Austerlitz – W.G. Sebald
(trad. Ada Vigliani)
Adelphi editore (I ed. 2001)
Sul tentativo di penetrare l'oscurità in cui siamo immersi.
W.G. Sebald è probabilmente l'autore che più ha influenzato la generazione di scrittori attuale e Austerlitz il romanzo che l'ha innalzato fino al ruolo di personalità di culto nel panorama letterario del primo quarto del XXI secolo.
La trama si dipana a partire dall'incontro della voce narrante con Jacques Austerlitz, professore di storia dell'Architettura, in una sala d'attesa della stazione ferroviaria di Anversa nel 1967. Da lì nasce una frequentazione episodica, fatta di conversazioni che vertono sulla struttura di edifici e costruzioni, chiacchierate apparentemente casuali che si interrompono per riprendere all'incontro successivo in un altro luogo, ampliandosi e arricchendosi di digressioni come cerchi generati da un sasso che cade in uno stagno. È la prosa caratteristica di Sebald: una scrittura che procede per associazioni di idee, uno stile ellittico che mescola realtà e finzione, arricchendo la narrazione con inserti fotografici e superando il genere romanzo ibridandolo con la biografia, il racconto di viaggio, il saggio. Una prosa più attenta ai temi che allo sviluppo dei personaggi, che a volte finiscono per risultare un po' deboli.
Dalle riflessioni sull'arte le discussioni si allargano al rapporto tra spazio e tempo, al viaggio e al movimento. Argomenti che scivolano inesorabilmente uno nell'altro, spingendo il protagonista ad andare indietro con il pensiero, alla giovinezza prima e all'infanzia poi, in un viaggio alla ricerca del tempo perduto e delle sue origini.
Austerlitz è un libro che pone la lotta tra oblio e memoria al centro del dibattito letterario. Da una parte ci sono i meccanismi di difesa, i tentativi di rimozione che l'inconscio mette in atto per non cancellare il passato e proteggersi dalle sofferenze, dall'altra il bisogno di sapere chi siamo, la volontà di vedere il proprio percorso nella sua interezza, senza tralasciare alcun particolare, conoscere la propria storia per dare un senso all'esistenza, ricordare il passato per tenerlo vivo. E in mezzo c'è l'uomo immerso nel labirinto della storia, che si sforza di vivere l'istante, di raggiungere quel luogo fuori dal tempo da dove si abbraccia tutto con uno sguardo, il punto fermo del mondo che ruota, l'Ehrebung del Burnt Norton eliotiano.
"Mi sono sempre ribellato al potere del tempo escludendomi dai cosiddetti eventi temporali, nella speranza – come penso oggi, disse Austerlitz – che il tempo non passasse, non fosse passato, che mi si concedesse di risalirne in fretta il corso alle sue spalle, che là tutto fosse come prima o, per meglio dire, che tutti i punti temporali potessero esistere simultaneamente gli uni accanto agli altri, cioè che nulla di quanto racconta la storia sia vero, che quanto è avvenuto non sia ancora avvenuto, ma stia appunto accadendo nell’istante in cui noi ci pensiamo, il che naturalmente dischiude peraltro la desolante prospettiva di una miseria imperitura e di una sofferenza senza fine.""A mio giudizio, disse Austerlitz, noi non comprendiamo le leggi che regolano il ritorno del passato, e tuttavia ho sempre più l’impressione che il tempo non esista affatto, ma esistano soltanto spazi differenti, incastrati gli uni negli altri, in base a una superiore stereometria, fra i quali i vivi e i morti possono entrare e uscire a seconda della loro disposizione d’animo, e quanto più ci penso, tanto più mi sembra che noi, noi che siamo ancora in vita, assumiamo agli occhi dei morti l’aspetto di esseri irreali e visibili solo in particolari condizioni atmosferiche e di luce. Per quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, disse Austerlitz, mi son sempre sentito come privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto."
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