di Taranto in due paginette (La città di ferro), per interrogarsi se sia meglio mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua o se non sia preferibile orientare l'investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, mi sembra lecito ma anche esercizio retorico che poco aggiunge alla sostanza del problema, visto che la soluzione proposta è che ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie.
Tutte queste cose, ci sia perdonata l'immodestia, le sapevamo già (compresa la definizione di ipocondriaco), senza che ci fosse bisogno che ce le dicesse Arminio, se proprio doveva scrivere un articolo su Taranto (come sull'Aquila) forse poteva cercare di evidenziare un aspetto rimasto in ombra, di proporre un'analisi diversa, di sviluppare l'argomento in maniera originale... Questo almeno è quello che mi sarei aspettato io.
Tralascio volutamente le descrizioni "poetiche" che affiorano qua e là e mi limito a segnalare questa perla: Rocchetta Sant'Antonio. Puglia nord. Per arrivare da casa ci vuole poco meno di mezz'ora. Una strada fatta di curve e pale eoliche. Non si incontra traffico. Ê una giornata di settembre né calda né fredda, la luce non è bella neppure brutta, il vento è debole, le nuvole sono lontane, il mio cuore è ancora storto (Un paesologo a Rocchetta).
Concludo dicendo che con questo pot-pourri di materiale raffazzonato si arriva a pagina 95, un po' pochino per farne un libro, per cui si è pensato bene di aggiungere una trentina di pagine chiamate Saggi deliranti e facoltativi, fatte di brevi riflessioni, aforismi, perle di saggezza e pensieri sfolgoranti da cui è possibile attingere a piene mani. Qualche esempio?
Un paese è essenzialmente un luogo in cui circolano brutte notizie.
Nei paesi ci sono espressioni di grande eleganza. Tipo: Anna e Michele si sono messi insieme.
Siamo troppi e c'è troppo parlare. Un anno di silenzio, per ricominciare. (Ecco: se fossi Arminio su quest'ultima affermazione ci rifletterei seriamente...)
In questa ultima sezione del libro ho notato diversi attacchi alla Rete (che sarebbe il nostro diluvio universale, una pioggia incessante di parole) e a Facebook, non per l'uso che ne viene fatto, ma proprio come mezzo. Facebook è una creatura piccolo-borghese, - scrive Arminio - perché il tratto dominante della piccola borghesia è proprio quello di considerare che tutto è piccolo.
Non credo sia necessario aggiungere che il nostro ha un profilo Facebook dove è registrato come personaggio pubblico e paesologo con link ai suoi blog e dove sono segnalati suoi interventi pubblici (https://www.facebook.com/francoarminio?fref=ts).
1 commento:
A me come sai questo libro è piaciuto. Condivido molte riflessioni di Arminio sulla modernità e sull'isolamento condiviso a cui soprattutto le nuove generazioni sembrano condannate. Mi sembrano chiare e per nulla nebulose. La paesologia come "disciplina" è una trovata a effetto, discutibile magari, ma non credo abbia pretese scientifiche. O almeno così a me è sembrato.
Non mi è dispiaciuto nemmeno il fatto che il libro non ha una trama definita. Leggo spesso diari e taccuini, magari - sicuramente - di pensatori più quotati, ma se se la questione è di genere o di stile, allora non ho nulla in contrario, anzi.
Quello che invece condivido della tua analisi è la debolezza delle soluzioni proposte, se soluzioni concrete vogliono essere. D'altra parte penso anche che sulle questioni di cui si sa già tutto si debba continuare a riflettere. Anche affrontando ripetutamente l'ovvio che le accompagna.
(La spiegazione di ipocondria non l'avevo notata ed effettivamente se la poteva risparmiare.)
Concludo: per quello che ho letto, non mi piace come poeta (o nelle esternazioni simil-poetiche).
Ciao Héctor
Elena
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