domenica 31 agosto 2025

I mondi reali – Abelardo Castillo

 



I mondi reali – Abelardo Castillo
(trad. Elisa Montanelli)
Del Vecchio editore (I ed. 1997)


Abelardo Castillo è un cuentista coi controfiocchi, uno dei grandi narratori argentini del secondo Novecento, accostabile – per influenza e intensità – a scrittori come Quiroga o Arlt. In Italia il suo nome circola poco al di fuori delle cerchie specialistiche, ma questa raccolta, pubblicata da Del Vecchio, offre l’occasione di riscoprirlo. I racconti scelti sono tutti di alto livello, con punte sublimi come Il Decurione, un testo capace di condensare in poche pagine la sua visione tragica del mondo.
La voce di Castillo è potente, riconoscibile sin dalle prime righe: nei suoi racconti risuonano echi di Kafka e Poe, ma soprattutto la lezione aspra e visionaria di Roberto Arlt, il suo vero fratello letterario. Da questi modelli trae non tanto suggestioni di stile, quanto un modo di guardare alla realtà come un campo minato di ossessioni, colpe e destini segnati. La scrittura è sorvegliata al millimetro: non una virgola fuori posto, non un aggettivo di troppo. Ogni frase si incastra con la successiva per costruire un congegno narrativo impeccabile, in cui tensione e fatalità si alimentano a vicenda. È una prosa che non indulge mai, che non cerca effetti facili, ma che conquista per rigore e precisione chirurgica.

Dialoghi secchi, pervasi di dolore e inevitabilità, portano i personaggi dei racconti verso il fondo del loro mare. I protagonisti di Castillo sono uomini e donne votati al fallimento: amanti che si tradiscono, adolescenti inquieti, perdenti senza redenzione. Una lunga teoria di anti-eroi che non hanno mai avuto una vera possibilità di vincere la partita con la vita. Il lettore li segue fino all’ultimo respiro con la consapevolezza che la letteratura qui non consola, ma si insinua nel pertugio tra realtà e sogno, spalancando un abisso.

venerdì 15 agosto 2025

Melvill – Rodrigo Fresán

 


Melvill – Rodrigo Fresán
(trad. Giulia Zavagna)
Mondadori editore (I ed. 2022)

La biografia romanzata di Allan Melvill, padre dell’autore di Moby Dick, è l’artificio letterario scelto da Fresán per parlarci della sua idea di letteratura. Un'opera in tre parti, ognuna delle quali raccontata da punti di vista diversi e con un registro originale.
La prima è narrata in terza persona da una voce esterna che potrebbe anche essere lo stesso Herman Melville e ci presenta Allan Melvill come un eroe tragico che rivive il suo passato, "lo splendore della sua sconfitta", dal letto di morte in cui giace alternando deliri a rari momenti di lucidità. Si parla del rapporto padre-figlio ma anche di come il ricordo del padre diventi centrale nello sviluppo futuro della vita del figlio. Si parla, soprattutto, di come la vita abbia bisogno della letteratura: di qualcuno che la "metta in parole", per tramandarla, certo, ma soprattutto per darle "un senso e una spiegazione e una ragion d'essere". Non solo: quando una biografia inventata viene messa sulla carta, diventa vera. Ecco il grande potere della letteratura.
Scrittura e lettura. Perché nella visione di Fresán autore e lettore hanno bisogno uno dell'altro, idea che lo avvicina a un altro gigante del postmoderno quale Vila-Matas.
E poi c'è il viaggio, reale e metaforico: altro tema fondante di questo libro. Il girovagare di Allan Melvill tra Manhattan, Albany e il Grand Tour europeo. Il viaggio dell'eroe alla ricerca di qualcosa fuori e dentro di lui e che per il figlio sarà quello del capitano Achab alla ricerca della sua balena. L'attraversamento a piedi dell'Hudson ghiacciato, che diventa viaggio tra le due rive della lucidità e della demenza.
A questo evento è dedicata la seconda parte dell'opera, Glaciologia, caratterizzata da un registro lirico, raccontata in prima persona da Allan Melvill, con uno stile che sembra evocare quello di Cărtărescu. È una parte ricca di metafore, a iniziare dall'analogia tra la difficoltà e il pericolo di camminare sul ghiaccio e scrivere qualcosa che non è mai stato scritto in precedenza. Qui Fresán si mostra al suo meglio, utilizzando una narrazione sospesa tra prima e seconda persona per esprimere il bisogno di Allan Melvill di essere contemporaneamente l’autore del romanzo della sua vita, ma anche soltanto un personaggio. Il bisogno cioè di essere sia dentro che fuori se stesso.
Peccato che, a mio avviso, Fresán non riesca a proseguire nel crescendo che ha costruito fino a questo punto, e che il romanzo si afflosci proprio nella parte conclusiva che risulta ridondante, stranamente ricca di toni mielosi e anche un po' prevedibile. Se la prima parte dell'opera era stata dedicata alla vita e la seconda al sogno, ora è il momento della morte. La chiusura del cerchio è affidata al richiamo dell'opera di Hermann Melville, con una carrellata di ricordi che va dalla madre per passare ai fratelli, ai figli, all'amico per poi concludersi con il padre, saldando così la fine con l'inizio.
Un finale non all'altezza che però non inficia l'alto livello di un'opera sul potere salvifico della letteratura. Peccato, però, perché avrebbe potuto essere altissimo.