domenica 21 giugno 2020

La pianura degli scherzi – Osvaldo Lamborghini



Prima cosa: mettere le mani avanti. Sì perché parlare di Lamborghini con cognizione di causa risulta per me un'impresa pressoché impossibile. Non ne ho le competenze: mi mancano le basi culturali sulle quali provare ad impostare un ragionamento critico ed anche quelle storico-politiche, considerando quanto la sua opera sia legata all'Argentina e quanto poco intellegibili siano per me i riferimenti evidenti e nascosti alla situazione di quel paese.
E poi è Lamborghini stesso a sfuggire al lettore. Lo fa  nascondendosi dietro ad una scrittura complessa, piena di neologismi, giochi lessicali, costruzione e decostruzione di parole, una prosa che a volte sembra suggerire interpretazioni delle quali però non puoi mai essere certo, perché quello che stai leggendo è diverso da quello che credi di intendere. "Uno gira sempre. Intorno a certe parole. – scrive in Sebregondi retrocede –Finché non le cattura. Non si cattura. Niente e giammai". Già, la costruzione letteraria di Lamborghini può essere paragonata ad una Guernica in prosa: le parole sono lì davanti a noi ma assolvono ad una funzione diversa rispetto a quella alla quale siamo abituati perché invece di legare tra loro concetti, slegano le idee ("Credete di leggere, e così andate avanti. – si legge ne le figlie di Hegel – Credete di leggere, quando invece l'unica cosa che succede (che resta) è una sottile lametta e una linea (di "punti") che: - Scrive.").
Si cammina sulle uova. Al limite, e molto spesso oltre, l'illeggibilità.
Si colgono echi di De Sade, Lacan e Freud, dei Canti di Maldoror e di Céline. Senza dimenticare Gombrowicz, visto che stiamo parlando di linguaggio. Echi, certo, perché con Lamborghini non si può mai essere certi di nulla.
Lamborghini ti disorienta. Ti aggredisce, ti catapulta dentro la lotta e poi ti toglie tutti i punti di riferimento in maniera da travolgerti con il suono assordante della sua prosa e con la violenza e la volgarità delle sue parole.
Lamborghini mi respinge. E quindi mi attrae. Con Lamborghini mi comporto come il cane che dopo aver ricevuto un calcio per essersi avvicinato troppo, non può fare a meno di tornare a gironzolare intorno al piede che l'ha appena colpito, perché gli sembra di aver sentito un odore, una sensazione, qualcosa che teme ma che continua ad incuriosirlo.
Società, politica e arte sono il perimetro sul quale lo scrittore argentino decide di riversare le sue invettive, un ring in cui vittime e carnefici si confondono perché violenza e sadismo sembrano innati nell'uomo, un destino al quale nessuno sfugge ("mi domando se io figuro nel grande libro dei carnefici e lei in quello delle vittime. – scrive ne il fiordo – O se tutti e due siamo stati inseriti in entrambi i libri. Torturatori e torturati").
Seguire Lamborghini lungo le pagine de La pianura degli scherzi è un'impresa sfibrante perché la matassa del linguaggio finisce per avvitarsi inevitabilmente su se stessa fino al punto che un semplice scherzo provoca un'escalation che sfocia in tragedia (la causa giusta). E allora, se la parola tradisce, perché si scrive?
"Si scrive per non capire – è la risposta che leggiamo in Sebregondi retrocede – seguendo un filo, partendo dal presupposto di capire".
"Per non essere… "compreso"… dalla famiglia, è per questo che s'inizia a scrivere –dice ne le figlie di Hegel – La tappa dello scrivere affinché neanche – quel che si dice: neanche – gli amici comprendano."

Non posso consigliare la lettura di Lamborghini a nessuno perché Lamborghini non è un autore che si consiglia ma un autore al quale si cade dentro.

Links

Nessun commento: