sabato 17 gennaio 2015

Fëdor Dostoevskij - Memorie dal sottosuolo


È sempre interessante leggere (o rileggere) Dostoevskij e nella fattispecie le opere che hanno preceduto i grandi romanzi. Osservare le variazioni nello stile e come vengono delineati i personaggi, la costruzione del discorso diretto e i monologhi introspettivi. Seguirne le tracce, scoprire le idee abbozzate da qualche parte e poi abbandonate strada facendo e i percorsi che invece sono stati sviluppati nel tempo.
Memorie dal sottosuolo aggiunge un ulteriore tassello alla ricerca del grande russo, pur non rappresentando – a mio avviso – un punto di svolta nella sua produzione letteraria (come invece si afferma da più parti), ma piuttosto una continuità con temi che appaiono qua e là in Povera gente e soprattutto nel Sosia e che qui vengono ulteriormente sviluppati. La differenza casomai, come osserva Bachtin, è che in questo romanzo il protagonista è sostenuto da un'ideologia, un pensiero che nella prima parte dell'opera viene espresso in un'inconsueta forma di monologo quasi filosofico e poi sostenuto della seconda parte in forma di racconto.
Sono cattivo, so di esserlo e non voglio cambiare. Questo è l'assunto dal quale parte il narratore, per poi constatare di essere, in realtà, né buono né cattivo, di non essere nulla: il prototipo dell'uomo del XIX secolo, condannato dalla sua "troppa coscienza" ad essere senza carattere, destinato dall'eccessiva consapevolezza ad imboccare un vicolo cieco che conduce inevitabilmente all'inerzia.
Troppi dubbi, troppo ragionare, troppa introspezione... in una parola: il sottosuolo.
Ad ogni angolo sembra di sentire echi di Pessoa, Musil, Bernhard e chissà di quanti altri, ma forse meglio sarebbe dire che nell'opera di Pessoa, Musil, Bernhard e chissà quanti altri ad ogni passo risuona qualche eco di Dostoevskij.
Autocoscienza, capacità di analisi, consapevolezza di sé... vissute come una colpa, un fardello con il quale convivere, ma anche un dolore che può trasformarsi in una specie di piacere amaro.
Nella seconda parte dell'opera, come detto, queste tesi vengono espresse in forma di racconto, nel quale Dostoevskij utilizza il dialogo in maniera simile a come aveva già fatto nel Sosia. Ritroviamo le stesse atmosfere febbrili, il ritmo incalzante, l'assenza di equilibrio e di logica nelle parole e nelle azioni del protagonista. Tutto è fuori e tutto è dentro: tutto è apparentemente dialogo, confronto e scontro con l'altro ma in realtà tutto è monologo, contorcimento, avvitamento del personaggio su se stesso in un vortice destinato a portarlo sempre più a fondo.
L'uomo del sottosuolo è un uomo solo, che vorrebbe avere rapporti con gli altri ma non ci riesce. Non sa come comportarsi e il suo approccio finisce per essere rozzo: nel confronto con l'altro cerca di dominare, di schiacciare il suo interlocutore, atteggiandosi a superiore mentre in realtà è vittima di un complesso di inferiorità, è lui a sentirsi non all'altezza degli altri. Non essendo in grado di vivere una vita vera è costretto a viverne un'altra, a rifugiarsi nel sottosuolo, un mondo solo suo, dove è lui a dettare le regole del gioco e dove anche il dolore che prova sembra un dolore "indotto", che si infligge da solo quasi a dimostrare a se stesso di essere in grado di avere sentimenti, di provare emozioni.
Memorie dal sottosuolo è un'opera potente, che seppur ancora incentrata su un'unica voce e per questo ancora distante dalla polifonia dei romanzi successivi, continua l'indagine di Dostoevskij sugli abissi dell'animo umano preparando la strada alle opere più mature.


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