sabato 10 gennaio 2015

Giorgio Vasta - Il tempo materiale


Romanzo d'esordio impressionante per maturità e rigore nel quale l'autore rilegge il 1978, annus horribilis della storia italiana, attraverso gli occhi di tre preadolescenti che sulla base della fascinazione esercitata dal delitto Moro, decidono a loro modo di fare la rivoluzione.
L'io narrante è Nimbo, un ragazzino di undici anni che esperisce la realtà in una maniera del tutto originale, non contentandosi cioè dell'osservazione del mondo, ma aggiungendo ad essa anche l'uso degli altri sensi, il tatto, il gusto, l'olfatto. Vasta traduce il tutto con un linguaggio nuovo, fatto di una sorta di espressionismo stilistico - talora anche troppo manierato - ricco di aggettivi ed immagini, una specie di lente colorata che deforma tutto ciò su cui si posa.
La lotta contro lo Stato è la molla dalla quale scaturisce la storia ed anche il filo conduttore della narrazione, ma insieme a metafore, simboli e allegorie, mille sono i fili, più o meno sotterranei, che si intrecciano fra le pagine.
Uno di questi lo individuerei nell'impossibilità di comunicare tra bambini e adulti (e probabilmente nella difficoltà di comunicare in generale): i tre protagonisti cercano a modo loro di capire quello che succede intorno a loro, ma nonostante si esprimano e ragionino come uomini rimangono dei ragazzini, lasciati soli a confrontarsi con avvenimenti epocali. L'emulazione delle Brigate Rosse finisce così per essere un misto di gioco ed impegno, il tentativo di avere visibilità, di affermare se stessi, di essere colpevoli pur di essere.
Altro tema importante è quello del linguaggio: Nimbo, Raggio e Volo (nomi di battaglia dei tre undicenni) rifiutano quello convenzionale perché espressione di una realtà che vogliono cambiare, per sostituirlo con l'alfamuto, un codice di comunicazione fatto di posture e gesti che utilizzano i simboli della cultura di massa dell'epoca rileggendoli in funzione dei loro scopi, un uso delle forme cambiando i contenuti che esse dovrebbero rappresentare, simile per certi aspetti a quello che facevano Schifano, Angeli, Festa, Rotella, gli artisti della pop-art.
Il tempo materiale è un romanzo duro e a tratti angoscioso, che procede con andamento sincopato: frasi brevi e ritmo incalzante sottolineano le fasi della narrazione dedicate all'azione, alle malefatte del gruppo, ad esse si alternano monologhi o surreali dialoghi ideali con animali od oggetti in cui il protagonista cerca faticosamente di elaborare quello che sta succedendo e se nella prima parte dell'opera la riflessione precede e prepara l'azione, nella seconda accade l'esatto contrario con Nimbo che fatica a stare dietro a quello che succede, a capire dove sta andando e perché.
Se posso trovare una pecca in quest'opera è che una volta raggiunto il climax, la storia da l'impressione di scivolare verso il finale in maniera un po' troppo rapida. Forse si tratta di una scelta intenzionale dell'autore per rendere al meglio l'idea del precipitare degli eventi, tuttavia mi sembra uno scarto di velocità che stride con l'armonia del racconto. Ancora un'ultima annotazione a proposito del rigore con cui è costruito il romanzo: in certi momenti ho avuto l'impressione di una precisione e di un controllo quasi eccessivi, una sensazione simil-claustrofobica, come se tutto fosse consequenziale, già compreso dentro la trama.
Gusto personale, sia chiaro, infinitesimi granelli di sabbia in un ingranaggio ben rodato. Poca roba per uno tra i romanzi italiani più importanti degli ultimi tempi.


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