sabato 7 gennaio 2017

Roberto Bolaño – Notturno cileno




Un lungo monologo, con uno degli incipit più belli della narrativa contemporanea (come termine di paragone mi viene in mente solo Body Art di Delillo).



“Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all’improvviso le cose sono emerse. La colpa è di quel giovane invecchiato. Io ero in pace. Ora non sono più in pace. Bisogna chiarire certi punti. Quindi mi appoggerò su un gomito e solleverò la testa, la mia nobile testa tremante, e cercherò nell’angolo dei ricordi quelle azioni che mi giustificano e perciò smentiscono le infamie che il giovane invecchiato ha sparso in giro a mio discredito in una sola notte fulminea. A mio presunto discredito. Bisogna essere responsabili. È tutta la vita che lo dico. Abbiamo l’obbligo morale di essere responsabili delle nostre azioni e anche delle nostre parole e perfino dei nostri silenzi, sì, dei nostri silenzi, perché anche i silenzi salgono al cielo e Dio li sente e solo Dio li comprende e giudica, per cui molta attenzione ai silenzi. Io sono responsabile di tutto. I miei silenzi sono immacolati. Che sia chiaro. Ma soprattutto che sia chiaro a Dio. Il resto è trascurabile. Dio no. Non so di cosa sto parlando. A volte mi sorprendo appoggiato su un gomito. Divago e sogno e cerco di essere in pace con me stesso. Ma a volte dimentico perfino il mio nome. Mi chiamo Sebastián Urrutia Lacroix. Sono cileno.”



Un inizio ipnotico, una scrittura quasi bernhardiana, un ritmo suadente, che ti attira tra le sue spire, ti porta dentro la storia e non ti molla più fino alla penultima riga. Poi, quando tutto è finito, ti sputa fuori senza tanti riguardi (“E poi si scatena la tempesta di merda”) per restituirti alle miserie del tuo mondo.

Notturno cileno è la storia di Sebastián Urrutia Lacroix, prete dell’Opus Dei e scrittore, intento a tracciare un bilancio della sua vita, a fare i conti con se stesso e con quel misterioso “giovane invecchiato” che rappresenta probabilmente la sua coscienza. Ricordi, storie, incontri: da Farewall, il famoso critico letterario, a Neruda, da Pinochet a Jünger, a María Canales, intrecciando personaggi veri e personaggi inventati per raccontare la storia di un uomo e insieme la storia del Cile degli ultimi quarant’anni. Parole e silenzi, azioni e omissioni, sogni e bassezze, il tutto sembra mescolarsi in maniera straordinariamente fluida nella figura del protagonista ed è tenuto insieme dall’assenza di sensi di colpa.  Sebastián Urrutia Lacroix vede le cose, le riconosce per quello che sono, eppure non le sente sue, non gli appartengono. È un uomo che vive il suo tempo senza sentirsi sfiorato dalle tragedie che lo circondano, che attraversa la vita curandosi solo di quello che lo interessa e trascurando il resto: un uomo che vive scotomizzando la realtà. Ma non è solo, perché intorno a lui si muove e prospera un’umanità fatta di suoi simili, il che spiega perché le cose sono successe e perché succederanno di nuovo.


Se Hermann Broch aveva cercato di spiegare il suo tempo mettendo il dito sulla piaga dell’indifferenza, Bolaño sembra raccogliere in questo libro il suo testimone, dimostrando come le cose non siano tanto cambiate dagli anni Trenta ad oggi: Sebastián Urrutia Lacroix sembra essere a tutti gli effetti il degno erede di Pasenow e la mancanza di sensi di colpa la diretta conseguenza di quell’indifferenza.

Nessun commento: